recensione a :Chiara De Luca, La collezionista ovvero la sindrome di Babbo Natale, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2005

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Capita che, per fronteggiare/dibattere/confrontarsi sulle problematiche del nostro tempo, sia necessario fare ricorso a nozioni/spunti provenienti da settori diversi per attuazione e sensibilit?.

Perch? mai come oggi quelle stesse problematiche sono parte integrante di un piano d?azione estremamente ?intrecciato? e complesso. Un piano d?azione che non pu? essere affrontato seguendo una sola linea, pena una soluzione parziale che non aiuterebbe certo bens? amplierebbe il baratro che separa il fatto dalla soluzione del fatto.

Cos? accade anche per la flessibilit?, spunto per milioni di saggi, convegni e appuntamenti televisivi ma, in fondo, mero modo di vivere; mero modo di intendere la propria professionalit? all?interno di un contesto ? e questo ? innegabilmente vero ? in continua evoluzione e in perenne mutazione.

Come ho gi? avuto modo di scrivere non penso che il problema sia nel modello flessibile; piuttosto credo che il problema vero sia nel fatto che la flessibilit? si sia imposta nel mondo del mercato come estrema ratio per salvaguardare un sistema in caduta libera.

Di pi?, credo che non tutti i settori interessati abbiano offerto una loro personale alternativa, rendendo la parola ?flessibilit?? negativa di riflesso[1].

Perch? ? anche vero che un modello flessibile ha delle ripercussioni non solo sulla sfera lavorativa, bens? sulla sfera personale. E per personale intendo la possibilit? di creare un proprio nucleo familiare e la possibilit? di partecipare attivamente alla vita civile.

Per fare un esempio semplice semplice: un giovane flessibile non avr? la possibilit? di chiedere un mutuo a meno di non avere una forte garanzia dietro (si legga mamma e pap?) e cos? andr? in affitto. E siccome il pagamento dell?affitto non si considera flessibile il nostro giovane dovr?, in primo luogo, garantirsi quella somma di denaro. ? libero? No. ? flessibile? Si, ma non certo di sua volont?.

Si, lo so, ora i lettori conservatori diranno che se il ragazzo ? in gamba, preparato e motivato allora altro che affitto. Si potr? permettere il leasing della macchina, una vacanza all?anno e tutti quei giocattolini tecnologici di cui non possiamo pi? fare a meno.

Ma se invece il ragazzo in questione fosse solo uno che vuole lavorare, senza troppe ambizioni? E se non fosse nemmeno troppo sveglio? Capita anche nelle migliori famiglie.

Insomma, le varianti sono molteplici ma quello che mi premeva sottolineare ? che la flessibilit? oggi permea gran parte di quella generazione che va dai 25 ai 35.

Ma la cosa pi? drammatica ? che, a forza di parlarne, abbiamo perso di vista il nocciolo della questione; abbiamo affrontato con dovizia di particolari tutto il contorno senza mai concentrarci sugli aspetti principali e, forse, pi? importanti.

Una overdose da comunicazione[2].

Assistiamo impotenti a giovani che, addirittura, abbandonano anche la ricerca del lavoro; notiamo in apposite statistiche la crescita di patologie depressive in fasce sempre pi? giovani, esaminiamo astruse formulazioni giuridiche e ci compriamo tutti i libri per sapere come sederci/stringere la mano/sorridere ad un colloquio. Quale cazzata sparare per sembrare pi? motivati/rabbiosi/indispensabili/utili/creativi/etici/amorali[3].

Tutto per fare colpo sulla persona che sar? nostro datore di lavoro per sei mesi.

In conclusione, se dovessi andare a parlare di flessibilit? non saprei cosa dire, se impostare il discorso sull?aspetto giuridico o su quello sociologico o ancora economico.

Ecco perch? il bel libro di Chiara De Luca non pu? essere interpretato solo come un romanzo generazionale. Deve essere inteso come un vero e proprio saggio sulla flessibilit?; uno spaccato di quotidianit? tristemente condivisa da chi scrive come da tanti altri ragazzi/e (anche se a trenta anni compiuti mi sembra un po? ridicolo essere visto come un ragazzo) che ogni mattina pensano che sia arrivato il gran giorno, che il colloquio si risolver? con una stretta di mano ed un contratto che consenta di portare la Vespa dal meccanico o di programmare quel w/e a Parigi senza doversi privare del pranzo per tutta la settimana seguente.

? vero, forse sto divenendo un filo patetico e forse dovrei seguire indirettamente i consigli della protagonista che cerca di salvare la propria dignit? con l?arma della ironia, ma cerchiamo di capire i pro (ce ne saranno, diamine) e i contro.

Tra i pro sicuramente una vita pi? divertente, sempre con il cervello acceso, sempre pronti a rimetterci in gioco, sempre alla ricerca di nuovi traguardi (a medio termine, sia chiaro); tra i contro la necessit? di non poter programmare niente, il fatto di non potersi riposare mai, e ? sembra stupido, ma non lo ? ? l?impossibilit? di configurare un qualsiasi percorso professionale come un normale ciclo di passaggi. Quindi da attuare in maniera lenta ma consapevole. Oltre al fatto, non indifferente sia per il lavoratore come per il datore di lavoro, di non avere fidelizzazione, di essere mercenari pronti a svendersi al miglior offerente. Un cane che si morde la coda; un circolo vizioso in cui tutti ? nessuno escluso ? cercano di sopravvivere.

E questo ? un altro motivo per interpretare il libro della De Luca non come un semplice strumento di intrattenimento bens? come un monito. Che avverte che le parole alte devono essere accantonate per un po?, che le formule televisive devono privilegiare testimonianze dei giovani protagonisti della vicenda e non solo quelle dei professori che si cimentano in ardite sperimentazioni sulla natura giuridica del contratto a progetto.

Un ritorno al basso che non sia solo strategia ? come da un po? di tempo avviene nel settore della politica ? ma che si traduca in un atteggiamento positivo nei confronti delle istanze di quelle fasce d?et? pi? influenzate dal fenomeno.

E poi, il necessario coinvolgimento di tutte le parti in causa; penso al mondo bancario e all?approntamento di strumenti finanziari pi? snelli; penso al settore pensionistico e a quello dello Stato sociale. Vedete tutti come sia ampio il discorso.

A quel punto anche il libro di Chiara potr?/dovr? divenire parte integrante del discorso; una risorsa importante che colpisca non solo per un linguaggio fresco, o per l?ironia sottile e pungente, o per il senso di provocazione dosato in maniera impeccabile, ma anche per quel ruolo di testimonianza che oggi, pi? che mai, appare fondamentale in un?ottica di cambiamento in positivo.

Lo ammetto, ho parlato poco del testo e mi sono perso nel contorno del libro.

Vuol dire che Chiara ha centrato il suo risultato.

Vuol dire che questo libro ? bello e ti spinge a pensare.

?



[1] Una costante comportamentale dell?umanit? che sceglie sempre la rimozione integrale del vecchio sistema a vantaggio del nuovo sistema. Pensiamo solo alla Rivoluzione industriale e al declino dell?attivit? agricola o, in tempi pi? recenti, alla visione di Internet come unico parametro di crescita a danno di tanti altri sistemi di comunicazione. In conclusione una mancata visione di integrazione delle risorse a disposizione.

[2] Per un approfondimento, Mario Perniola, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino, 2004.

[3] A tal proposito riporto un episodio tristemente spassoso nella prefazione al testo, S. Martello, Sul rapporto tra la ricerca del lavoro in Italia e Babbo Natale: brevi cenni e riflessioni.

Martello Stefano

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