Revoca della patente di guida in dipendenza di misure di prevenzione, giurisdizione del giudice ordinario

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Con la sentenza in epigrafe (riportata in calce per esteso), le Sezioni unite della Suprema Corte, affrontando il problema del riparto di giurisdizione nell’ipotesi in cui venga contestata la legittimità del provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida, emesso a carico di persona sottoposta a misura di prevenzione della sorveglianza speciale, hanno affermato che la domanda volta a denunciare l’illegittimità del decreto prefettizio, ricollegandosi ad un diritto soggettivo della parte, spetta alla cognizione del giudice ordinario. Spetta dunque a tale giudice, nell’eventualità del fondamento della denuncia, tutelare il diritto stesso disapplicando l’atto lesivo.
1. Il caso: dal giudizio di primo grado al ricorso per Cassazione.
Il Prefetto di Taranto con provvedimento emesso ai sensi dell’art. 120 C.d.S. revocava la patente di guida a Tizio poiché quest’ultimo era stato sottoposto, in forza di decreto emesso dal Tribunale di Taranto, a misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro. Tizio proponeva opposizione ex art. 22 legge 24 novembre 1981, n. 689 davanti al Giudice di Pace di Taranto. L’allora Giudice di Pace – dott. ********** – con sentenza 25 ottobre 2002 – 13 gennaio 2003 sosteneva correttamente che “La pretesa illegittimità del decreto di revoca della patente di guida, da parte del Prefetto ai sensi del combinato disposto degli artt. 120 e 130 C.d.S., abilita l’interessato a far ricorso al giudice amministrativo, ma non è idonea ad attivare il potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo. Tale potere, però, ben può essere esercitato nel caso di ritenuta lesione di un diritto soggettivo autonomo e preesistente rispetto all’atto amministrativo, come nel caso in esame”. Il giudice affermava, quindi, la propria giurisdizione e accoglieva il ricorso sul rilievo che il provvedimento prefettizio, incidendo sul diritto al lavoro del ricorrente, ledeva illegittimamente un diritto della persona costituzionalmente garantito (artt. 4 e 35 Cost.). In sentenza si legge che “il ricorrente ha dimostrato che la patente di guida costituisce, nel suo caso, uno strumento che è condizione imprescindibile per l’esecuzione della prestazione lavorativa; egli risulta essere, infatti, fin dal 1973 dipendente dell’Azienda Ospedaliera “SS. **********” di Taranto, con la qualifica attuale di “Operatore Tecnico – Autista di Ambulanza di Ruolo”. Nell’attuale ordinamento giudiziario, ispirato all’esigenza di valorizzare il precetto dell’art. 27 della Costituzione, che attribuisce finalità rieducative a tutte le misure di libertà vigilata, il provvedimento di revoca della patente, senza obiettive ragioni che dimostrino la possibilità di ulteriori facilitazioni delinquenziali a cagione del possesso della patente di guida, in contrasto con l’art. 35 Cost. impedendo lo svolgimento di una attività lavorativa, non può che essere dichiarato illegittimo e disatteso dal Giudice Ordinario, in virtù dei poteri attribuitigli in tema di disapplicazione dell’atto amministrativo” .
L’Ufficio Territoriale del Governo di Taranto con ricorso del 23 dicembre 2003 chiedeva la cassazione della sopra citata sentenza, sostenendo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in ragione della natura della posizione dedotta nel rapporto con la pubblica amministrazione. Nel merito veniva contestata la decisione del giudice di prime cure sotto il profilo della violazione degli artt. 120 e 130 C.d.S., in quanto in sentenza erano prevalse le esigenze lavorative del ricorrente rispetto alla necessità di controllare i suoi spostamenti, trattandosi di persona che aveva commesso numerosi e gravi reati. Per la definizione della pregiudiziale di difetto di giurisdizione il ricorso veniva assegnato alle Sezioni unite che decidevano dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario e trasmettendo gli atti al Primo presidente per l’assegnazione a sezione semplice per la statuizione in ordine alle altre questioni sollevate con il ricorso introduttivo.
