Senatus Consultum Ultimum: remedium secundum, contra aut extra ordinem?

Longo Giuseppe 11/02/13
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Com’è noto, col termine di Senatus Consultum Ultimum o anche senatus consultum de re publica defendenda isi suole individuare un provvedimento straordinario con cui il senato romano, dovendo fronteggiare una situazione di emergenza e di impellente pericolo per lo Stato, promanante sia da agenti esterni che interni, affidava ai sommi magistrati in carica il compito di salvare la res publica, conferendo loro i più ampli poteri di agire, anche in via sommaria, senza processo e con il ricorso alle armi, contro chi stesse cospirando contro lo stato o attentando alle istituzioni repubblicane.

Se è ancora oggi disputato se possa rettamente definirsi tale, la delibera assunta nel 133 a. C. iinei confronti dei seguaci di Tiberio Sempronio Gracco, declarati hostes populi romani, ma non estesa al celebre tribunus plebis per la ferma opposizione di Publio Mucio Scevola, che ancora a quella data era riuscito a far accettare il principio che la sua natura fosse estranea ai mores su cui si fondava l’Ordo Iuris Romanorum, si annoverano in toto 14 di tali deliberati che, dal primo emesso nei confronti di Gaio Sempronio Gracco nel 121 a.C.iii, all’ultimo deliberato avverso Quito Rufo Salvio nel 40 a. C., scandiscono, nell’arco di pressochè un secolo, i momenti più significativi di quel turbolento periodo di crisi politica che prelude all’instaurazione e al consolidamento del principato.

Resta certo che pur nel variegato, e talora anche cruento, dispiegarsi del confronto politico di quegli anni, le concitate diatribe che preludono all’emissione di un senatus consultum ultimum giungono non di rado a stagliarsi su livelli di pregio giuridico, e anche letterario, difficilmente eguagliabili.

Basta citare le Catilinarie, pronunciate nel 63 a. C. da Marco Tullio Cicerone per indure i senatori ad assumere provvedimenti straordinari nei confronti del cospiratore, che ancor oggi, oltre duemila anni dopo, sono annoverate come uno dei vertici più elevati, e celebrati, dell’Ars Oratoria forenseiv.

E’ pure rimarchevole, sotto il profilo di una ricostruzione storica improntata a una quale vitalità, come questo istituto, ben lungi dal sottintendere una valenza giuridica astratta, assunse invece da subito una rilevanza concreta, segnando il destino di molti dei protagonisti dell’agone politico romano di quell’ultimo e tumultuoso secolo dell’età repubblicana, le cui vicende umane, sovente non scevre da esiti drammatici e spesso esiziali, furono spesso determinate proprio dall’attuazione manu militari di un deliberato di siffatta straordinaria ed assoluta efficaciav.

Gaio Sempronio Gracco, Marco Emilio Lepido, Marto Celio Rufo, per non dire poi degli stessi Lucio Cornelio Silla, Caio Giulio Cesare e, in momenti diversi, se pur con esiti opposti, entrambi gli ultimi disputanti dell’era repubblicana, Antonio e Ottaviano, ne furono i più illustri destinatari.

A tacere poi del provvedimento emesso per volere dei fautores di Antonio nei confronti dello stesso Cicerone, a dispetto del vano tentativo d’opposizione di Ottaviano, che se non un senatus consultum de re publica defendenda in termini stretti può definirsi, di certo non vi si discosta di moltovi!

In ogni caso, se pur preordinato a mantenere, nella conservazione di uno status quo istituzionale, le prerogative e la centralità dell’assembla senatoria, esso ne rappresenta invece il canto del cigno.

Introdotto infatti dai patres per fronteggiare le poderose spinte personalistiche, che sovrapponendosi al risalente contrasto tra optimates e populares, non esitavano a strumentalizzarlo per bieche finalità di affermazione e successo personale, finisce però per sancire in maniera conclamata e irreversibile, l’impotenza della vecchia classe senatoria e del consesso da essa espresso, a frenare le scelte di natura autoritaria che una politica sempre più improntata al culto della personalità e alle storture di una vocazione clientelare, ahimè, fino ad oggi, mai sopita, stava progressivamente imponendo.

