Le restituzioni uno latere e il contratto di spedalità

Analisi del contratto di spedalità e delle restituzioni uno latere nella responsabilità sanitaria prima e dopo la legge Gelli-Bianco.

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La responsabilità sanitaria, inclusa quella della struttura, non può essere analizzata senza un richiamo ai mutamenti, in primo luogo culturali, che hanno investito il rapporto medico -paziente sino agli anni più recenti.
È indispensabile sottolineare come l’avvento della Costituzione Repubblicana abbia determinato il progressivo superamento della concezione paternalistica della medicina a tutto vantaggio di quella, liberale, e personalista.
Da un punto di vista delle regole giuridiche deve essere letto in questo senso il lento oscillare del pendolo della responsabilità del medico tra la responsabilità aquiliana e quella contrattuale, con l’intermezzo dell’espediente – così definito dalla Cassazione – del cumulo di responsabilità, ipotizzato per garantire maggior tutela al paziente, dati i dubbi, via via sempre meno fondati e oggi spazzati via definitivamente dalla Corte di Cassazione, in merito alla risarcibilità del danno non patrimoniale in ambito contrattuale.
Rispetto a tale quadro, la responsabilità della struttura sanitaria [pubblica e privata] pare, ad una lettura superficiale, meno ondivaga. In realtà, il quadro è più complesso e proprio in questo settore si annidano problemi non ancora risolti e, forse nemmeno ancora adeguatamente dibattuti.
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Indice