2. La decisione.
L’art. 120 C.d.S. dispone che la patente di guida è revocata dal prefetto ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza e a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327, e dalla legge 31 maggio 1965 n. 575, così come successivamente modificata e integrata, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonché alle persone condannate a pena detentiva, non inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura[1]. La norma prevede, quindi, chela revoca della patente di guida venga disposta dal prefetto anche nell’ ipotesi in cui il titolare sia sottoposto a determinate misure di prevenzione in corso di applicazione, valutando ipso facto che sia pericoloso socialmente far continuare a godere tali soggetti della relativa abilitazione alla guida (nel periodo di vigenza di dette misure), mentre non richiede alcun apprezzamento da parte dell’autorità amministrativa circa il verificarsi di detta pericolosità nel singolo caso[2]. Pertanto, il provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di misure di prevenzione non esprime esercizio di discrezionalità amministrativa, ma è un atto dovuto[3] – nel concorso delle condizioni previste dalla citata norma – assolutamente inidoneo a degradare ad interesse legittimo la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida. Conseguentemente, trattandosi di diritto soggettivo e non necessitando di alcuna valutazione discrezionale degli organi amministrativi, il Supremo Collegio, conformemente a precedenti sue pronunce[4] e in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, ha ritenuto che in casi come quello di specie la competenza spetti al giudice ordinario e non anche al giudice amministrativo[5].                                                                                    
                                                                                                                    (Dott. ***************)  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Cassazione civile , sez. un., 06 febbraio 2006, n. 2446

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                  
                        SEZIONE UNITE CIVILI                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. OLLA        ********              - Primo Presidente f.f. - 
Dott. SENESE      *********             - Presidente di Sezione - 
Dott. PAPA        ******                          - Consigliere - 
Dott. LUCCIOLI    ***************                 - Consigliere - 
Dott. MORELLI     *************                   - Consigliere - 
Dott. GRAZIADEI   ******                     - rel. Consigliere - 
Dott. BONOMO      *******                         - Consigliere - 
Dott. *****************                           - Consigliere - 
Dott. BERRUTI     **************                  - Consigliere - 
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                       
sul ricorso proposto da:                                            
Ufficio territoriale del Governo di Taranto, già Prefettura di
Taranto, in persona del legale rappresentante, per legge difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliato
in Roma via dei Portoghesi n. 12;                                   
                                                       - ricorrente -
                               contro                               
               C.F.;                                                
                                                         - intimato -
per la Cassazione della sentenza del Giudice di pace di Taranto n. 85
del 25 ottobre 2002-13 gennaio 2003;                                
sentiti:                                                            
il Cons. ***************, che ha svolto la relazione della causa;   
l'avv. ********, per il ricorrente;                                 
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. ***************** il quale ha concluso per l'accoglimento del
primo motivo del ricorso con affermazione della giurisdizione del
Giudice amministrativo.                                        
 
FATTO
Il Prefetto di Taranto, con provvedimento reso il 29 aprile 2002 ai sensi dell’art. 120 C.d.S., comma 1, di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (come modificato dal D.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, art. 5), ha revocato la patente di guida di C.F., in quanto sottoposto dal Tribunale di Taranto con decreto del 25 gennaio 2002 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro.
Il C. ha proposto opposizione, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, davanti al Giudice di pace di Taranto:
Il Giudice di pace, con sentenza depositata il 13 gennaio 2003, ha affermato la propria giurisdizione, sul rilievo che il provvedimento prefettizio incideva sul diritto del C. al lavoro, ed ha accolto l’opposizione, annullando tale provvedimento, in quante illegittimamente lesivo di detto diritto, con la considerazione che il C. svolgeva attività di autista e che non sussistevano ragioni per prospettare l’evenienza di ulteriori suoi comportamenti delinquenziali a cagione del possesso della patente.
L’Ufficio Territoriale del Governo di Taranto, con atto notificato il 23 dicembre 2003, ha chiesto la Cassazione dell’indicata sentenza.
