Ammonito il giudice che non fa scarcerare l’imputato dopo la scadenza termini custodia (Cass. n. 1767/2013)

Redazione 25/01/13
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Svolgimento del processo

1.- La dottoressa M.D., sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di (omissis), ricorre per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, depositata il 20 gennaio 2012, con la quale a lei ed alla collega g.i.p. dello stesso Tribunale è stata irrogata la sanzione disciplinare dell’ammonimento per aver omesso il controllo sulla scadenza del termine di durata della custodia cautelare relativa ad un soggetto imputato di maltrattamenti in famiglia, ritardando di 27 giorni l’adozione dei provvedimenti conseguenti alla estinzione della misura.

Il detenuto, arrestato il 27 febbraio 2009 a seguito di misura disposta dal g.i.p. di Bolzano, poi modificata con quella degli arresti domiciliari in struttura psichiatrica, e successivamente ripristinata, era stato tratto a giudizio immediato su richiesta del p.m. attuale ricorrente, datata 27 maggio 2009, giorno di scadenza dei termini di fase, e depositata presso l’ufficio del g.i.p. il successivo 29 maggio. L’udienza era stata poi fissata per la data del 23 luglio 2009 (in esito alla quale era stata accolta la richiesta formulata dalla difesa ex art. 444 c.p.p.), mentre in data 22 giugno il g.i.p. aveva disposto la rimessione in libertà dell’uomo.

La dottoressa M. si era discolpata assumendo di essere stata fuorviata dall’errore del difensore dell’indagato, che alla data di scadenza dei termini di custodia cautelare aveva richiesto una misura gradata rispetto a quella carceraria non evidenziando detta scadenza, e deducendo l’errore della segreteria, che aveva tardato nell’invio della richiesta di giudizio immediato, da lei tempestivamente formulata, nonchè la impossibilità del controllo dei termini da parte sua per non essere stata nella disponibilità materiale del fascicolo, ed infine sottolineando il particolare carico di lavoro e l’unicità dell’episodio.

2. – La Sezione disciplinare del C.S.M. ha posto in evidenza il dovere di controllo continuo sui termini, nonchè di controllo sul proprio ufficio e sui propri collaboratori, che incombe sul p.m. e sul giudice, pur considerando, ai fini della graduazione della sanzione, per un verso, la coincidenza di sfortunate circostanze e l’errore indotto dal comportamento del difensore del detenuto, oltre alla mancata collaborazione degli uffici amministrativi, e, per l’altro, la positiva vita professionale del magistrato.

3. – Il ricorso si fonda su tre motivi.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia erronea applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3, comma 1, lett. g), inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 299, 303, 306 e 328 c.p.p. (art. 606 c.p.p., lett. b), nonchè mancanza e/o contraddittorieta della motivazione in ordine alia fisica e giuridica disponibilità degli atti del procedimento (art. 606 c.p.p., lett. e). La Sezione disciplinare del C.S.M. non avrebbe verificato la effettiva sussistenza della violazione contestata, avendo la ricorrente in realtà esercitato il proprio obbligo di vigilanza sulla persistenza delle condizioni, anche temporali, di mantenimento della misura cautelare di cui si tratta, come dimostrerebbe la richiesta di giudizio immediato dalla stessa formulata il 27 maggio 2009, data di scadenza del termine di fase, non appena ricevuta la disponibilità materiale del fascicolo, depositato fino al 26 maggio presso la cancelleria del g.i.p. per la celebrazione dell’incidente probatorio diretto all’accertamento della incapacità dell’indagato di intendere e di volere e di partecipare al processo, e pervenuto solo in quella data al p.m. Dal momento della formulazione della richiesta di giudizio immediato, non trovandosi più il procedimento nella fase delle indagini preliminari, la attuale ricorrente non avrebbe più avuto la disponibilità dei relativi atti, sicchè nessun addebito si sarebbe potuto muovere alla stessa in relazione alla mancata verifica dei termini di custodia cautelare. Illogica sarebbe, infine, l’affermazione secondo la quale il ritardato invio del fascicolo al g.i.p. sarebbe stata la causa principale di tale mancata verifica da parte di quest’ultimo, tenuto conto che detto ritardo, da addebitare agli uffici amministrativi, era stato di soli due giorni, laddove il g.i.p. aveva tardato ben ulteriori ventiquattro giorni prima di disporre la rimessione in libertà del detenuto.

2. – La doglianza va disattesa.

2.1. – La circostanza, segnalata dalla ricorrente, secondo la quale ella formulò la richiesta di giudizio immediato nei confronti del detenuto nello stesso giorno di scadenza dei termini di custodia cautelare di fase non avendo ricevuto se non il giorno precedente il fascicolo, e comunque, in tempo utile perchè non venissero superati detti termini, risulta inconferente al fine di esimerla dalla responsabilità per l’illecito disciplinare addebitatole, consistito nell’avere ritardato l’adozione dei provvedimenti conseguenti alla estinzione della misura cautelare di cui si tratta.

In effetti, è compito precipuo del magistrato, nei procedimenti di cui è investito, diuturnamente vigilare circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto alle indagini o imputato (v. Cass. Sez. un., sent. n. 507 del 2011, richiamata anche nella decisione impugnata).

