Rilevanza del concorso colposo nel delitto doloso

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Con la sentenza 14 febbraio 2019, n. 7032 la quarta Sezione della Corte di Cassazione, tale tema viene riesaminato sotto nuovi e diversi profili rispetto al passato. L’Istituto in questione, riguarda “le ipotesi in cui un soggetto, pur potendo prevedere l’evento criminoso, pone in essere una condotta colposa che fornisce un contributo alla realizzazione di propositi delittuosi deliberati e concretizzati da parte dell’autore diretto il quale agisce in dolo”.

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Indice

1. La disamina della Corte che nega rilevanza giuridica all’ipotesi di concorso colposo in reato doloso

L’imputazione al vaglio degli Ermellini riguardava un medico curante di base che avrebbe con la sua condotta colposa, con apporti causali indipendenti, concorso nell’omicidio doloso commesso dal signor Tizio, nonché di aver cagionato sempre per colpa la sua morte.
Il sig. Tizio al fine di ottenere il porto d’armi si recava dal proprio medico curante (imputato) per farsi rilasciare in certificato attestante l’assenza di qualsivoglia problema psichico, attestante l’assenza di malattie del sistema nervoso, di disturbi mentali, di personalità o comportamentali, certificato che il medico curante nonostante avesse piena conoscenza che il soggetto Tizio, era seguito da strutture specialistiche per disturbi psichici, essendogli stato diagnosticato un disturbo bipolare ed era, quindi, portatore di patologie psichiche di rilievo, emetteva tale certificazione.
Il soggetto Tizio, acquisito il porto d’armi e acquistata l’arma, entrava negli uffici della Regione Umbria ed esplodendo colpi di pistola contro due impiegate, ne cagionava la morte e successivamente, con la medesima arma si toglieva la vita.
Il capo di imputazione di che trattasi vedeva il medico di famiglia imputato di una serie di reati:
a) per il fatto p. e .p. dagli artt. 41 e 589 c.p. per aver con la sua condotta colposa, con apporti causali indipendenti, concorso nell’omicidio doloso commesso dal sig. X., nonché di aver cagionato sempre per colpa la sua morte;
b) del reato di cui all’art. 481 c.p. in relazione alle false attestazioni contenute nel certificato anamnestico;
c)  del reato p. e p. dagli artt. 48 e 480 per aver indotto in errore il medico della Polizia di Stato ai fini del rilascio del certificato di idoneità per il rilascio del porto d’armi.
Il processo penale è controverso e nei tre gradi di giudizio, si svolge secondo la seguente dinamica; infatti, in primo grado il medico viene assolto, per il capo a) perché il fatto non sussiste, per il capo b) perché il fatto non costituisce reato, mentre in relazione al capo c) per non avere commesso il fatto.
A fronte della sentenza di assoluzione proponevano appello sia il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.
La Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava il medico curante responsabile del reato di cui al capo a) per avere concorso, con la sua condotta colposa, agli omicidi dolosi commessi nei confronti delle due impiegate, condannandolo ad una provvisionale immediatamente esecutiva in favore delle parti civili.
A seguito di ciò l’imputato impugnava la sentenza de quo in Cassazione, che in risposta a tale gravame in escludeva, nell’articolato provvedimento di sua cura, la configurabilità del concorso colposo a delitto doloso, ma al contempo veniva ritenuta una responsabilità penale, ex art. 41 e 589 c.p., come originariamente contestato nel capo di imputazione, ossia, come concorso di cause indipendenti, fra le quali il rilascio del certificato anamnestico non rispondente al vero.
La Cassazione con sentenza di annullamento con rinvio ripropone, al Giudice di seconde cure di altro distretto (Corte di appello di Firenze), la valutazione circa la prevedibilità degli omicidi, essendo ritenuta carente quella posta a base della condanna e rilevando come in punto di motivazione la sentenza fosse “scarna” e non si fossero correttamente motivati i profili della condotta tenuta dal medico curante, in tema di concorso di cause indipendenti a norma dell’art. 41 c.p., che ha comportato i due eventi omicidiari e il suicidio dell’agente.
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2. Il concorso colposo a delitto doloso uno dei temi maggiormenti dibattuti dalla dottrina penalistica