Il C. non ha presentato controdeduzioni.
Diritto
Il ricorrente, in via pregiudiziale, sostiene il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in ragione della natura della posizione dedotta nel rapporto con la pubblica amministrazione; poi contesta nel merito la decisione del Giudice di pace, sotto il profilo della violazione degli artt. 120 e 130 C.d.S., addebitandogli di non aver ritenuto prevalente, rispetto alle esigenze lavorative del C., la necessità di controllare i suoi spostamenti, trattandosi di persona che aveva commesso numerosi e gravi reati.
Per la definizione del primo quesito, il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni unite.
La tesi dell’Ufficio sulla giurisdizione è infondata.
Il citato art. 120 C.d.S., comma 1, nel testo risultante a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 21 ottobre 1998 n. 354, 18 ottobre 2000 n. 427 e 17 luglio 2001 n. 251, contempla la revoca della patente di guida, quando il titolare sia sottoposto a determinate misure di prevenzione in corso di applicazione, sulla scorta di una diretta valutazione di pericolosità del protrarsi del godimento della relativa abilitazione nel periodo di vigenza di dette misure, mentre non richiede alcun apprezzamento da parte dell’autorità amministrativa circa il verificarsi di detta pericolosità nel singolo caso (apprezzamento che era invece previsto dallo stesso art. 120 C.d.S., con disposizione che è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 15 luglio 2003 n. 239, per la revoca della patente nei confronti del condannato a pena detentiva non inferiore a tre anni).
Detto provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di misure di prevenzione non esprime quindi esercizio di discrezionalità amministrativa, cioè di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma è un atto dovuto, nel concorso delle condizioni all’uopo stabilite dalla norma (caratteristica ritenuta anche nella citata pronuncia della Corte costituzionale n. 427 del 2000, e del resto non contestata dal ricorrente).
Pertanto, in sintonia con quanto ritenutosi per similari interventi sulla patente di guida (sospensivi od ablativi) a seconda che siano vincolati a circostanze prestabilite o passino attraverso valutazioni discrezionali degli organi amministrativi (cfr., per le rispettive ipotesi, Cass. s.u. 27 aprile 2005 n. 8693, nonchè Cass. s.u. 29 aprile 2003 n. 6630 e 20 maggio 2003 n. 7898), si deve affermare che la domanda rivolta a denunciare l’illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, si ricollega ad un diritto soggettivo, e di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, spetta alla cognizione del Giudice ordinario (al quale compete, nell’eventualità del fondamento della denuncia, di tutelare il diritto stesso disapplicando l’atto lesivo).
Il principio comporta la reiezione del ricorso sulla questione pregiudiziale, con l’affermazione della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Gli atti, ai sensi dell’art. 142 disp. att. cod. proc. civ., devono essere rimessi al Primo presidente, al fine della designazione di una sezione semplice per la statuizione sulle altre questioni e le pronunce connesse alla definizione del giudizio di legittimità.
Inizio documento
P.Q.M
La Corte, a sezioni unite, rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario, e trasmette gli atti al Primo presidente per l’assegnazione a sezione semplice.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 19 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2006
 


[1]La norma ha subìto varie censure di incostituzionalità per violazione dell’art. 76 Cost. In effetti, la legge delega n. 190 del 1991 abilitava il Governo ad adottare disposizioni, aventi valore di legge, intese a “rivedere e riordinare […] la legislazione vigente concernente la disciplina […] della circolazione stradale (d.p.r. 15 giugno 1959, n. 393)”. Relativamente alla materia della revoca della patente di guida, il legislatore delegato ha innovato la disciplina previgente senza che vi fosse, nella legge delega, la previsione di principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere le scelte discrezionali del Governo. Così facendo ha dato vita, introducendo nell’art. 120 C.d.S. ipotesi non contemplate dal vecchio codice, ad un intervento di carattere innovativo sulla stessa materia, concretizzante il vizio di eccesso di delega. La Corte costituzionale, quindi, con sentenza 18 ottobre 2000, n. 427, ha dichiarato l‘illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 120, comma 1, e 130, comma 1, lett. b), nella parte in cui prevede la revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti alla misura del foglio di via obbligatorio di cui all’art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Successivamente il Supremo Collegio, con sentenza 17 luglio 2001, n. 25, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme su citate nella parte in cui si prevede la revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti alle misure di prevenzione contemplate dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327, nonché dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, così come successivamente modificata ed integrata. Infine, con sentenza 15 luglio 2003, n. 239, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale delle stesse norme nella parte in cui si prevede la revoca della patente nei confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, qualora l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura.  
