Sentenza del 30/03/2009 del Giudice di pace di Salerno, dr. Luigi Vingiani, in tema di risoluzione contrattuale a seguito di acquisto di un prodotto rivelatosi ‘difettoso’

Somma Marilisa 02/04/09
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Nel caso in esame  il consumatore non solo ha richiesto al Giudice la restituzione della somma spesa per l’acquisto del prodotto ‘difettoso’, ma anche il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti.
Va precisato che la fattispecie oggetto del giudizio consisteva in una stipula tra professionista e consumatore, e quindi il Giudice ha applicato, per la sua decisione, oltre quanto previsto dal C.c., anche la speciale disciplina del Codice del Consumo che, nelle dichiarate intenzioni del legislatore, nell’armonizzare e nel riordinare le normative concernenti i processi di acquisto e di consumo, ha avuto di mira assicurare un elevato tutela dei consumatori e degli utenti.
Interessante è la sentenza che si commenta, perché il Giudice di Pace, dr. ********, facendo un breve excursus ‘storico’ circa il danno esistenziale, giunge alla conclusione di liquidare, nel caso in specie, il danno cd. esistenziale, pur dopo la decisione della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 26973/08, lo ha di fatto ‘cancellato’ in quanto considerato una duplicazione del danno biologico e di quello morale.
 
 
A cura di Avv. **************
 
 
 
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE
SALERNO
 
Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
 
Il Giudice di Pace dott. ************** ha emesso la seguente
 
SENTENZA
 
nella causa civile iscritta al R.G.A.C. n. 2422/07 riservata all’udienza del 2.10.2008
 
TRA
+++++++,rapp.ta e difeso, giusta mandato a margine dell’atto di citazione dall’Avv. ************************ presso il cui studio elettivamente domicilia in Pagani (SA) alla Via Marconi,9;
ATTORE
 
