Il rito superaccelerato, le questioni aperte e il rinvio alla Corte di Giustizia

Redazione 12/02/18
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di Alessandro Massari

Come è noto, l’art. 204, d.lgs. n. 50/2016, ha modificato l’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., introducendo il c.d. rito superacccelerato per l’impugnativa degli atti di ammissione ed esclusione dei concorrenti dalla gara di appalto, da effettuarsi entro trenta giorni dalla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante.

La norma processuale si ricollega al duplice adempimento pubblicitario e informativo previsto dall’art. 29 del Codice, novellato dal decreto correttivo, per cui “Al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all’esito della verifica della documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali. Entro il medesimo termine di due giorni è dato avviso ai candidati e concorrenti, con le modalità di cui all’articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando l’ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti”.

In base al combinato disposto delle due norme riportate, la ditta partecipante ad una gara, che vuole contestare l’ammissione di un altro partecipante, lamentando il difetto dei requisiti soggettivi e di quelli economico-finanziari e tecnico-professionali e, quindi, l’illegittimità della decisione della stazione appaltante di non aver escluso il partecipante, deve proporre ricorso entro 30 giorni dalla comunicazione ex art. 29 d.lgs. 50/2016. La previsione di questo rito, c.d. super accelerato, per l’impugnativa dei provvedimenti di esclusione o di ammissione, risponde alla necessità di consentire la definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione; ovverosia, in sostanza, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione. L’intento del legislatore è stato infatti quello di definire prontamente la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte (Cons. Stato, commissione speciale, parere n. 885 dell’1 aprile 2016), creando un «nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda» (Cons. Stato, sez. V, ordinanza n. 1059 del 15 marzo 2017).

Tra le questioni tuttora aperte sottese all’applicazione dell’art. 29 si evidenzia quella relativa alla necessità o meno di procedere alla verifica integrale dei requisiti in capo a tutti i soggetti ammessi al fine di adottare il provvedimento di ammissione o di esclusione. La disposizione, novellata dal correttivo, stabilisce che “il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all’esito della verifica della documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali”. Nel testo anteriore alla novella si prevedeva invece che i medesimi provvedimenti fossero adottati all’esito della “valutazione dei requisiti…”.

La norma pare piuttosto ambigua nella sua formulazione testuale: il riferimento alla verifica della “documentazione” potrebbe deporre nel senso della adozione del provvedimento sulla base delle mere risultanze del DGUE e delle ulteriori dichiarazioni sostitutive prodotte dai concorrenti. D’altra parte la verifica integrale sui requisiti è espressamente prevista solo in capo all’aggiudicatario (art. 85, comma 5 e art. 36, comma 5). Tale opzione esegetica se da un lato tende a privilegiare i principi di semplificazione, efficienza e non aggravamento, dall’altro si espone al rilievo per cui il provvedimento di ammissione, in particolare, non avrebbe in tal caso carattere di definitività, e soprattutto la stazione appaltante non sarebbe in grado di motivare le effettive ragioni sulla base delle quali il concorrente è stato ammesso, al di là delle mere risultanze autodichiarative. Ciò che potrebbe comportare il mancato decorso dei termini impugnatori del provvedimento di ammissione

La tesi opposta, che si fonda sulla distinzione tra “valutazione” (nel testo antevigente il correttivo) e “verifica” implica invece sempre l’attivazione del subprocedimento di verifica integrale dei requisiti. Se tale applicazione può rendere particolarmente gravosa la procedura di aggiudicazione in presenza di un numero elevato di concorrenti, essa consente tuttavia di pervenire all’adozione di provvedimenti definitivi in termini di ammissione o esclusione dalla gara, con relativa certezza in ordine al decorso dei termini impugnatori. La questione si pone, sul piano operativo, in ragione delle tempistiche richieste per l’espletamento delle verifiche su tutti i requisiti con l’attuale sistema AVCPass nelle more dell’attivazione della famigerata “Banca dati nazionale degli operatori economici” (che dovrebbe invece generare un report sul possesso o meno dei requisiti in tempi più rapidi).

Altra questione è poi quella della forma del provvedimento: se sia sufficiente la pubblicazione dei verbali di gara oppure sia richiesta una vera e propria determinazione dirigenziale. Dobbiamo rammentare che, a tenore delle linee guida ANAC n. 3 (par. 5.2.) è il Responsabile del Procedimento che adotta le decisioni conseguenti alla valutazione della documentazione amministrativa (e quindi l’ammissione o l’esclusione, dopo gli eventuali soccorsi istruttori).

In una visione “sostanzialistica” il verbale di gara, pur non coincidendo con il “provvedimento” può tuttavia contenere la valutazione delle risultanze delle dichiarazioni o rappresentare l’esito delle verifiche dei requisiti, e quindi illustrare la motivazione circa l’esclusione dalla gara o l’ammissione dei concorrenti. Se approvato dal R.P. (qualora non facente parte del seggio di gara o dell’ufficio/servizio deputato alla valutazione della documentazione amministrativa), il verbale potrebbe, per così dire, tenere luogo del provvedimento. La pubblicazione dei verbali in “Amministrazione trasparente” deve peraltro tenere conto in ogni caso dei profili di riservatezza realtivi ai dati sensibili (condanne penali, ecc.) eventualmente contenuti nei medesimi verbali.

