Rapporti fra giudizio civile risarcitorio e giudizio di responsabilita’ amministrativa per danno erariale – dipendenti enti locali – mancato godimento delle ferie e dei riposi settimanali – diritto alla indennita’ sostitutiva – provvedimento coattivo tar

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La pronunzia in allegato dell’ A.G. del Lavoro di Reggio Calabria riveste particolare interesse in quanto affronta plurime tematiche rilevanti anche ai fini dei rapporti che inevitabilmente sussistono fra giudizio civile e giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale in sede di rivalsa. Seppure detti giudizi siano connotati da autonomia e separatezza, laddove la P.A. venga condannata al pagamento di somme in favore del ricorrente suo dipendente e possa configurarsi, come nella specie, responsabilità gravemente colposa degli apicali dell’ amministrazione, peraltro desumibile dalla motivazione della decisione, l’ ente è obbligato ad inoltrare esposto erariale alla competente Procura contabile essendo la Corte dei Conti Giudice della rivalsa per antonomasia.
Nel caso in esame, l’ attore, dipendente comunale, nella sua qualità di sorvegliante, non aveva fruito delle ferie e dei riposi a lui spettanti per un lungo periodo nonostante le reiterate richieste all’ ente. L’art. 18 del C.C.N.L. E.L. del 1995 prevede che le ferie vadano fruite nel corso di ciascun anno solare di riferimento e che, in ipotesi di omessa fruizione nel corso dell’ anno per indifferibili esigenze di servizio, le ferie vadano godute entro il primo semestre dell’ anno successivo, nonché che, in caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il lavoratore debba fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell’ anno successivo a quello di spettanza.
Di conseguenza, le ferie non godute nel corso dell’ anno di riferimento sono fruibili in via posticipata solo entro un determinato periodo di tempo che in ogni caso non può travalicare l’ anno successivo.
E’ evidente, quindi, che allorquando intervenga un provvedimento dirigenziale alquanto tardivo di collocamento in ferie coattive, il medesimo si appalesa come del tutto illegittimo in quanto violativo del disposto di cui all’ art. 18 succitato e, pertanto, disapplicabile dal Giudice del Lavoro ex art. 4 L.A.C.. Ne deriva che l’ ente locale debba essere condannato al pagamento di quanto dovuto a titolo di indennità di ferie e di riposi non goduti in favore del ricorrente. Nella fattispecie, inoltre, il dipendente aveva richiesto l’ accoglimento della propria domanda al risarcimento del danno da usura psico-fisica e/o danno esistenziale con conseguente condanna del Comune datore di lavoro. Previa pregevole disamina degli orientamenti giurisprudenziali in materia, viene statuito in pronunzia che il danno da usura psico-fisica deve intendersi ricompreso in quello esistenziale quale species attinente alla dimensione lavorativa dell’ esistenza.
Ciò premesso, sotto il profilo contabile, trattandosi di disposto giurisdizionale di condanna quantificatoria ad un determinato importo che nella specie è pari ad Euro 5.443,01 oltre ad oneri accessori di legge sulla sorte capitale ed alle spese di giudizio, il danno patrimoniale arrecato al Comune dalla condotta gravemente colposa dei propri apicali va determinato in misura pari a detto importo. Il chè significa che una volta che l’ ente locale abbia subito esborso finanziario con pagamento in via amministrativa delle somme dovute, dovrà denunciare in sede erariale il pregiudizio