Responsabilità struttura sanitaria per protesi difettose e prova del paziente

La struttura sanitaria risponde dell’impianto di protesi difettose solo se il paziente prova che a tale momento era prevedibile la loro difettosità.

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La struttura sanitaria risponde dell’impianto di protesi difettose solo se il paziente prova che a tale momento era prevedibile la loro difettosità. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

Tribunale di Teramo -sentenza n. 897 del 15-07-2025

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_TERAMO_N._897_2025_-_N._R.G._00000690_2017_DEPOSITO_MINUTA_15_07_2025__PUBBLICAZIONE_15_07_2025.pdf 299 KB

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Indice

1. I fatti: il danno per la protesi


Un paziente di una struttura sanitaria abruzzese si sottoponeva nell’ottobre del 2006 ad un intervento di artroprotesi dell’anca sinistra con installazione di un impianto prodotto da una determinata azienda nota nel settore. Tuttavia, dopo l’esecuzione dell’intervento, il paziente accusava dolori all’anca operata e veniva a conoscenza del fatto che il ministro della salute, nel novembre del 2011, aveva comunicato a tutte le strutture sanitarie di invitare i pazienti, cui era stata installata una protesi prodotta dalla predetta azienda, a sottoporsi ad attenti controlli per i livelli di cromo e cobalto molto elevati che erano stati rinvenuti nel sangue di altri pazienti a causa delle particelle rilasciate dalle protesi loro impiantate.
Il paziente si sottoponeva quindi ad una serie di controlli che rilevavano la presenza di cromo e cobalto nel sangue, ma soprattutto da cui emergeva l’insuccesso dell’intervento di artroprotesi in ragione del fatto che la protesi impiantata era difettosa.
Conseguentemente, il paziente era costretto nel 2015 a sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico per la sostituzione della protesi presso un’altra struttura sanitaria e, nel 2016, ad un ulteriore intervento chirurgico per la revisione di una componente protesica.
All’esito di tutti i predetti interventi, al paziente era residuato un deficit dell’attività funzionale dell’arto, valutabile in una percentuale di invalidità permanente pari al 32%
In considerazione di quanto sopra, il paziente adiva il tribunale di Teramo chiedendo l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria presso la quale era stata impiantata la prima protesi, in quanto riteneva la stessa colpevole di aver installato la protesi nonostante il suo cattivo funzionamento e nonostante che dette tipologie di protesi erano state ritirate dal mercato internazionale a causa della loro difettosità. Secondo il paziente, infatti, la struttura sanitaria, prima di procedere con l’istallazione della protesi, avrebbe dovuto effettuare i controlli necessari per garantire il buon funzionamento della protesi che sta per installare sul paziente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

VOLUME

Manuale pratico operativo della responsabilità medica

La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

 

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2. Le valutazioni del Tribunale sulla responsabilità della struttura


