Responsabilità, intenzione e rischio nelle assicurazioni

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 Responsabilità

Quando si parla di responsabilità è essenziale rifarsi alla radice del termine, questo in qualsiasi ambito la si voglia calare.

Il concetto di responsabilità viene determinato per la prima volta alla fine del ‘700 in ambito politico da Hamilton, quale “responsabilità del governo” o anche come governo responsabile verso i cittadini. In altre parole un governo costituzionale sotto il controllo dei cittadini ai quali deve rispondere.

Indipendentemente dalle recenti dispute sulla reale possibilità dei cittadini di controllare l’operato del governo e dell’élite che lo esprimono, se non parzialmente e comunque solo su alcuni effetti che li riguardano direttamente, il concetto di responsabilità si lega strettamente a quello di libertà, distinguendolo dal giudizio morale (Hume).

Si tratta comunque di una libertà limitata in cui deve esservi la prevedibilità degli effetti del proprio comportamento, con la conseguente possibilità di modificarlo a seguito di valutazione, circostanza del tutto indifferente di fronte ad una libertà assoluta.

Queste considerazioni hanno, inoltre, permesso di differenziare la responsabilità dalla semplice imputazione dell’azione (Wolff), introducendo al contempo quello di intenzione.

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Intenzione

L’intenzionalità deve intendersi come il riferirsi dell’atto umano ad un oggetto esterno da sé, in questa azione psichica Brentano individua tre atti ben precisi: la “rappresentazione”, in cui l’oggetto è semplicemente presente, il “giudizio”, in cui vi è l’affermazione o la negazione, e il “sentimento”, nella contrapposizione dell’odio o dell’amore.

Husserl, superando il rapporto tra fenomeno psichico e fisico, individua nel rapporto soggetto/oggetto la definizione della coscienza in generale, dove l’intenzionalità risulta essere nella fenomenologia la caratteristica fondamentale della coscienza.

Questo riferirsi all’oggetto, nell’attività pratica pone il problema dell’etica, la quale può distinguersi nell’etica del fine e nell’etica del movente, a seconda se la bontà di una azione si misuri nella direzione impressa all’azione, oppure sulla sua capacità di produrre il bene della comunità in senso lato.

Kant, seguendo la tomistica, insiste fortemente sul valore dell’intenzione nel suo aspetto edificatorio, per contro Weber pone una netta distinzione tra la condotta etica fondata sulla “pura volontà” e quindi sull’intenzione, agisci bene disinteressandoti dalle conseguenze, e la responsabilità, quale prevedibilità delle conseguenze dell’agire.

Come osserva Weber, sia la politica realistica della responsabilità che la condotta rivoluzionaria alla ricerca intenzionale della giustizia, si fondano sull’etica ma risultano incompatibili tra loro.

L’intenzione quindi, non potendo scendere nella coscienza individuale dell’intimo, si risolve nel semplice impegno all’esecuzione di una azione, riducendosi alla possibilità di una prevedibilità delle conseguenze, in un progressivo scendere da quelle casualmente immediate a quelle ultime (Miller, Galanter, Pribzan).

Responsabilità e rischio nel diritto

Se la responsabilità è collegata direttamente al concetto di libertà, non altrettanto può dirsi in ambito giuridico, dove motivi di semplificazione economica e di equità spingono a forme di responsabilità oggettiva, addossando il rischio alla sola tipologia d’azione che viene adottata, indipendentemente da qualsiasi altra valutazione dell’agire o dell’intenzione.

L’introduzione del sistema assicurativo ha d’altronde modificato sia la percezione del rischio che le sue conseguenze economiche, attraverso la parcellizzazione dello stesso e delle relative perdite economiche.

Il rischio è economicizzato solo in presenza di un diritto, si crea quindi un equilibrio tra la necessità di agire e la tutela del diritto riconosciuto e messo a rischio.