subito. Naturalmente, allorquando una decisione civile di condanna della P.A. non venga tempestivamente adempiuta ex art. 14 L. n. 30/1997 ( 120 giorni dalla notifica del titolo giudiziale ) e, pertanto, parte attrice ottenga in via esecutiva il quantum dovutele, il danno pubblico risulterà maggiorato dagli importi corrisposti a titolo di ulteriori accessori di legge, nonché per spese di precetto e di procedura esecutiva. Ulteriore principio è che se la P.A. sia stata difesa in giudizio da Legale esterno, integra danno anche il pagamento della parcella per l’ attività procuratoria e defensionale di costui come per l’ altrettanto integra nocumento patrimoniale l’ eventuale esborso per spese di C.T.U..
L’ omessa o tardiva denunzia da parte dell’ ente locale ( o – latamente – della P.A. danneggiata ) costituisce in responsabilità erariale chi non abbia ottemperato nella persona del segretario generale  e/o dei revisori contabili all’ osservanza dell’ obbligo normativizzato di denuncia, in disparte i profili penali ex art. 328 c.p. ( art. 58 L. n. 142/90 ed atto di indirizzo Procura Generale C.d.C. n. 7740/90 ). Il Sindaco ( od il Presidente della Provincia o l’ Assessore competente ) subentrano per gli illeciti commessi dal Segretario, mentre il Consiglio o la Giunta Comunale per gli illeciti commessi dagli Amministratori ( art. 33, 2° co., L. n. 335/76 ).
Detto obbligo è contemplato dall’ art. 20 T.U. n. 3/57 – dall’ art. 53 T.U. C.d.C. e dall’ art. 83 *******. St. e se l’ illecito si prescrive, ricorre l’ ipotesi di cui all’ art. 1, comma 3°, L. n. 20/94 per cui il responsabile di ciò ne risponde in proprio ed il termine per perseguire tale condotta lesiva decorre dalla data di maturazione della prescrizione del fatto non denunciato.
Si rammenta che la decorrenza del termine prescrizionale dell’ illecito contabile decorre dalla data dell’ esborso finanziario ovvero – secondo altro orientantamento minoritario – dalla data di passaggio in giudicato della sentenza civile. In ogni caso, l’ ente è sempre tenuto a mettere in mora i presunti e/o il presunto autore di danno. Una volta che sia stato inoltrato l’ esposto erariale unitamente alla relativa documentazione, si apre istruttoria di responsabilità amministrativo-contabile. Il requirente non è affatto tenuto, in caso di gravame dell’ Amministrazione, ad attenderne l’ esito, sia perché fra giudizio civile ( penale, amministrativo o tributario ) vi è piena autonomia e separatezza, sia perché è sufficiente che il danno sia certo ed attuale non occorrendo che esso sia definitvo ed una volta che le somme dovute su sentenza siano state pagate dall’ ente si integrano i requisiti perché possa l’ A.G. contabile agire in sede di rivalsa.
Deve rilevarsi che ben può lo stesso Giudice che abbia emesso pronunzia di condanna della Amministrazione, inviare informativa erariale di danno ( Notitia damni qualificata ) alla Procura contabile per le determinazioni di competenza.
Ciò in quanto spesso le Amministrazioni ( specie quelle locali ) non provvedono a denunciare i pregiudizi subiti alla Corte.  
Il P.M. contabile può ritenere sussistenti gli estremi necessari per l’ esercizio dell’ azione di responsabilità sulla base anche degli accertamenti probatori effettuati in sede civile come peraltro può discostarsene in ragione delle suindicate autonomia e separatezza. Tuttavia, nella fattispecie prospettata, già dal vaglio giudiziale intervenuto si desume la configurabilità di illecito omissivo gravemente colposo.               
 
