Accertamento: in caso di vizi sostanziali la Commissione Tributaria deve procedere al ricalcolo dell’imponibile (Cass. n. 19122/2012)

Redazione 06/11/12
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Ordinanza

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. *******************, letti gli atti depositati;

Osserva:

La CTR di Roma ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 557/08/2007 della CTP di Roma che aveva accolto il ricorso della “Baia Serena srl” – ed ha così annullato (forse solo in parte) l’avviso di liquidazione per imposta di registro concernente compravendita di terreni e nella quale era stata chiesta l’applicazione del beneficio fiscale di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33 sulla premessa che si trattasse di immobili ricadenti in piani particolareggiati di attuazione. La revoca dell’agevolazione sul rilievo (che qui ancora interessa, oltre ad altri non più oggetto del thema decidendum) che ad alcuni di detti terreni, a destinazione non edificatoria, non compiessero i benefici tabulari, senza che la parte beneficiarla avesse distinto tra l’una tipologia e l’altra al momento della determinazione del relativo corrispettivo.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo – per quanto qui ancora rileva – che “i terreni oggetto della compravendita risultano compresi nella convenzione di lottizzazione (come dimostrato dal certificato di destinazione urbanistica)”, mentre – per quanto riguarda la mancata discriminazione tra terreni edificabili e non – “la società contribuente ha prodotto già in primo grado una relazione tecnica giurata dell’arch. M. che ….può supplire alla carenza segnalata dall’Ufficio”.

L’Agenzia delle Entrate ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La società contribuente ha resistito con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il secondo motivo di impugnazione (rubricato come:

“Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e art. 35, comma 3 e degli artt. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, che appare più liquido de precedente e perciò di più pronta soluzione) la ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice del merito – una volta affermato che la società ricorrente aveva diritto a godere dell’agevolazione di cui trattasi – avrebbe dovuto (in accoglimento dell’appello) rideterminare l’imposta dovuta, anche in virtù dell’espresso riconoscimento fatto dalla stessa società ricorrente che di siffatta rideterminazione aveva fatto espressa richiesta nel ricorso introduttivo di primo grado, ove non aveva chiesto l’annullamento integrale dell’atto ma la liquidazione dell’imposta ad aliquota ordinaria soltanto in relazione al valore dell’area a destinazione non edificatoria (e cioè mq 30.170).

Il motivo è fondato e da accogliersi.

Il giudicante ha dato atto nella sentenza impugnata che la parte appellante prospettava di avere diritto a recuperare le imposte suppletive (oltre che sulle aree a destinazione edificatoria, in relazione alle quali l’appello è stato rigettato) “sui terreni a diversa destinazione” ma sulla questione si è limitato a laconicamente concludere la relazione tecnica giurata prodotta dalla parte contribuente avrebbe potuto avere la valenza di “supplire alla carenza segnalata dall’Ufficio”. Da ciò non ha tratto però le debite conseguenze in ordine alla necessità di sostituire la propria valutazione a quella dell’Amministrazione in ordine alla soluzione della questione liquidatoria – la quale non attiene soltanto alla individuazione delle aree che sono a vocazione edificatoria rispetto alle altre (sulla qual cosa, evidentemente, il giudicante ha ritenuto sufficienti le risultanze della perizia giurata di parte ma concerne anche la precisa determinazione del tributo e dei suoi accessori, in proporzione al valore da assegnare a ciascun immobile compravenduto – e perciò espressamente provvedendo sulla domanda della parte appellante, domanda che non suppone meramente una statuizione implicita (come inclina a ritenere la parte qui controricorrente) ma un positivo accertamento dell’ammontare dell’imposta dovuta, ciò che è oggetto dei poteri del giudice tributario oltre che suo preciso dovere istituzionale. In termini giova richiamare l’insegnamento di questa Corte altre volte espresso (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15825 del 12/07/2006) in fattispecie consimili: “Dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di “impugnazione-annullamento”, ma tra i processi di “impugnazione- merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dai contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente riconduca alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. (Nella specie, la sentenza impugnata – a fronte dell’avvenuta rideterminazione dell’imponibile da parte dell’ufficio, in occasione della costituzione in giudizio, in somma minore di quella già determinata in sede di accertamento sintetico del reddito – si era limitata ad annullare l’avviso di accertamento impugnato, sul rilievo che non fosse compito dei giudici tributari procedere “alla liquidazione delle imposte e delle relative penalità”. Enunciando il principio in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione, osservando come la rideterminazione dell’imponibile operata dall’ufficio costituisse una semplice diminuzione della maggiore pretesa tributaria contenuta nell’atto impugnato e, dunque, una mera riduzione dei “quantum” oggetto del contendere tra le parti, sul quale il giudice avrebbe dovuto comunque giudicare)”. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza del secondo motivo, onde appare poi necessario il rinvio del processo al giudice del merito per il rinnovo dell1 indagine ad esso demandata, in conformità alla domanda contenuta nell’atto di appello.

Roma, 10 giugno 2011.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto; che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.

Redazione