Reati Culturalmente Motivati: quali limiti alla Libertà di Culto?

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La Prima Sezione della Corte di Cassazione con Sentenza resa il 31 Marzo 2017 n. 24084, conferma il suo orientamento sulle Scusanti di Culto dichiarando il ricorso Infondato e confermando le precedenti decisioni di merito attinenti all’interpretazione dell’art. 4 L.110/1975.

Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sentenza n. 24084 del 31-03-2017

Sent.-Sez.-1-C.-Cass.-24084_31-marzo-2017.pdf 295 KB

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Indice

1. Il caso

 
Il Tribunale di Mantova condannava il 5 Febbraio 2015 S.J. ad un’ammenda pari nel valore a 2000€ per il reato di cui all’art. 4 L.110/1975, rubricato “Porto d’armi od oggetti atti ad offendere”, perché “portava fuori dalla propria abitazione”, nella città di Goito, “senza un giustificato motivo, un coltello (…) idoneo all’offesa per le sue caratteristiche” (detto Kirpan), adducendo, come motivazione al suo rifiuto di consegnarlo agli agenti di Polizia intervenuti in loco, la consonanza tra il suo comportamento e i precetti della religione Sikh. Il giudice di prima istanza affermava che tali espressioni di culto potessero essere intese come consuetudini, e come tali, ex art. 1 preleggi c.c., mai avere un effetto abrogativo di una norma penale quale quella in esame. L’imputato così presentava ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo di annullare la sentenza di prime cure per i motivi di cui all’art. 606 co. 1 lett. B ed E c.p.p., cioè “inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche” in riferimento all’art. 4 L.110/1975, e “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” (vizio di motivazione) in riferimento alla sentenza nel suo complesso; ritenendo interpretabile rientrare come “giustificato motivo” ex art. 4 co. L.110/1975 anche tutto ciò che attiene la libertà di culto ex art. 19 Cost.
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2. Le normative in rilievo

Al di là di questioni attinenti a norme processuali quali l’art. 606 co. 1 lett. B ed E c.p.p., che definisce i motivi di ricorribilità, e alle sue varie interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali, e all’art. 1 preleggi c.c., che definisce il sistema di fonti da cui trarre l’impossibilità di una consuetudine di abrogare tacitamente una norma penale, essendo stato questo rilevante solo in relazione alla sentenza del giudice di merito; le disposizioni che entrano in rilievo, nelle ragioni della Corte di Cassazione, sono, per espresso motivo di gravame, l’art. 4 L.110/1975 e la sua interpretazione, da un lato, e dall’altro, l’art. 19 Cost. per espresso richiamo del ricorrente, ma anche perché è su di esso che si fonda il dibattito in merito a quali possano essere i limiti a cui la libertà di culto possa andare incontro. La Corte, nelle more della sentenza, si spinge oltre, richiamando anche, l’art. 9 CEDU rubricato, nella versione italiana, “Libertà di pensiero di coscienza e di religione”, e la giurisprudenza della Corte CEDU (sentenze Leyla Sahin c. Turchia [GC], n. 44774/98, § 111, CEDU 2005 XI ; Refah Partisi e altri c. Turchia [GC], n. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98, § 92, CEDU 2003 II; Eweida e altri c. Regno Unito), da cui poter trarre, nella sua motivazione, i limiti che anche a livello sovrannazionale sussistono in relazione a tale libertà e per legittimare una norma, quale l’art. 4 L.110/1975, che “ha base nel diritto nazionale”.

3. Le motivazioni della Corte di Cassazione

Premessa la possibilità di escludere il reato alla presenza di un “giustificato motivo” ex art. 4 co. 2 L.110/1975 inteso, secondo la giurisprudenza di legittimità, sussistere quando “le esigenze dell’agente siano corrispondenti a regole relazionali lecite rapportate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto”, la Corte nega che “il simbolismo legato al porto del coltello possa comunque costituire la scriminante posta dalla legge”. Inoltre afferma che, in generale, se l’integrazione a una società ospitante non debba comportare la rinuncia dell’immigrato della propria “cultura di origine” (e quindi anche al proprio credo), il limite che questa incontra “è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”, cioè dall’impossibilità per l’immigrato, per il tema che si va ad affrontare, per il credente, sulla base dei suoi valori di partenza e al suo “attaccamento” ad essi, di portare “alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”. A nulla valendo alcuna invocazione dell’art. 19 Cost. che già nella sua formulazione afferma i limiti a cui va incontro in “tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e della sicurezza, compendiate nella formula dell’”ordine pubblico””ovvero dell’art. 9 CEDU che al paragrafo 2 afferma che “la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui.”, ed è proprio l’art. 4 L.110/1975 la legge che stabilisce tale restrizione e per la quale:“(…) senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona (…)”.  

4. Conclusioni

Per tali ragioni la Corte di Cassazione rigetta il ricorso per infondatezza dello stesso affermando, ed estendendolo ad ogni “credo religioso”, conformemente al principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., il principio di diritto secondo cui “nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere”, quindi, da un lato, smentendo che nell’interpretazione dei “giustificati motivi” di cui all’art. 4 co. 2 L.110/1975 possa rientrare anche la scusante attinente a valori religiosi, e dall’altro lato, confermando la sua giurisprudenza precedente.

Nicola Zera Falduto

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