Non volendosi indulgere a una più analitica rivisitazione cronologica, esulante dalle odierne finalità, è però il caso di appena indugiare sulla non ancora risolta querelle in ordine alla natura giuridica dell’istituto, in particolare sotto il profilo della sua sintonia o meno, con il complesso dell’ordo iuris vigente al momento del suo primo affacciarsi sulla scena giuridica della res publica.

Al riguardo si sono infatti consolidate, storicamente, due opposte linee di pensiero, irriconducibili l’una all’altra, miranti ad ammettere o, in alternativa, ad escludere, la coerenza di questo strumento straordinario di salute pubblica, con l’assetto giuridico istituzionale della tarda era repubblicana.

In termini a noi più prossimi, e congeniali, la sua o meno, legittimità costituzionale.

Si tratta cioè di valutare la plausibilità giuridica delle ragioni che lo esigevano e dei poteri conferiti.

Storicamente più risalente, era per lungo tempo prevalso l’orientamento secondo il quale ad un siffatto strumento di repressione non potesse riconoscersi affatto alcuna legittimità giuridicavii.

A supporto di tale opinio sono state addotte argomentazioni molteplici e dalla diversa plausibilità.

Se ne rassegnano qui, per brevità, solo le più salienti.

Innanzitutto il s.c.u. escludeva a priori l’esercizio del diritto d’intercessio tribunizia, che avrebbe potuto paralizzare le iniziative senatorie, senza che vi fosse alcuna disposizione normativa atta a consentirlo (anche se sotto il regime di Silla l’intercessio tribunicia era stata soppressa con provvedimento legislativo, e poi ripristinata solo a seguito d’una lex rogata da Pompeo e Crassoviii). Già sotto questo profilo, quindi, esso si sarebbe configurato, eccezion fatta, in limine, per la parentesi sillana, come un vero e proprio sopruso.

Esso era poi talora rivolto verso magistrati, come i tribuni plebis e gli interreges, tradizionalmente sforniti di imperium; venivano così ad essi riconosciuti, rectius attribuiti, poteri totalmente estranei a quelli di loro competenza; anche qui, senza che ciò fosse contemplato da alcuna norma di legge.

Rilievo pregnante si attribuiva poi alla questione della dichiarazione di hostes publici, che doveva precedere o comunque sottintendere l’emissione del consultum contro i sediziosi.

Dichiarare infatti un cittadino romano hostis, implicava privarlo del suo diritto di cittadinanza e muovergli una dichiarazione di guerraix!

Il che, oggi come allora, si presenta come uno scoglio difficilmente superabile.

Si rilevava in proposito, come la giustificazione addotta dagli aristocratici per le esecuzioni capitali compiute in attuazione del s.c.u., e cioè che i cittadini iudicati hostes rei publicae avessero perduto la qualità di cives, sarebbe un sofisma, in quanto presupporrebbe, appunto, come assiomaticamente accettato, quello che, costituendo uno dei punti più controversi della questione, dovrebbe essere invece dimostrato, e cioè che fosse appunto legittimo dichiarare dei cives, hostes publicix!

Tutte considerazioni, le precedenti, non certo prive di un qualche plausibile pregio giuridico.

E in coerenza con le quali ci si induceva, infine, a propendere per un giudizio di illegittimità.

Negli ultimi anni è venuto però via via maturando, soprattutto sotto l’impulso di giuristi di scuola tedesca, un orientamento del tutto opposto, per cui il s.c.u. dovrebbe ritenersi perfettamente costituzionale, in quanto fondato su una consuetudine ormai consolidata, che nel suo affermarsi avrebbe dato vita a un vero e proprio diritto d’emergenzaxi.

In aderenza a tale linea dottrinale, il s.c.u. si sarebbe in origine caratterizzato come un provvedimento sanatorio di salute pubblica attraverso il quale venivano attivati i magistrati in vista di un pericolo che avrebbe richiesto un’azione del tutto particolare e dalla ferma determinazione.