 
PROSECUZIONE DEL VERBALE D’UDIENZA DEL 7/6/2006
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
ex art. 281 sexies cpc
 
 1.Parte ricorrente espone di essere dipendente del Comune di ………, con il compito di sorvegliante, di non avere goduto dal 1994 al 2000 di alcun giorno di ferie nonostante le reiterate richieste. Precisamente deduce di aver goduto – nel periodo dall’1.7.1998 al 3.12.2001 – di 80 giorni di ferie e di 11 giorni di riposo settimanale. Sostiene che il mancato godimento delle ferie e dei riposi settimanali ha determinato danno da usura psico-fisica, danno esistenziale. Produce a tal fine certificati medici da cui assume potersi evincere di aver attraversato in diversi periodi lunghi cicli di depressione ansiosa.
 
 Chiede pertanto il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute e dei riposi non goduti, nonché il risarcimento del danno all’integrità psico-fisica ed il danno esistenziale.
 
 Il Comune , costituendosi in giudizio, contesta la fondatezza della domanda, di cui chiede l’integrale rigetto.
 
 2.In punto di fatto, l’assunto del ricorrente ha ricevuto conferma dalla risultanze istruttorie. Tra l’altro quanto allegato dal ricorrente risulta inequivocabilmente confermato dal provvedimento dirigenziale del 15.12.2005 Prot. n. 588, con il quale si dispone che l’odierno ricorrente “fruisca .. del periodi di ferie residui degli anni 1998, 1999 e 2000, per un totale di n. giorni 187, ritenendo lo stesso in ferie dal giorno 22.12.2005 al 03.08.2006 a totale scomputo periodo residuo”.
 
 Tale provvedimento riconosce come non goduti un numero di giorni di ferie superiore a quello allegato nel ricorso.
 
 In ordine alla legittimità del provvedimento, si conferma quanto osservato nell’ordinanza cautelare del 10.3.2006. Vale a dire che tale provvedimento viola l’art. 18 ccnl 1995 comma 9 a norma del quale, le ferie devono essere fruite nel corso di ciascun anno solare. Il comma 12 del medesimo articolo stabilisce che, in caso di mancata fruizione delle ferie nel corso dell’anno – il che è ammesso solo in caso di indifferibili esigenze di servizio – le ferie dovranno essere fruite entro il primo semestre dell’anno successivo.
 
 Il comma 13 prevede poi che in caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il dipendente dovrà usufruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza.
 
 Dalle predette norme emerge in modo evidente il principio secondo cui le ferie non godute nel corso dell’anno di riferimento, possono essere godute in via posticipata solo entro un determinato periodo di tempo che comunque non può andare oltre l’anno successivo.
 
 A conforto di tale assunto, si richiama la seguente massima:
“In relazione alla funzione di recupero delle energie fisiche e psichiche da parte del lavoratore, le ferie annuali devono essere godute entro l’anno di lavoro e non successivamente; una volta decorso l’anno di competenza, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore di godere effettivamente delle ferie né può stabilire il periodo nel quale deve goderle ma è tenuto al risarcimento del danno” (Cassazione civile, sez. lav., 24 ottobre 2000, n. 13980).
 Nella fattispecie in esame invece il provvedimento di fissazione delle ferie è stato adottato 5 anni dopo la scadenza del periodo di spettanza.
 
 3.Anche quanto dedotto in merito ai riposi non goduti può ritenersi sufficientemente provato.
 
Precisamente, il teste D M ha confermato il contenuto della nota dirigenziale , dal medesimo redatta, dell’8.5.2003. Dalla quale nota risulta per l’appunto che l’odierno ricorrente non ha goduto di 11 giorni di riposo. Non vi è prova che l’amministrazione convenuta abbia corrisposto il relativo compenso.
 
 4.In ordine al quantum, in mancanza di contestazioni sui conteggi proposti dal ricorrente, possono essere confermati i dati da essi risultanti.
 
Conseguentemente, a titolo di compenso per l’attività lavorativa svolta nei giorni che avrebbero dovuto essere destinati a riposi e ferie (l’aspetto positivo della mancata fruizione delle ferie e dei riposi), spetta all’odierno ricorrente la complessiva somma di € 4.082,26, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma originaria annualmente rivalutata.
 
 5.Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno, per non avere goduto delle ferie e dei riposi (l’aspetto negativo della mancata fruizione delle ferie e dei riposi), è necessaria qualche precisazione preliminare in ordine alla domanda.
 
 Ritiene questo giudice che il ricorrente, col riferirsi ad un danno “all’integrità psico-fisica”, abbia inteso in realtà proporre una domanda di risarcimento non di danno biologico ma di danno da usura psico-fisica.
 
Al riguardo si rileva che nel paragrafo 12 del ricorso si legge che “i .. danni subiti dal lavoratore consistono in danno da usura psico-fisica”.
 
Vero è che subito dopo il ricorrente afferma di avere attraversato , a causa della mancata fruizione dei periodi di riposo, “lunghi cicli di depressione ansiosa” , cicli che deduce essere evincibili da tre certificati medici. Ma tali certificati il ricorrente dichiara di produrre a dimostrazione del danno prima descritto, vale a dire il danno da usura psico-fisica e il danno esistenziale. Quindi l’allegazione di cicli di depressione ansiosa non è volta alla pretesa risarcitoria di un danno biologico in senso proprio. E’ piuttosto strumentale alla pretesa di risarcimento del danno da usura psico-fisica e del danno esistenziale.
 