E
 
++++++++  IN PERSONA LEGALE RAPP.TE PRO TEMPORE con sede Salerno alla Via ++++++ RAPP.TO E DIFESO dall’*************** con studio in Salerno alla Piazza O.Coppola 1gisuta procura in atti
CONVENUTO
Nonché
+++++++++Via A.Scozia 15 –Salerno
Convenuto contumace
Nonché
++++++++.in persona legale rapp.te pro tempore con sede in ++++++++ n.24 ,rapp.ta e difesa gusta procura in atti, dall’********* D’******* con studio in Salerno al C.so V.Emanuele 58
                                                                                              Terza chiamata in causa
CONCLUSIONI: come da verbale di causa e comparse depositate.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con atto di citazione debitamente notificato in data 14.12.2006 , ++++++++ conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di SALERNO, la ditta ++++++++   al fine di sentir dichiarare i convenuti responsabili dei danni conseguenti alla vendita di un condizionatore marca ++++++++ acquistato per l’importo di Euro 600,oo e conseguire altresì il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e NON PATRIMONIALI riportati.
All’udienza di prima comparizione si costituiva la ditta ++++++++ che chiedeva ed otteneva la chiamata in giudizio del produttore la ++++++++.-
 ++++++++, benché regolarmente citato, non compariva né si costituiva, per cui ne veniva dichiarata la contumacia.
Assunta la prova testimoniale articolata da parte attrice, acquisita la documentazione prodotta, previa la precisazione delle conclusioni e la discussione come in atti la causa all’udienza del 2.10.2008  veniva riservata a sentenza con termine per note .
MOTiVI DELLA DECISIONE
In via preliminare va dichiarata la contumacia della PARTE convenuta ++++++++, regolarmente citata e non comparsa.
Sempre in via preliminare si rileva che la domanda, così come proposta, va dichiarata ammissibile poiché l’attore ha rispettato il contenuto dei combinati disposti dagli artt. 163 e 164 nonché 316, 318 e 319 c.p.c.-
 Dalla documentazione prodotta risultano altresì provate sia la legittimazione attiva dell’attore che la legittimazione passiva dei convenuti, ivi compreso la terza chiamata in causa.
Nel merito la domanda è fondata e va accolta.
Nella prova testimoniale espletata, e dalle ammissioni delle parti costituite, sono emerse circostanze chiare e precise, sia sulle circostanze della vendita del climatizzatore che sul suo cattivo funzionamento e la necessità di provvedere alla sua riparazione o sostituzione. E’ emerso altresì’ che il convenuto ++++++++ recatosi dall’attore ha ritirato il condizionatore e non l’ha più restituito.
L’art.1490 c.c. sancisce che “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore”.
L’art.114 del D.Lgs. 206 del 6.9.2005 sancisce la responsabilità concorrente del produttore il quale è responsabile del danno cagionato dai difetti del suo prodotto.
Nel caso in esame è altresì evidente la responsabilità del tecnico ++++++++ che non ha provveduto a restituire il condizionatore prelevato dall’abitazione dell’attore.
Alla stregua di tali considerazioni, i convenuti vanno ritenuti solidalmente responsabili nei confronti dell’attore e vanno quindi tenuti alla restituzione dell’importo versato dall’attore per l’acquisto dl climatizzatore ,pari ad Euro 600,00 oltre gli interessi dal fatto al soddisfo. 
Gli stessi vanno inoltre condannati anche all’ulteriore risarcimento danni causati all’attore per l’illegittimo comportamento tenuto e per la palese violazione delle norme di correttezza e buona fede a cui erano  tenuti nella conclusione e nell’adempimento del contratto.
Il risarcimento dei danni,in conformità all’orientamento giurisprudenziale più recente, può essere riconosciuto in tutti quei casi in cui sussistano le seguenti condizioni: ingiustizia del danno secondo i parametri dell’art. 2043 c.c.;nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi in un giudizio di proporzionalità ed adeguatezza tra il fatto illecito e la conseguenze dannose; consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno.(Trib.Milano 21/10/1999) Tutte queste condizioni possono essere ravvisate nel caso di specie che, incidendo sull’esplicazione delle normali attività connesse, non solo con i rapporti lavorativi, ma anche sociali e familiari, può essere ricondotto sia al danno alla vita di relazione che al danno alla serenità familiare.
I giudici di merito hanno costruito una vasta casistica di applicazione del danno esistenziale che va dal danno conseguente ad un licenziamento ingiurioso, al mobbing, ed, anche, al rifiuto della P.A. di accogliere l’istanza di revoca d’ufficio di una contravvenzione palesemente illegittima (GdP di Verona 16/3/200), fattispecie simile a quella su cui si controverte, posto che da un illegittimo comportamento della P.A. è derivato una lesione della serenità personale che ciascun soggetto ha diritto di mantenere, non solo nell’ambito lavorativo ma anche familiare.
Non è inopportuna qualche breve considerazione sul c.d. danno esistenziale .
E’ noto che il sistema delineato dal Codice civile del 1942 si fondava sulla concezione dicotomica che distingueva, nell’universo aquiliano, il danno patrimoniale da quello non patrimoniale.
Invero, mentre l’articolo 2043 configura la prima categoria (<<Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno>>), il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall’articolo 2059 Cc secondo cui <<Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge>>. All’epoca dell’emanazione del codice civile (1942) il legislatore – con il prefato richiamo – intendeva riferirsi all’unica previsione espressa di risarcimento del danno non patrimoniale, quella racchiusa nell’articolo 185 del Codice penale del 1930.
