Salvo titolo contrario, il sottotetto è comune anche se nei rogiti o nel regolamento non è indicato tra le parti comuni

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riferimenti normativi: artt.  1117 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 6458 del 6/03/2019

La vicenda

Un condomino citava in giudizio tutti gli altri partecipanti al condominio perché venisse accertato il diritto di proprietà pro quota dei locali sottotetto che riteneva parte comune del fabbricato.

Il sottotetto – che era stato trasformato in abitazione e poi frazionato – risultava occupato dagli eredi dell’originario unico proprietario dell’edificio, poi diventato condominio.

Quest’ultimi, domandavano in via riconvenzionale l’accertamento della proprietà esclusiva dei sottotetti loro spettante, per le rispettive quote di provenienza ereditaria.

Il Tribunale, a seguito di accertamenti, escludeva che i sottotetti si dovessero considerare parte condominiale; secondo lo stesso giudice infatti tali locali si dovevano considerare di proprietà esclusiva degli eredi dell’originario unico proprietario.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello.

I giudici di secondo grado in via preliminare osservavano come, prima della riforma del condominio, il sottotetto di un edificio in condominio non fosse stato incluso nell’elenco delle parti comuni indicate dall’art. 1117 c.c.; in ogni caso aggiungeva che nei rogiti non erano presenti indicazioni tali da far considerare il sottotetto parte comune per volontà dei contraenti; inoltre, come sottolineavano i giudici di secondo grado, i sottotetti neppure rientravano tra le “cose di proprietà comune” contemplate dal regolamento approvato dall’assemblea.

La questione

Il sottotetto è da considerare una parte comune anche se nei rogiti o nel regolamento non è indicato tra le parti condominiali?

La soluzione

La Cassazione non ha ritenuto condivisibile la decisione dei giudici di secondo grado.

Secondo i giudici supremi sono oggetto di proprietà comune dei condomini, ai sensi dell’art. 1117 c.c., i sottotetti destinati, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune di tutte le porzioni immobiliari del fabbricato.

La circostanza che gli atti di vendita, come le correlate note di trascrizione, non contengano espressa menzione del trasferimento della comproprietà dei sottotetti non può essere considerata in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 c.c.

In realtà – come sottolinea la Cassazione – una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio, le vicende traslative riguardanti le unità immobiliari estendono i loro effetti alle parti comuni.

Del resto secondo la Cassazione la Corte di Appello ha errato anche nel supporre che la natura condominiale del sottotetto dovesse negarsi perché non stabilita nel regolamento condominiale.

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Le riflessioni conclusive

Il sottotetto, a seconda dell’altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e dell’esistenza o meno di finestre, si distingue in: camera d’aria o palco morto, e, cioè, vano sprovvisto di solaio idoneo a sopportare il peso di persone e cose, destinato essenzialmente a preservare l’ultimo piano dell’edificio dagli agenti atmosferici; soffitta, ossia vano inabitabile ma utilizzabile soltanto, ad esempio, come deposito o stenditoio ; “mansarda”, e cioè locale abitabile.

Secondo l’articolo 1117 c.c., comma 1, sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:

……2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune.

La natura del sottotetto di un edificio, quindi, è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato, anche solo potenzialmente, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune.

Alla luce di quanto sopra si può affermare che, in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di alcune unità immobiliari dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione “pro indiviso” del sottotetto, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente al venditore o ad uno dei condomini la proprietà dei locali sottotetto e di escluderne gli altri.

E’ fondamentale quindi verificare il momento di costituzione del condominio, con riferimento all’atto con cui l’originario unico proprietario ne ha operato il frazionamento, vendendo ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione (questo atto è il c.d. titolo).

A volte però i titoli non dicono nulla.

La proprietà del sottotetto si determina in base al titolo e, in mancanza dello stesso o di indicazioni nel primo rogito, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto; per presumerne la natura condominiale, è necessario che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale; diversamente, spetta al condomino, che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova.

A tale scopo non sono determinanti, né le risultanze del regolamento di condominio, né l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, né i dati catastali.

Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo.

In quest’ultima ipotesi, il proprietario ha diritto di utilizzarlo, a seconda dei casi e delle norme urbanistiche, come deposito, stenditoio, ma anche come parte della sua abitazione: è il tipico caso del sottotetto con la pavimentazione formata da tavolati di legno, con altezza minima, senza ingresso dalle parti comuni ed al quale si può accedere unicamente dall’appartamento sottostante attraverso la creazione di un’apposita apertura.

La soluzione non è agevole nelle situazioni più complesse, ossia quando il sottotetto è raggiungibile non dalle scale ma attraverso botole, oppure se il medesimo sottotetto non è abbastanza ampio per essere giudicato autonomo ed essere, quindi, utile a tutti, o quando il bene risulta di dimensioni ridotte ma ospitante impianti condominiali (come, ad esempio, la caldaia dell’impianto di riscaldamento o la centralina dell’antenna della televisione condominiale).

Per risolvere la questione concernente l’assetto proprietario, dunque, in assenza di titolo, bisogna valutare caso per caso.

Tuttavia è comune il sottotetto costituito da un ambiente unico (privo di collegamenti diretti con gli appartamenti sottostanti) che ospita impianti condominiali (tubazioni, esalatori fogne, centraline tv ecc.) ed è dotato di un accesso tramite la scala condominiale, un pavimento in cemento e un’altezza che ai margini è pari a zero ma che raggiunge circa 3 metri al sottocolmo.

In ogni caso la presunzione di proprietà comune del sottotetto non è vinta quando lo stesso sia idoneo, anche dal punto di vista soltanto potenziale, ad essere adibito ad un servizio di interesse comune (ad esempio stenditoio), ed abbia caratteristiche tali, per quanto riguarda accessibilità e funzione, da escludere un collegamento privilegiato con le unità abitative immobiliari site all’ultimo piano.

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Sentenza collegata

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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