In tal senso si è espressa anche l’ANAC nella Relazione AIR delle “Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016”; si è osservato che “Per quanto riguarda l’obbligo di pubblicazione dei verbali di gara, valutate le problematiche legate a profili di riservatezza che potrebbero derivarne, nelle LG è stato specificato che si ritiene sufficiente la pubblicazione degli elenchi dei verbali delle commissioni di gara, ferma restando la possibilità di esercizio del diritto di accesso civico generalizzato ai predetti verbali, ai sensi degli artt. 5, comma 2 e 5-bis del d.lgs. 33/2013”.

La tesi formalistica che richiede invece l’adozione di un canonico “provvedimento” per l’ammissione o l’esclusione si fonda sulla lettera sia dell’art. 29 del Codice, sia dell’art. 120, comma 2-bis, c.p.a. Anche il bando-tipo n. 1/2017 pare distinguere tra verbale e provvedimento, laddove al punto 19 prevede che, esaurita la verifica di ricevibilità delle offerte,: “il ……………. [RUP/seggio di gara/apposito ufficio-servizio] procederà a: a) verificare la conformità della documentazione amministrativa a quanto richiesto nel presente disciplinare; b) attivare la procedura di soccorso istruttorio di cui al precedente punto 14; c) redigere apposito verbale relativo alle attività svolte; d) adottare il provvedimento che determina le esclusioni e le ammissioni dalla procedura di gara, provvedendo altresì agli adempimenti di cui all’art. 29, comma 1, del Codice”.

Altra questione che riguarda precipuamente il rito superspeciale per l’impugnazione è quella sollevata dal TAR Piemonte, sez. I, con ordinanza n. 88 del 17 gennaio 2018, il quale ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i due seguenti quesiti: 1) «se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art. 120 comma 2-bis c.p.a, che, impone all’operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti; 2) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1, Direttiva 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120 comma 2-bis c.p.a, che preclude all’operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine suindicato».

Il giudice piemontese, nell’ordinanza in commento, ha messo in luce numerose criticità ricollegate a due possibili scenari che possono verificarsi: l’ipotesi in cui venga censurata l’ammissione/mancata esclusione di una concorrente che, conclusa la gara, non si riveli poi aggiudicataria; l’ipotesi in cui la stessa ricorrente, a graduatoria definita, si collochi in una posizione tale da non avere alcun interesse a contestare l’aggiudicazione.
In tale ipotesi, osserva il TAR, si impone ad un soggetto partecipante alla gara un onere “inutile” al fine dell’interesse finale perseguito da chi partecipa, cioè l’aggiudicazione dell’appalto. Nella differente ipotesi, in cui nessuna ditta partecipante faccia valere tempestivamente la mancata esclusione di altro partecipante, che risulti poi aggiudicatario, è preclusa la possibilità di fare valere vizi relativi all’illegittima ammissione dell’aggiudicataria, con la conseguenza che potrebbe conseguire l’aggiudicazione una ditta priva dei requisiti di partecipazione, nell’ipotesi in cui la stazione appaltante sia incorsa in errore nella valutazione degli stessi.

In questo quadro, l’imposizione al soggetto partecipante alla gara di un onere preventivo di impugnazione potrebbe configurarsi come «un onere “inutile”», in assenza di un interesse attuale. Il giudice piemontese ha individuato una violazione dei principi europei in materia di diritto di difesa e di presupposti dell’azione, riferendosi in particolar modo al principio di effettività sostanziale della tutela, che l’art. 1, Direttiva 89/665/CEE espressamente riconnette alla nozione di interesse ove impone agli Stati membri di apprestare un sistema di giustizia che garantisca un utile accesso a «chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione».

In tal senso, il TAR richiama anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia che, da ultimo, con la nota sentenza resa nel caso Puligienica, richiede che l’operatore economico abbia e conservi sempre un interesse all’aggiudicazione dell’appalto (Corte Giust., 5 aprile 2016, C-689/13).
Condivisibili le argomentazioni del giudice torinese per cui “… il soggetto privato obbligato a proporre un giudizio secondo lo schema del rito “superaccelerato” non solo non ha un interesse concreto ed attuale ad una pronuncia dell’autorità giudiziaria, ma subisce anche un danno dall’applicazione dell’art. 120 c. 2bis c.p.a., non solo con riferimento agli esborsi economici ingentissimi collegati alla proposizione di plurimi ricorsi avverso l’ammissione di tutti i concorrenti alla gara (in un numero potenzialmente molto elevato), ma anche per la potenziale compromissione della propria posizione agli occhi della Commissione di gara della S.A., destinataria dei plurimi ricorsi, che è chiamata nelle more del giudizio a valutare l’offerta tecnica del ricorrente; e per le nefaste conseguenze in merito al rating d’impresa disciplinato dall’art. 83 CCP, che individua come parametro di giudizio (negativo) l’incidenza dei contenziosi attivati dall’operatore economico nelle gare d’appalto.

In tale quadro, che si prospetta potenzialmente idoneo a dissuadere i concorrenti da iniziative processuali anticipate rispetto al verificarsi della lesione concreta, sembrano trovare fondamento le critiche sollevate da parte della dottrina che ha attribuito alla novella legislativa l’intendimento di ridurre le facoltà di difesa e, al contempo, le occasioni di sindacato del giudice amministrativo sull’esito delle gare pubbliche.

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