Quando però una determinata situazione di crisi politica avrebbe rischiato di mettere in pericolo la stessa esistenza dello stato e la salvezza delle istituzioni, il Senato non avrebbe potuto evitare che i magistrati intraprendessero tutte quelle iniziative che si palesassero ineludibili per la salvezza della Patria, pur senza conferire a essi un’autorità formale superiore a quella loro d’ordinaria competenza.

In tali circostanze, proprio per la natura imminente e irreparabile del pericolo, poteva risultare impossibile osservare le formalità dell’arresto e del processo, venendo così di fatto elusa la garanzia fornita dalla provocatio ad populum, vero baluardo, una sorta quasi di habeas corpus ante litteram.

Tuttavia, non per questo si riconosceva ai magistrati il mero arbitrio!

L’eccezionalità del loro operato si giustificava nei limiti del perdurare d’una situazione di pericolo estremo, cessato il quale le loro prerogative dovevano inevitabilmente ritornar a essere quelle solite.

Attraverso il consolidarsi di una siffatta prassi, sarebbe finito per emergere e consolidarsi un vero e proprio diritto d’emergenza che avrebbe contemplato, in extrema ratio, l’emissione di un s.c.u.

Perché ciò potesse ritenersi ammissibile, si sarebbero dovute verificare le seguenti condizioni:

  • che la crisi fosse di tale gravità da indurre il senato ad invocare il soccorso dei magistrati;

  • che questi si limitassero soltanto a intraprendere le strategie e procedure necessarie per riportare la situazione sotto controllo;

  • che la loro azione fosse diretta effettivamente a preservare la salvezza dello stato, senza configurarsi come un ingiustificato abuso di potere.

Sussistendo tali condizioni, si giustificava quindi che l’esercizio della provocatio ad popolum potesse essere interdetto proprio a coloro che avessero causato quella situazione di pericoloxii.

A suffragio di una tale ricostruzione, che nel suo stesso dispiegarsi deve essere apparsa non del tutto esente da profili di perplessità e quindi non proprio inattaccabile, si è ribadito che la provocatio ad popolum fosse un mezzo d’impugnativa di carattere esclusivamente politico ma non giurisdizionale.

L’evidenza che una tale configurazione dell’istituto non abbia trovato unanimità di vedute, non ha comunque indotto i sostenitori dell’orientamento “ legittimista”, a rivedere i propri convincimenti.

L’argomento ritenuto più probante tra tutti quelli addotti e suffragato dalle fonti storiografiche, è che per quanto tale strumento fosse chiara espressione della classe degli optimates, ciò malgrado i democratici non lo contestarono mai nella sua legittima validità, ma solo per le episodiche, eventuali esondazioni da parte dei magistrati, dai poteri con esso loro conferiti.

Traslazione sul piano storico, del principio processuale di ammissione per mancata contestazione?

A titolo volutamente emblematico si rievoca in tal senso quello che viene annoverato come uno dei s.c.u. più noti, in quanto emesso in danno di Cesare, in occasione delle vicende dell’anno 49 a.C.

Quel che Cesare avrebbe contestato in quella occasione sarebbe stata infatti soltanto la legittimità del singolo provvedimento emesso contro di lui, per l’asserita assenza di una situazione d’emergenza tale da giustificarlo, ma non in generale la sua legittimità costituzionale, sulla cui incontrovertibilità, non dovevano quindi più dissentire persino i più irriducibili, tra i popularesxiii!

Ulteriore riprova che quanto meno già a quella data, la sua legittimità fosse ormai fuori discussione. Ma vanno ben oltre i sostenitori di tale tesi allorquando individuano il momento del consolidamento del s.c.u. in occasione del processo intentato nel 121 a.C. da Quinto Decio contro Lucio Opimio.

E quindi in piena bagarre, per non dire guerra civile, gracchiana o al limite post gracchiana, e in ogni caso ben prima dell’affacciarsi dell’ultimo secolo dell’era repubblicanaxiv!

