Retribuzione di produttività ed agevolazioni fiscali: chiarimenti dal Ministero del lavoro

Redazione 04/07/13
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Biancamaria Consales

Con interpello n. 21 del 1° luglio 2013, il Ministero del lavoro ha fornito chiarimenti in merito alla corretta applicazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013, che, in attuazione dell’art. 1, commi 481-482, della L. 228/2012, ha disciplinato, per il periodo 1° gennaio 2013-31 dicembre 2013, la c.d. retribuzione di produttività. In particolare, l’istante ha posto i seguenti quesiti:

–         se sia corretto applicare il regime fiscale agevolato “sulle quote di retribuzione, con eventuali maggiorazioni, che saranno erogate come controprestazione di prestazioni orarie “diverse” (…) ossia svolte a seguito delle modifiche all’orario apportate in azienda come diretta conseguenza dell’applicazione del patto territoriale”;

–         se si possa applicare l’agevolazione fiscale “anche a patti aziendali precedenti all’emanazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013 e risalenti nel tempo e che non abbiano istituito veri e propri premi di produttività o di rendimento, basati sul raggiungimento di obiettivi prefissati”;

–         se, infine, nel caso di patti aziendali, le imprese possano applicare il beneficio della detassazione “sulle quote di retribuzione, con eventuali maggiorazioni che saranno erogate come controprestazione delle prestazioni orarie svolte in esecuzione del patto aziendale, identificando pertanto – quale indicatore quantitativo del miglioramento della produttività – la modifica dell’orario attuata in azienda”.

La risposta del Ministero del lavoro in ordine ai tre quesiti, posto che il D.P.C.M. 22 gennaio 2013 instaura un legame tra l’applicazione del regime fiscale agevolato e l’adozione di misure finalizzate ad una maggiore efficientazione aziendale, può essere sintetizzata nel modo che segue:

a)      per il primo quesito, va chiarito che l’impegno datoriale nella “riorganizzazione del lavoro” attraverso l’applicazione delle misure di “efficientazione aziendale” previste dalla contrattazione territoriale, può realizzarsi o attraverso l’introduzione di misure del tutto nuove (l’introduzione per la prima volta di maggiore flessibilità oraria, turnazioni, orari multiperiodali, ecc.) o in una diversa modulazione di flessibilità previste dal contratto nazionale. Dunque, l’adozione di tali misure non deve costituire necessariamente un elemento di novità in relazione al contratto collettivo nazionale applicato in azienda ma un elemento di novità per le aziende che le applicano. In tal senso appare, quindi, corretto, da parte della contrattazione collettiva territoriale, fornire indirizzi in ordine alla “diversità”, rispetto al passato, delle misure di “efficientazione aziendale”;

b)      quanto al secondo quesito sull’agevolazione fiscale anche a patti aziendali precedenti all’emanazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013, come risulta dalla circolare 15/2013, in relazione a contratti aziendali, “pregressi” ma ancora in vigore, si può applicare l’agevolazione fiscale in esame purché sussista una rispondenza di tutte o alcune delle misure già contenute nei citati contratti con le previsioni del D.P.C.M. Ciò vale anche per i contratti che non abbiano istituito veri e propri premi di produttività o di rendimento, purché al loro interno vi siano misure idonee a “sollecitare” una maggiore efficientazione aziendale. In tali casi, è, quindi, determinante la coerenza dei contenuti di quei patti con le finalità individuate dal D.P.C.M.;

c)      quanto, infine, all’ultima questione sollevata circa “l’indicatore quantitativo del miglioramento della produttività in senso lato”, la prima nozione di “retribuzione di produttività” contenuta nel D.P.C.M. fa riferimento a “voci retributive erogate, in esecuzione di contratti, con espresso riferimento ad indicatori quantitativi di produttività/redditività/qualità/efficienza/innovazione”. Proprio il riferimento alla “qualità” ed alla “innovazione” denota che tali indicatori non costituiscono necessariamente una “fotografia” di un incremento del fatturato aziendale ma è sufficiente che siano comunque suscettibili di una “contabilizzazione” da parte dell’impresa. Ciò consente di dire che anche la modifica degli orari aziendali, in quanto oggettivamente identificabile e quantitativamente misurabile, può validamente rispondere alle citate condizioni di legge.

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