Riflessioni su un metodo

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Osserva Rohrabach  che accanto e oltre il pensiero logico, monologico-astratto, per cui vi è una “verità universalmente valida, oggettiva,” vi è un “pensiero della parola” che nel subentrare al pensiero logico acquista una verità “sinfonica”, non dovendosi ridurre alla semplice contrapposizione oggettivo-soggettivo, viene in tal modo recuperato nel pensiero occidentale un’intera dimensione mancante per acquisire la “realtà”, una realtà che di fatto ci viene a sfuggire, il pensiero grammaticale non parla ad una indifferenziata collettività bensì alla dimensione concreta del singolo in rapporto agli altri (Ebner) e per tale via supera la limitatezza e le insicurezze del cogito ridotto al solo io sono.

L’esclusiva dimensione scientifica dell’individuo a cui il pensiero idealistico (Hegel) tende a ridurlo, individuando il vero sapere solo nella forma della scienza, viene a perdere il concetto di singolarità come essere in rapporto agli altri, in relazione, l’individualità diventa affermazione dell’io in contrapposizione ma in questo sprofonda nella necessità tecnologica della collettività, in quanto la mancanza della verità sinfonica del pensiero e della parola portano al caos dell’individualità (Rosenzweig), Schopenhauer ci ricorda che finché l’individuo lavora al riparo di “qualcosa” non ascolta egli contempla il mondo senza interrogativi, oggettivamente, e non è parte riflettente, sentimento di esso, vi è un’assoluta sicurezza etica che si oppone alla ricerca che nasce dall’interrogarsi, dal dubitare su sé e poi sul mondo come ci è presentato, vi è la frantumazione dello Spirito assoluto (Herrigel) nella ricerca del realismo dell’esistenza.

Ogni variazione grammaticale riflette un mutamento dell’anima (Rosenstock), l’evento eversivo diventa costitutivo di una nuova comunità linguistica, dove il principio di identità cartesiano viene a frantumarsi nell’alterità del gruppo e l’io diventa “omologo”, ossia della stessa parola, con l’alterità, qui vi è la possibilità di superare il “vuoto”, la solitudine e l’aggressività che la relazione conflittuale, imposta, pone al singolo, vi è nella costruzione del sistema una possibile violenza nell’imporre le relazioni, i diritti così fortemente affermati del singolo nella mancata “correlazione” (Rosenzweig) diventano strumento di aggressione, si sposta semplicemente il piano dello scontro sociale e della rivendicazione individualistica, si forma un rapporto distorto diritti/potenza non fondato sul dialogo, le libertà non diventano “comunità” e la realtà resta ostile, conflittuale e burocratica.

L’accrescersi della tecnologia risulta essere il Giano bifronte che nel liberare l’individuo dalle necessità impellenti e rendere possibile il superfluo, falsa il rapporto comunicativo introducendo la violenza di un legame continuo nella “costrizione” delle relazioni, la mobilità è al contempo libertà ma anche aggressività se non supportata da regole condivise e comunicazione integrativa, la ricerca di un “esistere perpetuo in un tempo infinito si risolve nell’omega dell’individuo, congelato nel proprio io”, la crescita quantitativa della produzione si trasforma in una richiesta qualitativa, in un modello che dall’essere è nell’essere, ancor più necessario nella pervasività di un potere impalpabile e nella continua “imposizione” di modelli frutto di una libertà che è “miraggio”, richiesta indotta.  

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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