Le due tesi, irriversibilmente inconciliabili, si sono così fronteggiate sulla terra di nessuno della ricostruzione storica, senza che potesse profilarsi all’orizzonte una prevalenza dell’una sull’altra

Al punto che forse per dare un taglio risolutivo, s’è di recente delineata una terza via, che superando tala dicotomia, individua nel s.c.u. un istituto non secundum o contra, ma bensì, extra ordinemxv.

Il suo fondamento consisterebbe così nello stato di necessità, e nel diritto e dovere di conservazione e di autotutela dello stato, che agisce al di sopra dell’ordinamento giuridico e ne è anche la fonte eziologica primogenia e perciò prescinde dal riconoscimento esplicito in una o più norme di legge.

Pertanto, non nella legge e nemmeno contro la legge, ma al di fuori della legge, e pertanto extra legale e non illegittima, sarebbe la natura di questa misura eccezionale.

Di tal che nessuno avrebbe potuto mettere in dubbio il diritto del senato di emettere un s.c.u. per le medesime ragioni per cui nessuno si sarebbe sognato di opporsi alla nomina senatoria d’un dictator!

Nelle ore critiche che aveva dovuto attraversare la res publica, il senatus era sempre stato il supremo e indiscusso depositario della tutela della salute pubblica e dell’integrità dello stato ed aveva ottemperato a questo ruolo decisivo e indeclinabile adottando tutte le iniziative che volta a volta si rendessero necessarie per garantire la continuità della res publica e della sua direzione.

Nulla ostava quindi a che in frangenti quali quelli che ebbero luogo nel corso del primo secolo a.C., l’autorevole assemblea dei patres intervenisse per ricondurre ogni cosa al suo posto, sorvolando ove necessario pure sulle leggi, in ossequio alla sola suprema massima Salutes populi suprema lex esto.

E così, per tale orientamento, non avrebbe avuto, e non avrebbe, alcun senso disquisire di ciò che i magistrati avrebbero potuto o non potuto fare quanto invece vagliare come in effetti si adoperavano.

Sarebbe stato proprio lo status necessitatis, attraverso il richiamo al supremo principio di autodifesa dello stato, a legittimare quindi l’impiego dell’imperium militiae anche nell’ambito del pomeriumxvi.

Tale impostazione, sviluppatasi nell’ottica di suggerire una possibile soluzione di tenore esogeno al contrasto, ha finito invece per ampliarlo, se pur sfumandone i contorni, al punto che si è da più parti giunti persino a negare la stessa natura del s.c.u. come quella di un istituto tipicizzato e unicoxvii.

In extrema ratio esso sarebbe frutto di un mito della storiografia post romana, mai assurto a dignità legale, perché se pur in fieri, il consolidamento sarebbe precluso dall’instaurazione del principato.

Al punto che secondo questa impostazione, Cesare non avrebbe contestato il s.c.u. in quanto tale, non perchè ne ritenesse indiscussa la legalità, ma perché ne avrebbe persino sconosciuto l’esistenza!

E in definitiva, non avrebbe alcun senso disputare della natura giuridica di un istituto inesistentexviii.

Un punto di vista dagli intenti volutamente provocatori, al punto di apparire quasi paradossale, che però non si ritiene di sposare, in quanto elusivo di una questione invece di assoluto rilievo, non solo storico, o storiografico, ma pure, e ancor più, giuridico e metagiuridico, per gli indubbi profili etici.

A meno di non voler concludere con l’asserto quasi tranciante del Guarinoxixper cui l’istituto “ a cui noi sacrifichiamo da secoli discussioni e diatribe che non hanno storiograficamente alcun senso, sarebbe stato un puro e semplice consilium la cui funzione sarebbe stata quella della bandiera di Nelson sull’albero di maestra della Victory: l’Inghilterra attende che tutti facciano il loro dovere”!

Solo che risulta assai difficile poter assimilare all’eroico amor di patria dell’ammiraglio Nelson, la sfrenata ambizione, non sempre edificante, dei protagonisti di (quella ?) decadente stagione politica.

