Rimborso spese legali a dipendenti ed amministratori degli enti locali

Redazione 25/01/18
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di Marcella Gargano

(Tratto da MONEA, CRISTALLO, MORDENTI, Rapporto di lavoro e gestione del personale nelle Regioni e negli Enti locali)

La materia del rimborso delle spese legali ha assunto negli ultimi anni un rilievo sempre maggiore, anche in considerazione della notevole incidenza sulle casse pubbliche che risentono sempre più della necessità del contenimento della spesa pubblica.

La materia si presenta non omogenea, tenendo conto che per i giudizi civili, penali e amministrativi, la normativa di riferimento è diversa a seconda che si tratti di dipendenti di amministrazioni statali (art. 18 del d.l. n. 67/1997 convertito dalla legge n. 135/1997) ovvero di dipendenti e/o amministratori degli Enti locali e delle autonomie territoriali (art. 67 del d.P.R. n. 268/1987).

La normativa si differenza, ulteriormente, qualora si tratti di spese legali sostenute da dipendenti e/o amministratori pubblici nei giudizi innanzi alla Corte dei conti (art. 3, comma 2-bis, legge n. 20/1994, come modificato dal d.l. n. 543/1996, convertito dalla legge n. 639/1996).

Recentemente, non sono mancati ulteriori interventi del legislatore.
L’art. 7-bis, comma 1, del d.l. n. 78/2015, convertito con legge n. 125/2015, ha novellato il comma 5 dell’art. 86 del TUEL, estendendo la rimborsabilità delle spese legali per gli amministratori locali anche ai processi civili, amministrativi e penali, in presenza di determinati requisiti.
Per effetto della delega contenuta nell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124”, poi, è stato emanato il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, che ha approvato il Codice della giustizia contabile, il cui art. 31 disciplina la regolazione delle spese processuali.
Il presente intervento vuole essere un tentativo di delineare, anche se in modo necessariamente sintetico, un quadro, il più articolato possibile, dell’argomento in questione, con riferimento alla sola fattispecie degli enti locali, considerato l’oggetto dell’opera editoriale nella quale si colloca.

RIMBORSO DELLE SPESE LEGALI AI DIPENDENTI

In proposito, va ricordato che la materia è ora regolata dall’art. 28 del CCNL del 14 settembre 2000, per il personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali, il quale riproduce, sostanzialmente, il testo dell’art. 67 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268.
Le suddette disposizioni prevedono che: “l’ente, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento”.
Tuttavia, come la giurisprudenza ha più volte messo in luce, e come del resto si desume dal dettato normativo, non si ravvisa nel nostro ordinamento un principio generale che consenta di affermare, indipendentemente dalla fonte normativa settoriale e a prescindere dai limiti in cui il diritto viene conformato, l’esistenza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese.

L’assunzione dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai dipendenti degli enti locali non è, infatti, né un atto dovuto, né tantomeno automatico, ma è conseguenza di alcuni presupposti che devono sussistere e di rigorose valutazioni che l’ente è tenuto a fare, anche ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche, quali la connessione della vicenda giudiziaria con la funzione rivestita dal pubblico funzionario, la tutela dei diritti ed interessi facenti capo all’ente, l’assenza di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal funzionario e l’ente, la conclusione del procedimento con una sentenza di assoluzione (cfr., a tal proposito, Cass., sez. I, 13 dicembre 2000, n. 15724; Cass. civ., sez. I, 3 gennaio 2001, n. 54; Cass., sez. lavoro, 19 settembre 2002, n. 13624; Cass., sez. I, 10 dicembre 2004, n. 23138; Cons. Stato, 9 ottobre 2006, n. 5986; Cass., sez. un., 4 giugno 2007, n. 13048; Cass., 13 marzo 2009, n. 6227; Cass., sez. un., 29 maggio 2009, n. 12719; Cass., sez. lavoro, 7 giugno 2010, n. 13675).

Con riferimento ai “fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio”, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la ratio sottesa alla norma in parola è quella di tenere indenni i soggetti che hanno agito in nome e per conto – oltre che nell’interesse – dell’amministrazione dalle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione “può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’amministrazione di appartenenza”.

Non è quindi sufficiente che l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorre che il dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto rapporto con le mansioni svolte e che siano connesse all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri d’ufficio.