[2] Tale apprezzamento era invece previsto dallo stesso art. 120 C.d.S prima della sentenza della Corte costituzionale 15 luglio 2003, n. 239.
[3] Secondo ********** – Cariti, Le norme del codice della strada modificate dal d.lgs. 10 settembre 1993 n. 360, Milano, 1993, p. 365, la revoca della patente di guida, il cui procedimento applicativo è regolato dall’art. 219 C.d.S., non costituisce in realtà misura accessoria ad una sanzione pecuniaria. Essa deriva dal determinarsi di una serie di condizioni di natura tipicamente amministrativa che non consentono l’ulteriore prosecuzione dell’abilitazione originariamente concessa e ne impongono appunto la revoca (art. 130 C.d.S.). Si tratta di misura del tutto priva di connotati punitivi, tanto è vero che essa non accede ad alcuna sanzione pecuniaria.   
[4] Si veda Cass., Sez. un., 27 aprile 2005, n. 8693.
[5] Occorre puntualizzare che la questione è tuttora controversa tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. BellÈ, Il sistema sanzionatorio amministrativo del Codice della Strada, Padova, 2004, p. 307, afferma che la cognizione sui provvedimenti di revoca rientra a pieno titolo nella giurisdizione amministrativa. La Cassazione però, con sentenza 29 aprile 2003, n. 6630, ha affermato che è inibito al giudice ordinario annullare atti siffatti fuori dei casi in cui la legge consideri la revoca della patente quale sanzione accessoria di illeciti amministrativi o penali, e salvo il potere di disapplicazione in via incidentale di atti amministrativi illegittimi ai sensi dell’art. 5 legge 2 marzo 1865, n. 2248, allegato E (conf. anche Cass., 20 maggio 2003, n. 7898). Si ritiene, quindi, che il provvedimento di revoca possa essere sottoposto al vaglio del giudice ordinario – e non anche a quello del giudice amministrativo – sia quando la legge considera la revoca della patente quale sanzione accessoria di illeciti amministrativi o penali, sia quando il provvedimento di revoca si presenti come atto dovuto, non necessitante di alcuna valutazione discrezionale della P. A., incidente su diritti soggettivi della parte. Tale principio pare, a mio avviso, implicitamente ribadito da una recentissima pronuncia della Suprema Corte laddove, seppur in materia di revisione della patente di guida, si è ribadito che l’impugnazione del provvedimento di revisione emesso dal direttore dell’ufficio provinciale della Motorizzazione Civile rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l’adozione di tale provvedimento è rimessa alla discrezionalità della P.A., dovendosi in casi del genere esercitare un potere che implica valutazioni d’ordine tecnico e discrezionali effettuate in funzione della tutela d’interessi collettivi(Cass., Sez. un., 15 marzo 2007 n. 5979). Ritengo, invece, che l’adozione del provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di misure di prevenzione, conformemente a quanto affermato in sentenza, non è rimesso alla discrezionalità della P. A. ma è atto dovuto nel concorso delle condizioni di cui all’art. 120, comma 1, C.d.S. Ciò trova conferma anche nella lettera della disposizione normativa testè enunciata laddove si afferma che “La patente di guida è revocata dal prefetto [… ]” anziché dire “La patente di guida può essere revocata dal prefetto […]”. 

Bardaro Stefano

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