Accertamento analitico induttivo (Cass. n. 22529/2012)

Redazione 11/12/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con sentenza n. 15/64/09, depositata il 5.2.2009 confermava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia n. 44/07/2004 che annullava l’avviso di accertamento ***, Irpef, Irap, per l’anno di imposta 1998, nei confronti di P. T., quale titolare dell’omonima ditta individuale, avente ad oggetto il commercio di mobili.

La Commissione tributaria, respingeva l’appello dell’Ufficio ritenendo l’attendibilità delle scritture contabili e l’inattendibilità del criterio della media aritmetica semplice, applicato dall’Amministrazione che non tiene conto della diversa natura dei beni oggetto di vendita da parte dell’azienda. Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo l’Amministrazione proceduto ad accertamento analitico induttivo e non semplicemente induttivo;

b) vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), con riferimento all’erronea applicazione della media aritmetica semplice in luogo di quella ponderata, al fine di tener conto della diversa natura dei beni venduti;

c) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 2 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto, anche aderendo alla prospettazione della Commissione tributaria, quest’ultima non avrebbe potuto concludere nel senso dell’illegittimità dell’intero avviso di accertamento, ma avrebbe dovuto provvedere essa, nell’esercizio del proprio dovere di giudice del rapporto tributario, a indicare la percentuale di ricarico da applicare correttamente nella fattispecie.

La società intimata si è costituita con controricorso, formulando anche ricorso incidentale condizionato chiedendo la declaratoria di intervenuta inefficacia dell’accertamento, ai sensi del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14 (c.d. Scudo fiscale). Entrambe le parti presentavano memorie.

2. Deve essere, in via preliminare, rilevata la inammissibilità del secondo motivo di ricorso per la mancata formulazione del quesito di fatto.

Vi è, infatti, l’onere della formulazione del “quesito di fatto” quale “momento di sintesi” a conclusione del motivo di ricorso con il quale si denunciano vizi motivazionali della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (“chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”), prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., norma che è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e che trova applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 data di entrata in vigore dello stesso decreto e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione disposta dal L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1 lett. d). Già questa Corte a Sezioni Unite ha affermato che, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007).

Nel motivo dedotto non viene, invece, illustrato il fatto “decisivo” in ordine al quale il contraddittorio si è sviluppato con diverse contrapposizioni fattuali.

E’, pertanto, inammissibile il secondo motivo, relativo al vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) non essendo stato formulato il relativo quesito e mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24255 del 18/11/2011). Gli ulteriori motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

In relazione al primo motivo i giudici di merito non hanno qualificato l’accertamento quale induttivo (essendo pacifico trattarsi di accertamento analitico – induttivo) essendosi limitati a rilevare che, ai fini della determinazione della percentuale di ricarico si erano presi in considerazione solamente alcuni articoli e, perlopiù, di una sola tipologia (cucine) e, quindi, un campione molto limitato e non rappresentativo dell’intera gamma dei beni oggetto della gestione aziendale, ritenendo più corretto un inventario, con campionatura, che rispecchiasse la diversità degli articoli oggetto di vendita.

L’Ufficio, invece, in violazione del principio dell’autosufficienza, non ha indicato le asserite diverse categorie merceologiche dell’esercizio commerciale, essendosi limitato a confutare astrattamente le argomentazioni della CTR. La Commissione regionale ha ritenuto l’attendibilità delle scritture contabili, rilevando come la percentuale di ricarico dichiarata risultasse congrua e coerente rispetto ai parametri di cui al DPCM 29/1/1996, mentre la percentuale di ricarico, ricostruita dall’Ufficio, non consentiva di riconoscere presunzioni qualificabile quali gravi e precise che la stessa norma richiede.

Con riferimento all’ultimo motivo di ricorso, il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente (Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011) Tuttavia i giudici del merito sono anche giudici del rapporto tributario con il conseguente potere – dovere di qualificazione della pretesa erariale in luogo della valutazione operata dall’amministrazione soltanto laddove si ravvisino profili di erroneità nel metodo di calcolo utilizzato dall’Ufficio, ma non quando risulti, come nel caso di specie, l’inattendibilità e l’illegittimità nel metodo utilizzato dall’amministrazione e l’attendibilità delle scritture contabili, che non consentono ulteriori valutazioni.

Va conseguentemente rigettato il ricorso principale, rimanendo assorbito il ricorso incidentale
Le spese del grado di giudizio vanno poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

Condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del grado di giudizio che liquida in Euro 7.000 per compensi, Euro 100 per esborsi, oltre accessori di legge.

Redazione