Che nella causa petendi e nel petitum del ricorso non sia compreso il danno biologico, lo si evince anche dalla mancata indicazione: a) della durata dei periodi di depressione; b) della gravità di tale depressione; c) del carattere temporaneo o permanente della patologia.
Sembra che sia allegata un’invalidità temporanea , verificatasi a più riprese (“in diversi periodi.. cicli”), ma non ne viene indicata la durata di ciascuno dei periodo di depressione né la gravità della patologia.
 
La necessità delle predette indicazioni si avverte in modo particolare nella presente fattispecie, nella quale è stato esplicitamente dedotto il danno da usura psico-fisica; ciò al fine di distinguere il danno del usura psico-fisica dal danno biologico in senso stretto.
 
 In proposito giova rimarcare che la giurisprudenza tiene ben distinto il danno da usura da quello biologico in senso stretto.
Si richiamano al riguardo le seguenti massime.
“In relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da "usura psico-fisica", conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una "infermità" del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima ipotesi, il danno sull’an deve ritenersi presunto e il risarcimento può essere determinato spontaneamente, in via transattiva, dal datore di lavoro con il consenso del lavoratore, mediante ricorso a maggiorazioni o compensi previsti dal contratto collettivo o individuale per altre voci retributive; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., interpretando la domanda dei lavoratori – che avevano ammesso di avere ricevuto il risarcimento del danno da usura mediante maggiorazioni retributive previste per istituti contrattuali affini – come richiesta dell’ulteriore danno alla salute, l’aveva rigettata per mancanza di prova in ordine alla sussistenza di tale danno aggiuntivo)” (Cassazione civile, sez. lav., 20 agosto 2004, n. 16398).
“Il danno da usura psicofisica derivante dal non aver fruito del riposo festivo settimanale va distinto dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico che si concretizza, invece, in un’infermità del lavoratore determinata da una continua attività lavorativa non seguita da riposi settimanali nel settimo giorno ma dall’ottavo giorno in avanti, danno biologico che, concretandosi in un’infermità del lavoratore, deve essere dimostrato sia nella sua interezza sia nel suo nesso eziologico” (T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 2 febbraio 2004, n. 835).
“In relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da "usura psico-fisica", conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una "infermità" del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima ipotesi, il danno sull’"an" deve ritenersi presunto e il risarcimento può essere determinato spontaneamente, in via transattiva, dal datore di lavoro con il consenso del lavoratore, mediante ricorso a maggiorazioni o compensi previsti dal contratto collettivo o individuale per altre voci retributive; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., interpretando la domanda dei lavoratori – che avevano ammesso di avere ricevuto il risarcimento del danno da usura mediante maggiorazioni retributive previste per istituti contrattuali affini – come richiesta dell’ulteriore danno alla salute, l’aveva rigettata per mancanza di prova in ordine alla sussistenza di tale danno aggiuntivo)” (Cassazione civile, sez. lav., 4 marzo 2000, n. 2455).
 Comunque, se anche si ritenessero le anzidette considerazioni insufficienti al fine di interpretare la domanda come limitata al danno da usura (escludendo quindi il danno biologico), esse comunque sarebbero idonee a fondare il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico, per insufficiente allegazione. Ciò anche in considerazione dell’assoluta genericità delle attestazioni contenute nei certificati medici prodotti.
 
 6.Ciò puntualizzato, ritiene questo giudicante che il danno da usura psico-fisica da mancata fruizione del riposo settimanale – che può essere considerato una species del danno esistenziale, siccome si sostanzia non in una vera e propria patologia, ma in un peggioramento della qualità della vita – sia non danno in re ipsa, ma un danno la cui prova è in re ipsa, nel caso in cui il mancato godimento del riposo non sia seguito, entro un ragionevole lasso di tempo, da un corrispondente riposo compensativo. La prova contraria può essere data dal datore di lavoro ad esempio dimostrando il consenso effettivo del lavoratore oppure circostanze da cui si evinca un peculiare ed apprezzabile interesse del dipendente a lavorare nei giorni da destinare a riposo.
 