Il tribunale di Teramo ha, preliminarmente, esaminato la natura della responsabilità della struttura sanitaria a fronte di eventi di malpratcice medica nonché i relativi principi in tema di onere probatorio.
In particolare, nella suddetta materia, il danneggiato, qualora invochi una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione medica cui la stessa tenuta, deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica oppure dall’insorgenza di una nuova patologia, ma soprattutto del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione imputabile ai sanitari. La sussistenza di tale nesso di causalità deve essere accertata secondo il criterio del “più probabile che non”.
Soltanto dopo che il paziente danneggiato abbia fornito la prova di tutti gli elementi di cui sopra, il medico o la struttura sanitaria saranno gravati dall’obbligo di prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esiti dannosi lamentati dal paziente sono invece stati determinati da un evento imprevedibile e inevitabile.
Infatti, la regola sancita dalle sezioni unite della corte di cassazione in materia di inadempimento contrattuale (secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione del contratto o per il risarcimento del danno deve dare la prova della fonte del suo diritto e limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento del debitore; mentre il debitore è gravato dall’onere di provare il fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento della prestazione) allorquando viene applicata nella materia della responsabilità sanitaria, comporta che il paziente danneggiato, oltre a fornire la prova dell’esistenza del contratto e dell’aggravamento della patologia o dell’insorgenza di una nuova patologia, deve allegare un inadempimento del debitore che sia astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Ciò significa, quindi, che il danneggiato deve fornire la prova del nesso di causalità fra evento dannoso e condotta imputabile al sanitario.
Secondo il tribunale di Teramo, poi, la valutazione del nesso causale in sede civile presenta delle notevoli differenze rispetto alla valutazione compiuta in sede penale, in ragione della diversità dei valori in gioco fra la responsabilità civile e quella penale.
Pertanto, i principi previsti per la valutazione delle sue causalità penale, seppur vengono utilizzati anche in sede civile, presentano delle diverse regole applicative.
In particolare, detti principi si sostanziano: nel considerare un evento come causato da un altro nel caso in cui il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo e nel dare rilievo, all’interno di una serie causale, soltanto a quegli eventi che non appaiano del tutto inverosimili secondo una valutazione ex ante.
L’applicazione dei suddetti principi nel processo civile impongono l’utilizzo della regola della preponderanza dell’evidenza, c.d. criterio del “più probabile che non”.
Secondo il predetto criterio, il nesso di causalità fra la condotta dei sanitari e il danno lamentato dal paziente sussiste quando non vi sia la certezza che detto danno è derivato da cause naturali o genetiche ed invece appare “più probabile che non” che un tempestivo o un diverso intervento da parte del sanitario avrebbe evitato il danno al paziente.
Soltanto una volta che il paziente danneggiato ha assolto al suddetto onere probatorio, dimostrando gli elementi della fattispecie sopra esposti, graverà sul medico l’onere di dimostrare la scusabilità della sua condotta.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso in esame, il giudice ha ritenuto che l’attore, paziente danneggiato, non abbia provato il nesso di causalità fra la condotta dei medici della struttura sanitaria convenuta e le problematiche all’anca lamentate dal paziente.
Ciò in quanto, da un lato, le contestazioni dedotte dall’attore con riferimento alla condotta negligente posta in essere dai sanitari erano delle mere allegazioni del tutto generiche e prive di riscontro. Infatti, l’attore non ha indicato delle specifiche inadempienze addebitabili ai sanitari o alla stessa struttura convenuta nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, ma si è limitato a dedurre che la struttura sanitaria sarebbe responsabile delle problematiche di salute lamentate dal paziente a causa della scelta di impiantare delle protesi difettose e nocive senza aver preventivamente effettuato i controlli sul loro funzionamento.
A tal proposito, il giudice ha ritenuto che l’affermazione attorea secondo cui i difetti delle protesi erano noti alla struttura sanitaria convenuta, anche in considerazione del fatto che il prodotto era già stato ritirato del mercato in altri paesi, era del tutto generica e priva di riscontro con riferimento al momento esatto in cui effettivamente si è diffusa nella comunità scientifica la consapevolezza che le protesi prodotte dall’azienda presentavano dei difetti.
Dall’altro lato, le valutazioni conclusive cui sono giunti di c.t.u. incaricati del giudice hanno invece dimostrato che, alla data in cui è stato eseguito l’intervento di inserimento della protesi in questione sul paziente (cioè ottobre 2006), non esisteva nella comunità scientifica la convinzione che vi fosse un pericolo effettivo tale da sconsigliare l’uso delle protesi in questione.
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto che, non solo l’attore non ha provato la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta della convenuta e i danni lamentati secondo la regola del più probabile che non, ma anzi dall’istruttoria svolta nel giudizio è emerso che l’eventuale difetto della protesi non era riconoscibile come tale da parte della struttura sanitaria alla luce delle conoscenze scientifiche sussistenti nel momento in cui è stata posta in essere la prestazione sanitaria.
Conseguentemente, il giudice ha rigettato la domanda formulata dall’attore.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

Co-founder dello Studio Legale “MMP Legal”, svolge la professione di avvocato in Firenze, Prato e Pistoia, occupandosi in via principale con il suo staff di responsabilità professionale e civile; internet law, privacy e proprietà
intellettuale nonchè diritto tributario. …Continua a leggere

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