1. La responsabilità della struttura fino alla l. 24 dell’8/3/2017 [Gelli-Bianco].


Ripercorrere l’evoluzione della responsabilità della struttura sanitaria per i danni provocati ai pazienti è operazione quasi interamente circoscritta entro il perimetro contrattuale.
Ciò tuttavia non equivale ad affermare che, entro quei limiti, non si sia assistito ad una progressiva e lenta evoluzione interpretativa finalizzata ad aumentare la tutela del paziente in un’ottica via via più coerente con la concezione personalista della medicina.
Ancora negli anni ’50 del secolo scorso, infatti, pacifica la riconduzione del rapporto tra casa di cura privata e paziente all’ambito contrattuale, si riteneva prevalentemente di qualificare quel contratto come di albergo atipico.
Il suo contenuto era da rinvenirsi nella messa a disposizione dei locali, dell’attrezzatura e del personale infermieristico restando esclusa ogni forma di responsabilità della struttura per danno cagionato al paziente da errata esecuzione della prestazione medica.
Sarà nei decenni successivi il formante giurisprudenziale ad erodere questa granitica impostazione, a favore di una ricostruzione interpretativa più in linea con le esigenze di tutela della salute e socializzazione del rischio.
Molto importante è, in tal senso, la nota pronuncia del Tribunale di Verona del 15.10.1990[1] che delinea la figura del contratto di spedalità, atipico, sinallagmatico, a prestazioni corrispettive, con effetti protettivi nei confronti del terzo e dal contenuto complesso. Secondo questa configurazione, all’ente sanitario fanno capo, oltre alla prestazione principale di tipo strettamente medico-chirurgico, tutta una serie di ulteriori obbligazioni via via elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina: presenza di personale medico, paramedico ed ausiliario, qualificato per competenza e professionalità e di quantità idonea; coordinamento tra i servizi, anche dal punto di vista logistico; idoneità dei locali per funzionalità e igiene; disponibilità di apparecchiature moderne e funzionanti e di presidi farmaceutici sicuri, efficaci; impiego di sangue controllato; predisposizione di una vigilanza adeguata. Si tratta inoltre, secondo la dottrina maggioritaria, di un contratto a titolo oneroso, poiché la prestazione viene erogata a fronte del pagamento di un corrispettivo, posto, a seconda dei casi, a carico del paziente, dell’assicuratore, del Servizio Sanitario Nazionale o di altro ente
Tale modello è, come si vedrà, valido, oggi, anche per descrivere il rapporto tra struttura sanitaria pubblica e paziente.
In questo ambito tuttavia, la riconduzione del rapporto all’ambito contrattuale in seguito definito di spedalità, ha seguito percorsi diversi per via della difficoltà dell’affermazione della piena operatività del neminem laedere nei confronti della Pubblica Amministrazione; sarà solo la legge n. 833/1978 istitutiva del S.S.N. a costituire uno spartiacque, dando origine ad una riflessione del formante dottrinale finalizzata ad affermare la compatibilità tra servizio pubblico e contratto alla stessa stregua di qualsiasi altro contratto avente ad oggetto servizi pubblici.
Sarà poi, la giurisprudenza di Legittimità a fornire il sugello definitivo a queste evoluzioni equiparando il regime di responsabilità della struttura sanitaria rispetto a quella pubblica sulla base dell’identità del diritto inviolabile alla salute nei due distinti settori, e determinato la perdita di attualità di teorie come quella degli obblighi di protezione o dell’obbligazione senza prestazione attraverso il riconoscimento espresso della risarcibilità del danno non patrimoniale anche in ambito contrattuale.
Con la pronuncia n. 577 dell’11/01/2008 la Corte di Cassazione, infatti, ha equiparato la responsabilità tra i due tipi di strutture riconducendo il rapporto instaurato con il paziente al contratto di spedalità e ha individuato, di conseguenza, la fonte di responsabilità della struttura in quella per inadempimento ex art. 1218 c.c. per fatto del medico, del personale ausiliario ma, anche, a mero titolo esemplificativo, per difetto di organizzazione.
Sempre la Corte di Cassazione nelle note sentenze n. 26972-6/19, ha riconosciuto expressis verbis la piena risarcibilità del danno non patrimoniale in ambito contrattuale smentendo la necessità del cumulo di azioni in materia e rendendo, nei fatti, non più necessario il ricorso a quelle ricostruzioni prima richiamate e giustificate dalla necessità di consentire l’estensione delle tutele contrattuali anche a interessi tradizionalmente considerati come non deducibili in contratto attesane la loro patrimonialità.
Il quadro ha, da ultimo, rinvenuto conferma ad opera del legislatore con la  l. 24 dell’8/3/2017 [Gelli-Bianco] – la natura contrattuale era, invece, data per presupposta dal precedente intervento, il decreto-legge 13.9.2012, n. 158, poi convertito nella legge 8.11.2012, n. 189, cd. legge Balduzzi – che ha espressamente «reintrodotto» il regime del cd. doppio binario secondo il quale, lo si ribadisce, la responsabilità della struttura, pubblica o privata, ha natura contrattuale (artt. 1228 e 1218 c.c.) e quella dell’esercente la professione sanitaria, extracontrattuale (art. 2043 c.c.), attraverso disposizioni aventi valore di «norme imperative ai sensi del codice civile».
Precisamente, l’art. 7, comma 1, conferma, facendo proprio l’orientamento giurisprudenziale dominante, la natura contrattuale della riguarda la valutazione dei «fatti costitutivi» dell’illecito che i «canoni probatori», con particolare riferimento al nesso di derivazione causale.
Poste le superiori premesse, permane, ancora poco dibattuto il tema della disciplina applicabile al contratto atipico di spedalità con la giurisprudenza che propende per privilegiare l’esclusivo richiamo alla teoria delle obbligazioni.
In realtà, si prospetta altresì in dottrina l’applicabilità al contratto di spedalità anche delle norme che regolano il contratto d’opera intellettuale (artt. 2229 e ss c.c.) in quanto compatibili, con argomento ex Cass. SS.UU. n. 9556/2002.
Tale opzione ermeneutica, non costituirebbe in alcun modo un ritorno alla qualificazione del contratto in esame come d’opera, ma, più realisticamente consentirebbe di garantire l’applicazione di alcune norme dettate per regolamentare quel contratto tipico ed in grado di fornire soluzioni interpretative appaganti relativamente a questioni altrettanto importanti sul tema nella consapevolezza della relativizzazione (che non equivale in alcun modo a negazione), operata dalla Nomifilachia, del criterio della prevalenza. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