 7.Analogo discorso, con gli opportuni adattamenti, può farsi riguardo al danno da usura psico-fisica da mancato godimento delle ferie annuali.
 
 Anche la prova di tale danno può ritenersi sia in re ipsa, quando il mancato godimento delle ferie non sia seguito, entro un ragionevole lasso di tempo, dal recupero delle ferie. La prova contraria, anche qui, può essere data ad esempio dimostrando il consenso effettivo del lavoratore oppure documentando circostanze indicanti un peculiare ed apprezzabile interesse del lavoratore a prestare attività lavorativa invece che godere delle ferie.
 
 8.Al fine di determinare il quantum del danno da usura psico-fisica, da mancato godimento del riposo e delle ferie, si stima equo far riferimento alla maggiorazione stabilita dal contratto collettivo per il lavoro straordinario (15% della retribuzione).
 
 9.Per quanto concerne il danno esistenziale consistente nella compromissione della partecipazione alla vita familiare e sociale, si osserva che il ricorrente non ha fruito delle ferie dal 1998 al 2001.
 
 L’inadempimento dell’obbligo di far godere le ferie si è quindi protratto per un lasso di tempo così lungo che certamente può ritenersi verificato un effettivo pregiudizio alla qualità della vita del ricorrente.
 
 Il protrarsi dell’inadempimento , il suo dispiegarsi per un periodo di tre anni – durante il quale il ricorrente non ha goduto neanche di un giorno di ferie – ha prodotto un danno-conseguenza, consistito in un apprezzabile pregiudizio alla partecipazione a due delle fondamentali relazioni vitali – vita familiare e sociale – , partecipazione la cui effettività l’istituto delle ferie annuale è volto a garantire.
 
 Giova sottolineare che in fattispecie del tipo di quella in oggetto – totale mancato godimento delle ferie per più anni consecutivi – non è necessaria, ad avviso di questo giudice, l’allegazione analitica ed in positivo delle scelte di vita o dell’attività che sarebbero state poste in essere in mancanza dell’inadempimento e che sono state impedite o compromesse dalla mancata fruizione delle ferie.
Infatti, quale che sia l’attività compromessa dal mancato godimento delle ferie, in ogni caso è certo che l’essere stato costretto a lavorare per l’intero periodo di ferie, più volte chieste, ha inevitabilmente compromesso l’assetto relazionale proprio del ricorrente. Anche qualora risultasse che il ricorrente avrebbe impiegato un tale prolungato periodo di ferie nell’assoluto ozio, tra le mura domestiche, persino in tal caso sarebbe rinvenibile una compromissione apprezzabile dell’interesse relazionale, un pregiudizio alla qualità della vita oggettivamente verificabile.
 
Dunque, in caso di totale inadempimento dell’obbligo di far godere le ferie nell’anno di riferimento, senza il consenso del lavoratore – anzi, come nel caso di specie, con il rigetto di reiterate richieste del lavoratore medesimo – può ritenersi che la prova del danno esistenziale sia in re ipsa.
 
 Anche tale danno può essere quantificato in misura pari alla maggiorazione stabilita dal contratto collettivo per il lavoro straordinario (15%) della retribuzione spettante per ciascuno dei giorni di ferie non godute.
 
 Dunque complessivamente il danno esistenziale (ritenuto in esso incluso il danno da usura psico-fisica, come sua species attinente in particolare alla dimensione lavorativa dell’esistenza) va determinato in misura pari al 30% della retribuzione spettante per ciascuno dei giorni di riposi e ferie non goduti.
Si giunge così alla somma di € 1.360,75.
 
 Complessivamente dunque parte convenuta dovrà corrispondere al ricorrente la somma di € 5.443,01, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma originaria annualmente rivalutata.
 
 10.Le spese processuali, comprese quelle della fase cautelare, seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
 
 Reggio Calabria, 7.6.06
Il Giudice
Dott. N. Sapone

Francaviglia Rosa

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