Schema di testo unificato predisposto dal relatore il 28 giugno 2005 per i disegni di legge nn. 122-266-422-870-924-986-1242-1280-1290-2420-3253-3255

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Art. 1 Definizione ed ambito di applicazione.
1. La presente legge ha la finalità di dettare i principi fondamentali in tema di mobbing, intendendosi per tale la violenza o persecuzione psicologica, come definita dal comma 2. Sono fatte salve le competenze delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano con riferimento agli interventi socio-sanitari in materia.
2. Si intende per violenza o persecuzione psicologica ogni atto o comportamento adottati dal datore di lavoro, dal committente, dall’utilizzatore ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, da superiori  ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l’integrità psico-fisica della lavoratrice o del lavoratore. Gli atti o comportamenti devono esseri idonei a compromettere la salute o la professionalità o la dignità della lavoratrice o del lavoratore.
3. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano a tutte le tipologie di lavoro, pubblico e privato, indipendentemente dalla loro natura, nonché dalla mansione svolta e dalla qualifica ricoperta.
 
Art. 2 Attività di prevenzione e di accertamento. Codici antimolestie.
1. I datori di lavoro o i committenti, pubblici o privati, ovvero gli utilizzatori ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e le rappresentanze sindacali adottano tutte le iniziative necessarie, intese a prevenire e a contrastare i fenomeni di violenza e di persecuzione psicologica di cui all’articolo 1, comma 2.
2. Qualora siano denunciati, da parte di singoli o di gruppi di lavoratori, atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 2, il datore di lavoro, il committente o l’utilizzatore ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sentite le rappresentanze sindacali e ricorrendo, ove ne ravvisi la necessità, a forme di consultazione dei lavoratori dell’area interessata,  provvede tempestivamente all’accertamento dei fatti denunciati e predispone misure idonee per il loro superamento.
3. I soggetti che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro hanno la facoltà di adottare codici antimolestie e, in particolare, codici volti alla prevenzione degli atti e comportamenti di cui all’articolo 1, comma 2,  anche mediante procedure di carattere conciliativo e tecniche incentivanti.
 
Art. 3 Attività di informazione.
1. I datori di lavoro o i committenti, pubblici o privati,  ovvero gli utilizzatori ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e le rappresentanze sindacali pongono in essere iniziative di informazione periodica sulle fattispecie di cui all’articolo 1, comma 2.
2. I lavoratori hanno diritto di riunirsi fuori dall’orario di lavoro, nei limiti di cinque ore su base annuale, per discutere riguardo alle violenze ed alle persecuzioni psicologiche di cui all’articolo 1, comma 2. Le riunioni sono indette e si svolgono con le modalità e con le forme di cui all’articolo 20 della legge  20 maggio 1970, n. 300.
 
Art. 4 Potere di disposizione.
1. Il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali adotta, nei confronti dei soggetti che pongono in essere gli atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 2, il provvedimento di disposizione di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.
2. La mancata ottemperanza alla disposizione, emanata ai sensi del comma 1, comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 1.000,00 ad euro 6.000,00. Nei confronti dei lavoratori la mancata ottemperanza di cui al primo periodo comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 300,00 ad euro 600,00.
 
Art. 5 Tutela giudiziaria.
1. Qualora vengano posti in essere atti o comportamenti definiti ai sensi dell’articolo 1, comma 2, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, di organizzazioni sindacali, il tribunale territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, ordina al responsabile del comportamento denunziato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, dispone la rimozione degli effetti degli atti illegittimi, stabilisce le modalità di esecuzione della decisione e determina in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Contro tale decisione è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva, la quale determina altresì in via equitativa la riparazione pecuniaria per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della medesima. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. L’efficacia esecutiva del provvedimento di cui al primo periodo non può essere revocata fino alla sentenza del tribunale che definisce il giudizio instaurato ai sensi del secondo periodo.
2. Qualora dagli atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 2, derivi un pregiudizio per il lavoratore, quest’ultimo ha diritto al risarcimento dei danni, ivi compresi quelli non patrimoniali, da far valere in sede di giudizio di cognizione ordinaria. Resta comunque fermo quanto previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, e successive modificazioni.
3. Le variazioni nelle qualifiche, nelle mansioni e negli incarichi ed i trasferimenti che costituiscano atti o comportamenti di cui all’articolo 1, comma 2, nonché le dimissioni determinate dai medesimi atti o comportamenti sono impugnabili ai sensi dell’articolo 2113 del codice civile, secondo, terzo e quarto comma, fatto salvo il risarcimento dei danni ai sensi del comma 2 del presente articolo.
4. Resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per il personale di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modifiche.
5. E’ fatta salva la competenza delle consigliere e dei consiglieri di parità ai sensi dell’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.
 
Art. 6 Pubblicità del provvedimento del giudice
1. Su istanza della parte interessata, il giudice può disporre che della sentenza di accoglimento ovvero di rigetto di cui all’articolo 5venga data informazione, a cura del datore di lavoro, del committente o dell’utilizzatore ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,mediante lettera ai lavoratori interessati, per unità produttiva o amministrativanella qualesi sia manifestato il caso di violenza o persecuzione psicologica, oggetto dell’intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subito tali azioni.
 
Art. 7 Norme finanziarie.
1. Gli obblighi derivanti dagli articoli 2 e 3 a carico delle pubbliche amministrazioni, in qualità di datori di lavoro o di committenti, trovano applicazione esclusivamente nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio.
2. Dall’attuazione dei medesimi articoli 2 e 3 non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

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