Elementi quali l’intenzione e l’attenzione nella valutazione della proporzionalità del rischio accettato, intervengono nel permettere o frenare l’agire in particolare quando non vi è un utile personale in gioco che ne favorisca l’accettazione. Interviene, quindi, la necessità di una graduazione della colpa, al fine di non ottenere l’effetto opposto di limitare o deviare la libertà della scelta e pertanto dell’assunzione del correlato rischio.

Sebbene in presenza di questi casi sempre più frequenti di responsabilità oggettiva, nonché di un uso sempre più esteso del sistema assicurativo, non si può nel giudizio non considerare la capacità di prevedere le conseguenze del proprio agire, né l’intenzione dell’azione stessa e le modalità con cui è stata condotta. Si rischia altrimenti di eliminare dalla valutazione dell’animo agendi la libertà di scelta e di giudizio che ciascun essere umano possiede, in quanto essere cosciente responsabile del proprio agire secondo un’etica che regola i propri impulsi e desideri, nel rapporto: responsabilità, intenzione, valutazione del rischio.

Ma la responsabilità può anche intendersi come una ulteriore evoluzione del concetto di impegno, dove l’obbligazione, che in questo caso è implicita, nell’essere parte del consorzio umano, può intendersi realizzata nel preciso momento dell’azione. Una responsabilità obbligazionaria graduata e, quindi, valutata secondo una logica sfumata.

L’impegno, l’intenzione, l’obbligarsi tutti elementi che sono parte del sorgere dei primi gruppi umani, ulteriormente evolutisi da nomadi in sedentari, perfezionatisi nel tempo attraverso il commercio e l’industria, fino ad un loro possibile superamento evolutivo, in cui il futuro giudizio sulla comunità avverrà non dall’esterno ma dall’interno della specie stessa mediante una esplosione tecnologica ed una possibile implosione biologica, che condurrà ad una divaricazione tra I. A. e Uomo Sapiens.

Il problema della responsabilità oggettiva

Dalla colpa al rischio

Nell’art. 2043 c.c. si contemperano due principi, il primo per cui non vi è nessuna responsabilità senza colpa e il secondo in cui la lesione deve riguardare un diritto riconosciuto.

Necessita, pertanto, l’esservi una qualche colpa dell’agente, al fine di determinare la responsabilità a casi determinabili, evitando le conseguenze negative derivanti da un eccesso di estensione dell’area di responsabilità che si tradurrebbe in un blocco all’agire e, quindi, economico.

Questo principio, della limitazione ai diritti riconosciuti, ha anche l’ulteriore funzione di determinare i valori che la società intende proteggere.

Nel progresso dell’evoluzione economica si è superato il principio della colpa, allargando il numero degli interessi meritevoli di tutela e introducendo il criterio del rischio quale premessa per una responsabilità oggettiva, secondo una nuova visione del rapporto committenti e lavoratori (socialismo giuridico), in cui la proprietà risultava responsabile di per sé per i fatti dei dipendenti verso terzi, salvo eventuale rivalsa (c.d. culpa in eligendo e culpa in vigilando, quale autonomo rischio di impresa – artt. 2049 e 2054 c.c.).

Il carattere di rischio, considerato da alcuni esclusivamente di carattere economico, viene esteso progressivamente ad altri casi, sul presupposto di una capacità economica crescente, frutto di un progresso tecnico, tale da poterne assumere i costi, considerate le maggiori e varie occasioni di danno che la stessa complessità tecnologica crea.

Deve tuttavia introdursi, una volta imboccata questa strada necessariamente un limite che è individuato nel caso fortuito, questo peraltro non esime, secondo parte della dottrina, di rispondere anche di cause ignote e non identificabili, tale da estendere massimamente la diligenza, se non di svuotarne il significato. In questo favoriti dalla crescita del sistema assicurativo, che spalma il costo derivante del rischio sui vari gruppi sociali coinvolti nello stesso.

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