E’ noto, tuttavia, che nella successiva evoluzione verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, dal legislatore e dalla giurisprudenza, il sistema dicotomico del 1942 è entrato in crisi fino ad essere definitivamente superato per effetto della nuova sistemazione dogmatica del danno civile elaborata con il fondamentale contributo delle due sentenze gemelle della Suprema Corte di Cassazione del 31 maggio 2003 (nn. 8827 e 8828) e dell’interpretazione costituzionalmente orientata che – analogamente alla Corte di Cassazione – ne ha dato la Corte Costituzionale (sent. n. 233 dell’11 luglio 2003).
La prima tappa (giurisprudenziale) di tale complesso itinerario è stata incentrata sulla figura del danno biologico.
Nella sistematica codicistica originaria, l’individuo, in quanto titolare di un patrimonio valutabile sub specie economico – contabile, poteva invocare la tutela giuridica, solo ove il predetto patrimonio avesse subito un pregiudizio: l’ipotesi tipica era rappresentata dalla diminuzione della capacità di produrre reddito, a causa di una lesione fisica invalidante.
Questo impianto di tutela, tuttavia, escludeva quella forma di danno che poteva riguardare tutti gli individui, compresi i soggetti privi di un reddito lavorativo. Il sistema così descritto, in altri termini, operava un meccanismo di esclusione di tutela giuridica che, non solo si poneva in palese contrasto con i dettami della Carta Costituzionale (artt. 2, 3, Cost.), ma finiva anche con il rendere del tutto inoperante l’art. 32 Cost. (tutela della salute).
Intorno alla metà degli anni ’70 – anche sulla spinta delle critiche rivolte dalla dottrina alle previsioni codicistiche – parte della giurisprudenza cercò, con una serie di tentativi, di superare l’impasse cui conduceva la richiamata dicotomia.
In tal senso la sentenza del Tribunale di Genova 25 maggio 1974, rappresentò – anche sotto il profilo storico – il primo passo verso una impostazione metodologica volta a "spostare l’asse dell’attenzione" dal criterio patrimoniale al criterio della "ingiustizia" del danno.
Un passo ulteriore è rappresentato dalle sentenze n. 87 e 88 del 1979 con le quali la Corte Costituzionale individuò nell’art. 32 Cost. la norma che assicura la effettività della tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo, come diritto primario ed assoluto e pienamente operante nei rapporti tra privati. La medesima Corte precisò che il diritto alla salute, in virtù anche del suo carattere privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32) e, nel caso di sua violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in forza del collegamento tra l’art. 32 Cost. e l’art. 2059 c.c..
La successiva produzione giurisprudenziale vede l’affermarsi della tesi secondo cui la menomazione dell’integrità psicofisica della persona, costituisce un danno ingiusto di natura patrimoniale, in quanto colpisce un valore essenziale che fa parte integrante di quel complesso di beni di esclusiva e diretta pertinenza del danneggiato (Cass. civ., 11/02/1985, n.1130; per una applicazione in punto di danno biologico cfr. la sentenza n. 3675/81 della Corte di Cassazione).
Con la storica sentenza n. 134/1986, la Corte Costituzionale ribadisce la legittimità dell’art. 2059 c.c. che correttamente, nella discrezionalità del legislatore, ha delimitato il risarcimento del danno non patrimoniale alle sole ipotesi in cui il fatto costituisce reato. Al tempo stesso, però, la Corte Costituzionale nega che una simile scelta del legislatore possa pregiudicare la risarcibilità stessa del danno biologico, dal momento che tale risarcibilità va ricercata non nell’art.2059 c.c., ma bensì nell’ambito dell’art.2043 c.c..
Accanto alla poderosa opera di ricostruzione dogmatica da parte della giurisprudenza, si pone l’attività del legislatore che, nella normativa successiva al codice, ha notevolmente ampliato i casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell’ipotesi di reato (art. 185 c.p.), in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 L. n. 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, sostituito dall’art. 152, comma 12, d.lvo 30 giugno 2003 n. 196 comma 9, L. n. 675/96: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, D.L.vo n. 286/98: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 L. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
Venendo al più recente passato, la definitiva stemazione dogmatica del "danno civile" è stata effettuata – come sopra anticipato – dalla giurisprudenza costituzionale e da quella civile del 2003.
In particolare la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non più condivisibile la tradizionale restrittiva lettura dell’articolo 2059 c.c., in relazione all’articolo 185 Cp, come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato. La Corte di Cassazione ha osservato che nel vigente assetto ordinamentale, nel quale assume posizione preminente la Costituzione – che, all’articolo 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, – il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. La Corte ha precisato che si deve quindi ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di "danno non patrimoniale", inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come "danno morale soggettivo".
Al giudice della legittimità non è sembrato proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo poiché, ha osservato, ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’articolo 2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica.
Inoltre, la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo articolo 185 Cp (ma anche dall’articolo 89 Cpc), in punto di ammissibilità del risarcimento, è stata resa inoperante nel caso di lesione concernete i valori della persona costituzionalmente garantiti.