Da qui, a chiosa di questa breve riflessione che sottintende però, inevitabilmente, un crudo giudizio, il celebre aforisma di Blaise Pascal: “Non potendosi fortificare la giustizia s’è giustificata la forza”.

i Secondo parte della dottrina, emesso ab initio con questa titolazione, sarebbe stato definito per la prima volta come ultimum da Giulio Cesare e solo da questo momento si sarebbe diffusa la terminologia più consueta; così SIBER, Romisches verfassungsrecht in geschitlichen Entwicklung 1952; FUSCO Recens. su “ Unters.” di Unger Stenberg Von Purkel in IURA, 1970; VINCENTI Brevi note in tema di Senatus Consultum Ultimum in Sodal+itas IV, 1970; DE MARTINO Storia della Costituzione Romana 1973. Tuttavia la definizione poi più diffusamente affermatasi si rinviene sin dal consultum vs. Marco Emilio Lepido, del 77 a.C.; LA BRUNA Il console sovversivo LIGUORI, 1975.

ii Plut. Ti. Graccus 19.3.

iii Plut. Ti. Graccus 14.1-2.

iv Cic. Cat. passim; Plut. Cicero, 22; MENDNER Videant consules in Philologus 1966; WATERS Cicero, Sallust and Catilina in Historia 19.1970; MITCHELL Cicero and the Senatus Consultum Ultimum in Historia XX. 1971.

v SCULLARD From the Gracchi to Nero: A History of Rome 133 B.C. to A.D. 68, 2010.

vi LOUTSCH Cicerone et l’affaire Rabirius, in MH 1982.

vii WILLEMS Le Senat de la Republique Romaine II 1883, rist. Aalen 1969; BARBAGALLO Il Senatus Consultum Ultimum. Una misura eccezionale dei Romani Loescher. 1900; DE MARCHI Della costituzionalità del Senatus Consultum Ultimum. Unin Rend. Ist. Lomb. Serie II 1912; DE MARTINO cit.; FEZZI Il tribuno Clodio, Laterza, 2008.

viii Lex Licinia Pompeia de potestate tribunicia.

ix GUARINO Nemico della patria a Roma in Labeo XVII, 1972.

x LAST The Senatus Consulta de Re Publica defendenda in C.A.H. IX, 1966; ADAMO SILLA Senatus Consultum Ultimum in NDI 16, 1969.

xi PLAUMANN De Sogennante Senatus Consultum Ultimum die quasi – diktatur der spaterem Romischen Republik in Klio, 1913; Unger Stenberg Von Purkel Untersuchungen zum spatrepublikanischen notstandrecht. Sentus Consultum Ultimum und Hostis Erklarung in Vestigia, 1970; CRIFO’ Note in tema di Senatus Consultum Ultimum in SDHI, 1970; BLEICKEN Recens. su “ Unters.” di Unger Stenberg Von Purkel in ZSS 88, 1971; LIEBMANN Recens. su “ Unters.” di Unger Stenberg Von Purkel in A.C. 40, 1971; D’ORS Recens. su “ Unters.” di Unger Stenberg Von Purkel in EMERITA XL fasc. I, 1972.

xii BLEICKEN Provocatio in PW 23, 1959; MARTIN Die provocation in der Klassichen und spaten Republik in Hermes,1970; LINTOTT Provocatio in Aufstieng und Niedergag der Romischen Welt,1972; VENTURINI Per una riconsiderazione della provocatio ad populum in Rivista Storica dell’antichità, 2005.

xiii Caes. B.C.passim.

xiv RODL Des Senatus Consultum Ultimum und der tod der Gracchen in K. Habelt ,GMBH 1969

xv DE MARINI AVONZO Il Senato romano nella repressione penale, 1977;

xvi VON LUBTOV Des Romisches Volk. Sein Stat in sein Recht, 1955; LOUTSCH Cicerone cit; CRIFO’ Attività normativa del senato in età repubblicana in BIDR, 1970; ORMANNI s.v. Necessità ED. 27,1977.

xvii CERAMI Potere e ordinamento nella esperienza costituzionale romana, 1981.

xviii . GUARINO Senatus Consultum Ultimum in Sein und Wenden in Recht, Festg. Von Lubtov, 1970.

xix GUARINO Senatus Consultum Ultimum cit.

Longo Giuseppe

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