Con ordinanza del 26 giugno 2025 (n. 267), il T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sezione I, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, lett. c), della legge regionale 19 febbraio 2016, n. 1 (“Riforma organica delle politiche abitative e riordino delle Ater”). La disposizione stabilisce, tra i requisiti per accedere all’edilizia residenziale pubblica (ERP), la residenza anagrafica nel territorio regionale da almeno cinque anni, anche non continuativi, negli otto precedenti alla domanda. Il giudice amministrativo ha ritenuto tale requisito potenzialmente in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, poiché idoneo a determinare discriminazioni irragionevoli nell’accesso ad un servizio pubblico essenziale quale l’abitazione. La vicenda si inserisce in un ampio filone giurisprudenziale che ha già visto la Corte costituzionale più volte intervenire su analoghe previsioni di leggi regionali, censurandole per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza.
Indice
1. Il caso concreto, il requisito di residenza per le case popolari e la decisione del TAR
La controversia trae origine dal ricorso presentato da un cittadino extracomunitario, residente in Italia dal 1990 e con diversi periodi di residenza in Friuli-Venezia Giulia. Dopo una cancellazione anagrafica per irreperibilità nel 2012, egli aveva rinnovato la propria iscrizione nel 2020 presso il Comune di Pordenone, presentando domanda per l’assegnazione di un alloggio ERP nel 2023. L’amministrazione respingeva l’istanza per mancanza del requisito della residenza quinquennale negli ultimi otto anni, come previsto dalla normativa regionale e dal relativo regolamento attuativo.
Il T.A.R., investito del ricorso, ha respinto le prime tre censure del ricorrente, che riguardavano l’omessa considerazione di situazioni di disagio sociale, la violazione delle garanzie procedimentali e il dedotto eccesso di potere. Tuttavia, in relazione alla quarta censura, concernente il requisito di residenza, ha ritenuto necessario rimettere la questione alla Corte costituzionale. A giudizio del Tribunale, infatti, la norma non si presta ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, data la sua chiarezza testuale, e può essere valutata solo attraverso il sindacato di costituzionalità.
2. Il diritto all’abitazione e i precedenti della Corte costituzionale
Nell’ordinanza di rimessione, il T.A.R. richiama numerosi precedenti della Consulta (sentenze nn. 44/2020, 77/2023, 145/2023, 67/2024, 147/2024), che hanno già dichiarato l’illegittimità di disposizioni regionali analoghe. In tali pronunce, la Corte ha ribadito che il diritto all’abitazione è un diritto sociale fondamentale, strettamente connesso alla dignità umana e al principio di eguaglianza sostanziale. L’edilizia residenziale pubblica costituisce un servizio sociale volto a garantire condizioni di vita dignitose ai soggetti economicamente più deboli.
La Corte ha inoltre chiarito che non vi è alcuna correlazione ragionevole tra il bisogno abitativo e la durata della residenza in un determinato territorio. Anzi, proprio le persone in condizioni di fragilità economica sono spesso costrette a trasferirsi in cerca di lavoro e opportunità, rendendo irragionevole subordinare l’accesso agli alloggi ERP ad una residenza protratta. Per questo, tali requisiti sono stati ritenuti incostituzionali in quanto violano l’art. 3 Cost. sotto tre profili: (i) intrinseca irragionevolezza, poiché scollegati dalla funzione dell’edilizia sociale; (ii) discriminazione ingiustificata tra persone in condizioni analoghe; (iii) ostacolo alla rimozione delle barriere economiche e sociali, in contrasto con il dovere costituzionale della Repubblica.
3. Profili di competenza legislativa tra Stato e Regioni
Un ulteriore aspetto rilevante riguarda la distribuzione delle competenze legislative in materia di edilizia residenziale pubblica. La Corte costituzionale ha più volte sottolineato il carattere “trasversale” della disciplina:
- spetta allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, co. 2, lett. m), Cost.), che comprende la definizione dei criteri minimi per garantire uniformità nell’accesso agli alloggi ERP su tutto il territorio nazionale;
- è materia di legislazione concorrente Stato-Regioni il governo del territorio (art. 117, co. 3, Cost.), che include la programmazione degli insediamenti ERP;
- rientra invece nella competenza residuale delle Regioni la gestione del patrimonio immobiliare ERP.
In questo quadro, i requisiti di accesso agli alloggi, se incidono sui livelli essenziali delle prestazioni, non possono essere rimessi alla discrezionalità regionale, dovendo rispettare i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza. La pretesa di subordinare l’accesso al requisito della “residenza protratta” si pone quindi in contrasto con i limiti alla potestà legislativa regionale.
4. Considerazioni conclusive e prospettive
La questione sollevata dal T.A.R. Friuli-Venezia Giulia non appare isolata, ma si inserisce in una linea di contenziosi che hanno già condotto la Corte costituzionale a dichiarare l’illegittimità di analoghe previsioni regionali. Alla luce di tali precedenti, è altamente probabile che anche la disposizione friulana venga censurata, riaffermando il principio secondo cui il diritto all’abitazione, in quanto diritto sociale fondamentale, non può essere condizionato da requisiti estranei alla situazione di bisogno.
L’eventuale dichiarazione di incostituzionalità non solo inciderebbe direttamente sul caso concreto, consentendo al ricorrente di accedere al procedimento di assegnazione, ma avrebbe effetti di sistema, imponendo alla Regione una revisione complessiva della disciplina sull’ERP. Essa rappresenterebbe, inoltre, un ulteriore monito alle Regioni affinché evitino di introdurre barriere discriminatorie nell’accesso ai servizi sociali, nel rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà sanciti dalla Costituzione.
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