Dal quadro "ridisegnato" nel recente passato emerge che al risarcimento del danno patrimoniale, sempre ancorato al paradigma dell’art. 2043 c.c., si accompagna il risarcimento del danno non patrimoniale, che trova tutela più ampia ed articolata nell’art. 2059 c.c., il quale non va più restrittivamente interpretato ed applicato in via esclusiva ai casi tradizionali del danno morale soggettivo (ex art. 185 c.p.), ma deve assicurare la riparazione delle ipotesi legali espresse di danno non patrimoniale risarcibile (art. 89 c.p.c., art. 2 l. n. 117/1988, art. 29 l. n. 675/1996, sostituito dall’art. 152 d.lvo 196/2003 art. 44 d.lgs. n. 286/1998, art. 2 l. n. 89/2001), e delle lesioni che, incidendo sui valori (della persona) costituzionalmente garantiti non possono non costituire figure di danno risarcibile, a prescindere da risvolti penalistici, non più condizionanti.
Dalla nuova sistemazione deriva che il danno non patrimoniale è categoria ampia, nella quale trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale soggettivo (concretantesi nella perturbatio dell’animo della vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all’integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell’art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale).
 Merita – a questo punto – di essere precisato che la categoria del danno esistenziale è stata – a volte surrettiziamente – enucleata dalla giurisprudenza civile (specialmente negli anni 1986 – 1994) mediante un fenomeno di dilatazione della categoria del danno biologico.
La successiva produzione giurisprudenziale, tuttavia, riconducendo il danno biologico nei confini della "patologia", determinò la necessità di definire – expressis verbis – una nuova categoria di danno idonea a ricomprendere tutte le ipotesi di lesione arrecata ai diritti della personalità (cfr., in particolare, le decisioni di merito Trib. Torino 8 agosto 1995, Trib. Verona 26 febbraio 1996).
Il suggello alla produzione giurisprudenziale (ed alla sottesa elaborazione della dottrina) in esame è stato posto dalla Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 7713 del 7 giugno 2000, secondo cui la lesione dei diritti fondamentali della persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza) – come posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del 1986.
La Corte di Cassazione ha osservato che la vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone una lettura costituzionalmente orientata del paradigma aquiliano (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità), "in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori", nel senso appunto che quella norma sia "idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell’illecito", attraverso "il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse".
Il danno esistenziale consiste, pertanto, nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce.
A differenza del danno biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica) suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale; rispetto al danno morale, inteso come turbamento dello stato d’animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale "uomo".
Nella fattispecie in esame ritiene il Giudicante in concreto sussistenti i presupposti per il risarcimento del danno esistenziale cagionato all’attore.
Nella fattispecie che ci occupa è evidente la violazione di una posizione tutelata dall’ordinamento .
Tanto detto sulla ricorrenza del danno ingiusto sub specie eventi, sul piano della prova, è jus receptum l’affermazione secondo la quale l’immaterialità dei pregiudizi in questione (lesione di valori inerenti alla persona) rende ammissibile il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza.
Nel caso in esame, il fatto della illegittimità del comportamento e del successivo ricovero ospedaliero consente di risalire al fatto ulteriore del peggioramento della qualità dell’esistenza.
Aderendo alla concezione cd. "statica" del danno esistenziale, esso emerge ipso iure, dalla prova del fatto antigiuridico (anche in relazione all’elemento soggettivo dell’illecito) che reca in sé l’accertamento del danno ingiusto.
Il rapporto di derivazione immediata e diretta del danno dal fatto lesivo accertato non richiede un particolare nisus argomentativo.
Il riconoscimento della persona umana, infatti, si sostanzia anche attraverso il rispetto dei desideri e delle aspettative che ognuno può avere in dati momenti della sua vita e che, giustamente, trovano tutela nell’ampio dettato del richiamato art. 2 della Costituzione.
La lesione della personalità del soggetto è suscettibile di tutela, indipendentemente dallo specifico interesse leso che può anche non avere una diretta rilevanza costituzionale, ma va tutelato ogni qualvolta configuri una alterazione della manifestazione della personalità tutelata costituzionalmente ex art. 2 della costituzione (App. Milano 14-02-03).
Il danno esistenziale è, quindi, individuabile, come nel caso di specie, ove sia accertata una modificazione peggiorativa, apprezzabile per intensità e qualità, nella sfera del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare l’alterazione del diritto alla normale qualità della vita ovvero alla libera estrinsecazione della personalità (App. Milano 14-02-03).
Allo stesso modo, Giudici di Pace di Roma e di Bologna hanno recentemente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a cittadini che, inseguiti dalla Pubblica Amministrazione per la riscossione di illegittime sanzioni, sono stati costretti a numerose trafile presso gli sportelli degli uffici pubblici per vedere riconosciute le loro ragioni.