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2. Un problema poco esplorato: le restituzioni uno latere


Nel quadro giurisprudenziale e normativo sinora ricostruito e descritto, permane un evidente quadro di criticità sol ponendo mente al tema delle restituzioni in ipotesi di risoluzione del contratto di spedalità.
Qualora, infatti, il prestatore d’opera abbia violato un’obbligazione, l’art. 2226 c.c. al comma 3 rinvia all’art. 1668 c.c. in materia di appalto.
Tale ultima disposizione attribuisce al committente nel caso [qual è assolutamente il paziente] in cui l’opera risulti del tutto inadatta alla sua destinazione il diritto di avvalersi del rimedio (ulteriore rispetto all’eliminazione dei vizi o alla riduzione del prezzo) della risoluzione del contratto.
Come sostenuto da autorevole dottrina , in materia di appalto e, dunque – per quanto rilevante ai nostri fini – in materia di contratto d’opera professionale, il legislatore ha previsto tutele modulate in ragione della gravità dei vizi che si contestano.
Il rimedio di carattere demolitivo, infatti, è confinato al solo caso in cui l’opera sia del tutto inadatta.
Se è vero come è vero che nel caso di specie sussistono tutti i requisiti richiesti ex lege per la risoluzione del contratto d’opera professionale, si pone il problema di quale sia la disciplina delle obbligazioni restitutorie conseguenti a tale risoluzione.
È noto come la letteratura francese distingua la “restitution parfaite” dalla “restitution imparfaite”; la prima è quella in natura, quando vi è una perfetta identità tra quanto ricevuto e l’oggetto che si restituisce, mentre la seconda è quella per equivalente.
Il problema che si pone in relazione alle seconde, in relazione alla prestazione di fare è quello di stabilire che tipo di criterio vada utilizzato per convertire in moneta quell’utilità di cui un contraente ha goduto in virtù di un contratto poi risolto.
Il caso è particolarmente evidente nelle ipotesi di responsabilità sanitaria ove, sovente, alla domanda di risoluzione del danneggiato si oppone da parte del prestatore d’opera l’eccezione a mente della quale dei lavori sono pur stati eseguiti e dunque l’effetto restitutorio dovrà essere limitato dalle prestazioni effettuate concretamente a favore del danneggiato.
Ebbene, ad avviso di tale autorevole dottrina alla risoluzione di un contratto d’opera (e, come corollario anche di spedalità) per inadempimento del prestatore non consegue alcuna restituzione, in primo luogo perché in questi casi il legislatore ha introdotto requisiti più stringenti di quelli dettati dagli art. 1453 e 1455 c.c.; in secondo luogo per ragioni di ordine sistematico che portano a ritenere che ogni qualvolta vi è un riferimento alla risoluzione per inadempimento di un contratto relativo ad un facere il legislatore innalzi il livello dei presupposti limitando l’ambito di applicazione del rimedio demolitivo a fattispecie limite in cui l’opera o il servizio sia del tutto inadatta.
Tale dato che concerne i requisiti di applicazione del rimedio si riverbera poi sugli effetti che dal rimedio dipanano.
La particolare gravità dell’inadempimento ex lege richiesta, induce a ritenere che quando entra in gioco la risoluzione ex art. 1668 c.c. si hanno restituzioni ex uno latere perché il presupposto è, appunto, la completa inutilità della prestazione rispetto agli interessi manifestati dal contraente fedele e cristallizzati nell’accordo.

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Note


[1] Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni ’80 quel modello era via via stato eroso da altre rilevanti pronunce di merito, Tribunale di Velletri del 19.03.1979 o Tribunale Roma del 28.06.1982 n. 7249.
[2] Il rinvio è a L. Guerrini, Il “Caso Guerritore”: ovvero quanto risoluzione e restituzioni sono alle prese con la prestazione di fare. In Danno e resp., 2/2009, pag. 195 e ss. Per una più articolata ricostruzione si rinvia, sempre dello stesso A. a Le restituzioni contrattuali, Giappichelli editore, 2012.

Tommaso Gasparro

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