Nel 1990 le Sezioni Unite (4 Cass. Sez. Un., 2720-90) escludono la configurabilità dell’Istituto in questione, tale arresto giurisprudenziale viene contraddetto nei primi anni duemila (Cass. Sez. IV, 39680-02) attraverso un provvedimento di condanna ai danni di un custode di un deposito di pneumatici per colpa consistita nel non rispetto delle disposizioni impartite dai vigili del fuoco. A seguito di tale ultimo disposto l’effettiva applicabilità dell’Istituto non apparve più, per la giurisprudenza, un casus belli, ciò almeno fino alla pronuncia della sentenza in esame, in cui la IV sezione della Corte di Cassazione viene, di fatto, a negare la rilevanza giuridica del concorso colposo a delitto doloso nel favore di una contestazione basata sull’applicazione dell’artt. 41 e 589, così come originariamente contestato nel capo di imputazione al vaglio del primo Giudice di merito.
Con la sentenza 14 febbraio 2019, n. 7032 la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ritorna sulla questione della ammissibilità del concorso colposo nel reato doloso che è stata oggetto di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza
Di pregio la circostanza, a mente della quale, la IV sezione della Corte di Cassazione non ha ritenuto rimettere la questione all’intervento risolutore delle Sezioni Unite, considerando che sufficienti a fondare il giudizio fossero i principi a fondamento dell’art. 41 cp, sul punto i giudici di P.zza Cavour, riportandosi al precedente arresto sul tema delle Sezioni Unite, rilevano che: “principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (ex multis, Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018 – dep. 13/07/2018, Capobianco e altro, Rv. 273568). A tal riguardo questa Corte non condivide il principio secondo il quale ai fini del giudizio di prevedibilità richiesto per la configurazione della colpa, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione “ex ante” dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione risultando imposto dal principio di colpevolezza quanto meno la prevedibilità della tipologia di lesione che concreta il reato di cui trattasi risultando imposto dal principio di colpevolezza quanto meno la prevedibilità della tipologia di lesione che concreta il reato di cui trattasi..
Insegnamento a cui le Sezioni Unite aveva fatto riferimento riportando il principio a mente del quale: la necessaria prevedibilità dell’evento – anche sotto il profilo causale – non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Sez. Unite, n. 38343 del 24/04/2014).
Nel caso di omicidio colposo, riferiscono ancora le Gli Ermellini (Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014), non è sufficiente una generica prevedibilità di lesione della integrità fisica ma occorre la prevedibilità della lesione del bene vita. Merita di essere precisato altresì che la valutazione in ordine alla prevedibilità dell’evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento.
Quindi, a parere della Corte, la condotta posta in essere dal medico curante, in ragione delle sue specifiche qualità personali e la specifica classe di agente modello di riferimento non può essere collegata causalmente all’evento, in osservanza del principio di colpevolezza e non di meno al principio, potremmo aggiungere, dell’unitarietà del reato di concorso con il quale il Legislatore prescrive che le condotte dei concorrenti devono necessariamente essere sorrette dal medesimo contributo psicologico e sarebbe tautologico rappresentare che ogni contributo agevolatore del fatto di reato deve essere diretto verso lo stesso obiettivo a cui tende la condotta dolosa dell’esecutore principale del fatto.
La circostanza che il medico potesse orientarsi nella mera prevedibilità che tizio avesse la volontà  di commettere atti omicidiari e non solo quella di armarsi è circostanza che deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio, sotto il profilo della cooperazione verso un unico fine. E nel caso che ci occupa gli Ermellini hanno voluto sottolineare l’impossibilità di collegare causalmente e sotto un profilo unitario la condotta di taluno che non ha inteso perseguire lo stesso fine voluto dall’esecutore principale del fatto.

3. La necessaria prevedibilità dell’evento deve riferirsi alla classe di eventi in cui colloca quello oggetto del processo

In definitiva, la Suprema Curia rifugge l’orientamento che riteneva ammissibile il concorso colposo nel delitto doloso, attraverso le note del principio di legalità, e rivolge l’analisi, su cui è chiamata a pronunciarsi, al tema delle concause ex art. 41 c.p. nel quale il Legislatore attribuisce a tutte le concause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, la medesima rilevanza causale.
A parere del Supremo Collegio, nella sentenza sottoposta a d esame, la costruzione di una nuova e autonoma fattispecie attraverso l’opera ermeneutica non deve considerarsi opera legittima, posto che, come riportato: “In primo luogo occorre considerare che in assenza di una esplicita previsione legale il rinvenimento di una disciplina ‘implicita’ deve risultare incontrovertibile, allorquando. – come nel caso che ci occupa – la tesi non opera una contrazione dell’area del penalmente rilevante, bensì una sua espansione.
Il concorso colposo nel delitto doloso, infatti, nelle intenzioni dei suoi sostenitori avrebbe proprio la funzione di rendere tipiche condotte altrimenti atipiche, superando con lampante evidenza la prescrizione prevista all’art. 42 co. 2 c.p., che impone la necessaria previsione espressa dei delitti colposi, sull’assunto che il campo applicativo degli stessi non può, ma, deve essere relegato alle sole norme c.d. incriminatrici individuate della parte speciale del codice.
Non appare pletorico rammentare il vincolo che viene attribuito all’interprete dal principio di legalità, connesso per esigenze di rispetto codicistico al dovere di non operare ‘accessioni’ in malam partem; ferma restando la indiscutibile necessità di trarre dalla legge ogni possibile plausibile significato attraverso i noti criteri interpretativi.
Ciò implica, ad avviso della Suprema Curia, che più dell’argomento logico vale il limite della previsione legale, perché è da dimostrare che il legislatore abbia inteso ricorrere ad una penalizzazione estesa piuttosto che contratta.

4. Conclusioni

Pertanto, non sembra convincente un’impostazione che miri ad evidenziare che ‘nulla osta’ alla configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso; piuttosto è necessario dimostrare che vi è una previsione legale che contempla tale istituto.”
È evidente che quanto riportato inviti ogni interlocutore al rispetto, sotto ogni profilo, del rigore del principio di legalità e, ogni analogamente dell’art 42 comma 2, in luogo di un ampliamento inopinato della sfera del penalmente rilevante, come potrebbe verificarsi, a parere della Corte e del provvedimento di sua cura, applicando l’Istituto del concorso colposo a delitto doloso.

Eugenio Salvatore

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