Nella responsabilità medica non basta che la condotta abbia leso l’interesse protetto dalla legge, ma è necessario che abbia causato anche effetti pregiudizievoli. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
1. I fatti: i danni
La moglie di un paziente deceduto citava in giudizio una struttura sanitaria campana al fine di ottenere, per sé e per i propri figli, il risarcimento dei danni subiti a causa della morte del proprio congiunto.
In particolare, l’attrice sosteneva che il marito si era sottoposto ad un intervento di asportazione di un nodulo al collo presso lo studio privato di due sanitari e che questi ultimi avevano eseguito detto intervento in spregio ad ogni protocollo medico. Successivamente, i due sanitari avevano inviato il materiale biologico asportato presso una struttura sanitaria al fine di effettuare l’esame istologico, dal cui esito era emersa la presenza di un melanoma a carico del paziente.
In considerazione di ciò, il paziente era stato sottoposto ad un intervento chirurgico di ampliamento del piano cicatrizzate del linfonodo sentinella con presenza di melanoma e asportazione di linfonodi cervicali profondi.
Dopo qualche mese, il paziente veniva sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico per il prelievo di un campione di cute e all’esito del nuovo esame istologico veniva diagnosticato un aggregato nodulare di elementi schiumosi.
Infine, dopo circa un anno e mezzo il paziente moriva a causa della propagazione delle cellule tumorali del melanoma.
Secondo parte attrice, la morte del paziente era da addebitare alla asportazione precoce del melanoma da parte dei due sanitari, da cui era derivata la propagazione delle cellule tumorali in maniera molto più veloce. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale: la responsabilità medica
Il Tribunale napoletano, dopo aver riepilogato la disciplina in materia di responsabilità contrattuale e il relativo onere probatorio, ha esaminato in maniera più approfondita la prova del nesso di causalità tra la condotta del sanitario danneggiante e l’evento dannoso lamentato dal paziente danneggiato.
In particolare, il giudice ha evidenziato che l’illecito civile ha una struttura diversa da quello penale, dove occorre accertare se la condotta umana abbia prodotto l’evento che costituisce il fatto-reato. Infatti, in ambito di responsabilità civile, tale verifica è insufficiente, poiché occorre accertare anche se da quella lesione sono derivate conseguenze pregiudizievoli. In altri termini, in sede civile, la lesione dell’interesse protetto non costituisce il danno, ma la causa del danno. Pertanto, dovranno essere accertati due nessi di causalitàquello tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse (c.d. danno evento) e quello, successivo, tra la lesione dell’interesse e il danno risarcibile (c.d. danno conseguenza).
Il primo nesso di causalità riguarda la c.d. causalità materiale, mentre il secondo nesso riguarda la c.d. causalità giuridica.
Nel caso in cui viene accertato il primo nesso di causalità, si può ritenere sussistente un illecito addebitabile alla condotta del danneggiante. Nel caso in cui venga accertato anche il secondo nesso di causalità, si può ritenere sussistente anche un danno imputabile al predetto danneggiante.
Per l’accertamento del primo nesso di causalità, si dovrà applicare il criterio della preponderanza dell’evidenza, c.d. criterio del “più probabile che non”, in base al quale deve sussistere una probabilità logica, oltre che statistica, che dalla condotta del danneggiante sia scaturita la lesione dell’interesse protetto (cioè il danno evento).
Anche per l’accertamento del secondo nesso di causalità, si dovrà applicare il criterio del “più probabile che non”, in modo tale da ritenere come conseguenza della lesione dell’interesse protetto (quindi dell’evento lesivo) soltanto i pregiudizi che, secondo un criterio logico e anche statistico, sono derivati dalla condotta posta in essere dal danneggiante.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto infondata la domanda di parte attrice e pertanto l’ha rigettata.
Secondo il giudice, infatti, l’attrice ha allegato che il decesso del marito sarebbe dovuto all’asportazione precoce del nodulo al collo tale che aveva scatenato un procedimento di propagazione di cellule tumorali molto più veloce di quanto sarebbe avvenuto senza l’asportazione. Pertanto, da detta condotta dei sanitari, sarebbe derivata una perdita di chance di sopravvivenza per il paziente.
Sulla base di tali deduzioni, il giudice ha ritenuto che non fosse rinvenibile alcuna responsabilità addebitabile alla struttura sanitaria convenuta, in quanto l’asportazione del nodulo in questione (che avrebbe generato una più veloce propagazione delle cellule tumorali) è stata effettuata da due sanitari presso una clinica privata e quindi non dal personale della convenuta.
Pertanto, manca la prova del nesso di causalità tra la condotta imputabile alla convenuta e l’evento lesivo.
Inoltre, secondo il giudice, dall’istruttoria svolta in giudizio, non è emerso che vi sia stata una qualsivoglia omissione diagnostica o terapeutica colpevole da parte della struttura sanitaria convenuta, né che vi sia stata una condotta di quest’ultima che abbia influito sul decorso della malattia o sull’esito mortale della stessa.
In altri termini, non è stato accertato che i sanitari della convenuta abbiano tenuto una condotta imperita o comunque inadeguata e che una loro diversa condotta avrebbe comportato maggiori chance di sopravvivenza del paziente.
Sul punto, il giudice ha anche smentito le risultanze della CTU svolta in giudizio, ritenendo che i periti nominati dal giudice non avevano spiegato in che termini e in che misura una diversa condotta dei sanitari della convenuta avrebbe positivamente inciso sulle condizioni e sulla durata della vita del paziente, né tantomeno avevano indicato delle precise evidenze scientifiche che potevano sostenere tale ricostruzione.
Il giudice ha quindi concluso che il decorso della malattia e il decesso del paziente, secondo il criterio del più probabile che non, non sarebbero stati evitati neanche se i sanitari della convenuta avessero tenuto una condotta diversa.
Conseguentemente, il tribunale di Napoli nord ha rigettato la domanda di parte attrice, condannando quest’ultima al pagamento delle relative spese legali.
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