In proposito, è legittimo il rifiuto della domanda di rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente della pubblica amministrazione, prosciolto da un giudizio di responsabilità penale per non aver commesso il fatto, “per mancanza di riferibilità immediata e diretta dell’agire dell’istante al volere dell’amministrazione”, dovendo l’imputazione riguardare, ai fini di detto rimborso, un’attività svolta in diretta connessione con i fini funzionali dell’ente e, quindi, imputabile allo stesso ente (Consiglio di Stato, sez. IV – sentenza 5 aprile 2017, n. 1568).

In linea con la suddetta impostazione, si era già espresso il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4448/2015, negando il riconoscimento delle spese legali ad un dipendente di un ente locale, sul presupposto che il proscioglimento del medesimo dipendente dall’accusa di truffa ex art. 640 del Codice penale, non era legata alle funzioni istituzionali bensì al rapporto di lavoro. In tal senso, anche l’ordinanza n. 2366/2016 della Corte di Cassazione ha stabilito la non legittimazione al rimborso delle spese legali al dipendente assolto in sede penale, nell’ipotesi di imputazione rientrante in fatti non connessi allo svolgimento della sua funzione pubblica.

Ai fini del diritto al rimborso delle spese legali, quindi, una volta chiarita l’insufficienza della presenza di una sentenza di proscioglimento del dipendente dal giudizio di responsabilità penale, resta da considerare l’ulteriore presupposto della coincidenza di interessi tra il dipendente e l’amministrazione di appartenenza, intesa appunto come immedesimazione del soggetto, quale organo, con l’amministrazione di appartenenza.
Il rapporto di immedesimazione organica che lega l’amministrazione al titolare di un proprio organo comporta, infatti, l’imputazione alla prima degli atti compiuti dal secondo nell’espletamento delle competenze demandategli. Peraltro, l’operatività di questo meccanismo giuridico di imputazione non è senza limiti; il rapporto di immedesimazione organica si interrompe allorquando la persona fisica titolare dell’organo abbia agito per fini diversi e ulteriori rispetto ai compiti affidati e quindi alla funzione attribuita ex lege alla P.A., con la conseguenza che detto comportamento costituisce esclusiva ed autonoma manifestazione della personalità dell’agente (cfr. TAR Campania, Napoli, n. 737/2005).
In tal modo, la frattura del nesso organico con l’apparato pubblico rende estranea l’amministrazione alle condotte poste in essere dal dipendente, mancando il nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto.

Infine, tra i presupposti richiesti per la corresponsione del rimborso delle spese legali vi sono quelli di una sentenza di assoluzione ampia e l’assenza di conflitto d’interesse.
Al riguardo, giova sottolineare che, nei giudizi penali la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione – così come il proscioglimento con formule meramente processuali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2000, n. 2242) – non può certamente essere considerata equivalente ad una pronuncia di assoluzione nel merito, con conseguente insussistenza del diritto al rimborso delle spese sostenute (cfr. Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2008, n. 10052).

Allo stesso modo, l’assoluzione del dipendente con la formula “il fatto non costituisce reato” non rappresenta un proscioglimento pieno per l’imputato e lascia ampi margini di dubbio sull’effettiva assenza di situazioni di conflitti di interesse.

Infatti, l’irrilevanza penale della condotta per mancanza dell’elemento soggettivo del dolo (ma non della colpa grave), lascia intravedere la sussistenza di un conflitto di interessi con l’ente, sotto il profilo della violazione dell’interesse dell’ente ad una gestione conforme al principio di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97, Cost. In tali casi, quindi, la liquidazione delle spese legali non è dovuta (cfr. Corte Conti, sez. giur. Lazio, sent. n. 1908/2009).

Anche la costituzione di parte civile dell’ente è sintomatica di un conflitto che non consente il rimborso delle spese legali, essendo del tutto evidente, in tali ipotesi, il conflitto d’interessi tra l’ente e il dipendente (cfr. Cass., sez. lav., 17 settembre 2002, n. 13624).

Infine, merita di essere menzionata la pronuncia n. 4811/2015 della Corte d’Appello di Napoli, con la quale è stato stabilito che “il rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in un giudizio penale, anche qualora si sia concluso con l’assoluzione piena, non compete nel caso in cui colui che ne abbia fatto richiesta alla pubblica amministrazione non ne sia dipendente ma intrattenga un rapporto di libera collaborazione, ovvero, pur essendone un lavoratore subordinato, non abbia provveduto a informarla dell’esistenza di un procedimento a proprio carico”.

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