L’amministrazione infatti, di fronte alle legittime contestazioni dei richiedenti ed esaminando la documentazione presentata, avrebbero potuto annullare le contravvenzioni; non averlo fatto, ha comportato danni "conseguenti allo stato di frustrazione e di disagio che ne è derivato, oltre ai disagi per il grave dispendio di tempo ed energie necessarie per le proprie difese, nella consapevolezza delle proprie ragioni".
Sul punto è intervenuta la Corte cost., che nella decisione 11/07/2003, n.233 ha sancito: “Nell’astratta previsione della norma di cui all’art. 2059 c.c. deve ricomprendersi ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.
Recentemente il Supremo Collegio, con la sentenza 13546/2006, ha spazzato via ogni dubbio in ordine all’eventuale rischio di sovrapposizione tra danno biologico e danno morale soggettivo, ribadendo innanzitutto come, il danno esistenziale, a differenza del danno morale soggettivo, debba obiettivarsi e che, diversamente dal danno biologico, debba prescindere dalla accertabilità in sede medico legale.
Inoltre ha sancito che il danno esistenziale si deve sostanziare in una modificazione peggiorativa della personalità dell’individuo in presenza di lesione di interessi essenziali della persona, come quelli costituzionalmente garantiti (salute, reputazione, libertà di pensiero, famiglia, ecc..).
Il danno non patrimoniale deve essere dunque rico­nosciuto e liquidato nella sua interezza, essendo per­tanto necessaria, laddove il risarcimento non risulti in termini generali e complessivi domandato, l’analitica considerazione e liquidazione in relazione ai diversi aspetti in cui esso si scandisce.
Quando il danneggiato chiede il risarcimento del danno non patrimoniale la domanda va cioè intesa come estesa a tutti gli aspetti di cui tale ampia categoria sì compone, nella quale vanno d’altro canto riassorbite le plurime voci di danno nel corso degli anni dalla giurisprudenza elaborate proprio per sfuggire agli an­gusti lìmiti della suindicata restrittiva interpreta­zione dell’art. 2059 cc.
La domanda di risarcimento del danno non patrimo­niale in termini generali formulata non può essere in­fatti limitata alla considerazione meramente di alcuni dei medesimi, con esclusione di altri ( cfr. Cass., 24/2/2006, n. 4184; Cass., 26/2/2003, n. 28 69, con ri­ferimento in particolare al danno biologico ), una tale limitazione essendo invero rimessa, in ossequio al principio della domanda, alla previa scelta del danneg­giato, che si limiti a far valere solamente alcuna del le tre suindicate voci che tale categoria integrano (v. Cass., 28/7/2005, n. 1583; Cass., 7/12/2004, n. 22987. Con riferimento alla richiesta di risarcimento del dan­no morale, nel senso che essa non possa intendersi come limitata alla sola sofferenza psichica transeunte ma debba considerarsi quale «sinonimo>> della locuzione «danno non patrimoniale», v. peraltro Cass., 15/7/2005, n. 15022).
Riconosciuta l’esistenza del danno esistenziale , precisato che detto danno è poi suscettibile di liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c., alla luce della gravità e della durata della lesione e della rilevanza delle conseguenze sopra descritte, ritiene questo giudicante che il danno esistenziale sofferto dall’attore, vada quantificato complessivamente nella misura di euro 250,00.
Va quindi dichiarata la concorrente  responsabilità di tutti i convenuti nel verificarsi dei danni per cui è causa , stante la colpevolezza per non aver tenuto un comportamento idoneo alle circostanze e per la violazione delle norme di correttezza e buona fede nell’adempimento di un contratto.
A detto importo devono aggiungersi gli interessi al tasso legale diretti a coprire ed a compensare l’ulteriore pregiudizio costituito dal mancato godimento dei frutti di un bene.Tali interessi, dato questo loro fondamento, decorrono dalla data della perdita del godimento del bene e del correlativo verificarsi dell’arricchimento e comunque dal fatto «giorno» e fino all’effettivo soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di SALERNO, dott. **************, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da ++++++++i Angelo  nei confronti di ++++++++, di ++++++++e di ++++++++ in persona legale rapp.te pro tempore  così provvede:
1.                   Dichiara risolto per inadempimento il contratto di vendita del climatizzatore per cui è causa e condanna i convenuti ++++++++. in persona legale rapp.te pro tempore, in solido tra loro, alla restituzione in favore dell’attore ++++++++ dell’importo da questi versato pari ad Euro 600,00 oltre gli interessi legali dal fatto fino al saldo.
2.                   Condanna inoltre   ++++++++ in persona legale rapp.te pro tempore , in solido tra loro,  al risarcimento dei danni in favore di ++++++++ nella misura di complessivi euro 250,00 oltre gli interessi legali dal fatto fino al saldo;
3.                   Condanna ++++++++ in persona legale rapp.te pro tempore, in solido tra loro,   alla rifusione in favore di ++++++++ delle spese processuali da quest’ultimo sostenute per il presente procedimento, che liquida in complessivi €., 500,00 di cui Euro 50,00 per spese Euro 250,00   per diritti ed €. 200,00 per onorari, oltre al rimborso forfettario per spese generali ai sensi del D.M. Grazia e giustizia 5/10/94 n.585 e successive modificazioni (soltanto sull’importo di diritti ed onorari), nonché oltre accessori previdenziali e tributari, se documentati a mezzo fattura e non detraibili con attribuzione all’avv. ************************  dichiaratosi antistataria.
Così deciso in SALERNO lì 30/03/2009                                                     
Il Giudice di Pace
Avv. **************

Somma Marilisa

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