E’ nell’adempimento di tale inderogabile compito che la *********** è stata negligente: è indifferente che ciò sia dipeso dalla svista della segreteria che non trasmise immediatamente il fascicolo con la sua richiesta all’ufficio del g.i.p.. Si tratta di elemento inidoneo a giustificare la trascuratezza da cui la condotta del magistrato è stata in quella occasione caratterizzata. Invero, in quell’obbligo di vigilanza sopra ricordato, posto a carico del magistrato, non può non ritenersi ricompreso il controllo sul rispetto degli adempimenti rimessi alla segreteria del proprio ufficio, che deve essere operato nella misura più penetrante proprio ove si tratti di provvedimenti che incidono sulla libertà personale.

Nè alcuna rilevanza può assumere, al fine di esimerla da responsabilità disciplinare, la condotta del g.i.p. che determinò la ulteriore e più lunga protrazione della custodia cautelare del detenuto in questione, peraltro anch’essa sanzionata disciplinarmente.

2.2. – Di ciò Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha dato adeguatamente ragione, in maniera esauriente, logicamente coerente e giuridicamente corretta, sicchè la sentenza impugnata risulta del tutto immune dai vizi che la ricorrente le attribuisce.

3. – Con il secondo mezzo di gravame si deduce mancanza e/o contraddittorietà della motivazione in ordine agli effetti della riconosciuta ricorrenza di numerose circostanze idonee a far ritenere la scusabilità dell’errore ex art. 606 c.p.p., lett. e). Il giudice disciplinare, pur riconoscendo la coincidenza di “sfortunate circostanze”, I’ “errore indotto dal difensore”, la “mancata collaborazione degli organi amministrativi”, avrebbe, poi, contraddittoriamente ritenuto la negligenza inescusabile della attuale ricorrente.

4.- La terza censura ha ad oggetto la asserita mancanza assoluta di motivazione in ordine alla addotta unicità dell’episodio di cui si tratta nella storia professionale della incolpata, al particolare carico di lavoro ed alle valutazioni positive espresse nei confronti della stessa dal capo dell’ufficio e dal consiglio giudiziario, circostanze tutte da valutare in relazione alla scusabilità dell’errore. La ricorrente segnala la propria laboriosità, documentata dalle statistiche e dagli apprezzamenti espressi dai capi degli uffici, e sottolinea la imputabilità dell’errore anche alla negligenza altrui, a partire dalla difesa dell’indagato per giungere al comportamento del g.i.p. e del Tribunale della libertà, che non avevano rilevato ex officio la scadenza dei termini di custodia cautelare, e alla svista della segreteria del p.m., che avrebbe avuto la possibilità di predisporre e trasmettere in tempo utile la sua richiesta di giudizio immediato all’ufficio del g.i.p.: elementi che, pur essendo stati messi in rilievo dal giudice disciplinare, non sono stati poi dallo stesso considerati ai fini della valutazione della scusabilita dell’errore dell’incolpata.

5. – Le censure, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione che le avvince, sono infondate.

6.1. – Deve anzitutto rilevarsi, che il ricorso avverso le decisioni della Sezione disciplinare del C.S.M. non può essere rivolto ad un riesame dei fatti che hanno formato oggetto di accertamento e di apprezzamento da parte della sezione stessa e che la Corte di Cassazione deve limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, adeguatezza e logicità della motivazione che sorregge la decisione (v., tra le altre, da ultimo, Cass., Sez. Un., sent. n. 27172 del 2012).

Questa Corte, in tema di sindacato sulla irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti di magistrati, non ha, dunque, il potere di sostituire a propria valutazione a quella del giudice a qua, ma soltanto quello di controllare la congruità del percorso argomentativo svolto dallo stesso: sicchè il vizio di insufficienza della motivazione denunciabile con il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è rilevabile solo nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice disciplinare alla formulazione del proprio convincimento, ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la ratio decidendi.

In particolare, la valutazione della gravità della condotta dell’incolpato, anche sotto il profilo della sua incidenza negativa sulla fiducia e considerazione di cui il magistrato deve godere e sul prestigio dell’Ordine giudiziario, al fine dell’individuazione della sanzione da irrogare, come della scusabilità del comportamento addebitato, rientra nell’ambito degli apprezzamenti di merito della sezione disciplinare e non può essere oggetto di riesame in sede di ricorso per cassazione, restando sindacabili soltanto la correttezza e congruità della motivazione adottata.

6.2. – Nella specie, la sentenza impugnata, dopo aver dato conto delle circostanze oggi dedotte dalla incolpata, ha correttamente e adeguatamente motivato in ordine alla valenza da attribuire alle stesse ai fini di una attenuazione della sua responsabilità nella vicenda in esame, e, quindi, della scelta della sanzione da irrogare, escludendo, peraltro, che esse potessero valere da causa di giustificazione di una condotta, che, attenendo, come già rilevato, alla libertà personale, avrebbe dovuto essere improntata alla massima attenzione e diligenza.

7. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio, tenuto conto che l’ufficio del pubblico ministero non può essere destinatario di pronunce sulle spese del giudizio nè in caso di sua soccombenza, nè quando soccombente sia uno dei suoi contraddittori (Cass., S.U., n. 5165 del 2004; Cass. n, 3824 del 2010).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Redazione