Quando un figlio minore chiede di abitare con il genitore non collocatario

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In questa sede scriveremo delle conseguenze che derivano quando un minore chiede di volere trasferire la sua residenza presso il genitore non collocatario e quale sia il peso della sua richiesta sulla decisione del giudice.

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Giunto alla settima edizione, il volume è dedicato agli operatori del diritto che si occupano della tutela e della cura della famiglia e, in particolare, della prole e che, nella loro pratica professionale, si confrontano con situazioni complesse e con responsabilità gravose.Con questa opera si vuole offrire una risposta di pronta soluzione ai mille casi pratici che coinvolgono le famiglie in crisi che si rivolgono alla professionalità, all’esperienza e alla capacità degli operatori del diritto, in particolare all’avvocato dei minori e della famiglia.Per una trattazione più completa, il volume pone un’attenzione particolare anche alle condotte penalmente rilevanti che possono verificarsi nel contesto familiare, mantenendo al centro la tutela dei figli e dei soggetti deboli.Cristina CerraiAvvocato in Livorno, patrocinante in Cassazione, ha una formazione specifica nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. Ha ricoperto il ruolo di Coordinatore Nazionale dell’Osservatorio di Diritto di Famiglia e dei Minori della Giunta A.I.G.A. Attualmente, in qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Livorno, è responsabile del centro di ascolto antiviolenza “Sportello VIS”.Stefania CiocchettiAvvocato in Bari.Patrizia La VecchiaAvvocato in Siracusa.Ivana Enrica PipponziAvvocato in Potenza.Emanuela VargiuAvvocato in Cagliari.

Cristina Cerrai, Stefania Ciocchetti, Patrizia La Vecchia, Ivana Enrica Pipponzi, Emanuela Vargiu | 2020 Maggioli Editore

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Il collocamento dei minori

Quando una coppia in crisi arriva alla separazione e al divorzio, i figli sono i più esposti  e la legge, in presenza di conflitti tra i genitori, cerca di tutelarli nel migliore dei modi.

L’argomento è sempre molto delicato e investe diversi aspetti che si riversano sul regime di affidamento e sulla decisione relativa al collocamento del minore.

La normativa attuale, supportata dalla giurisprudenza, ha come obiettivo quello di garantire ai figli il mantenimento di un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, assicurando che entrambi siano presenti nella loro vita, salvo che possano derivare dei pregiudizi.

L’interesse supremo del minore, viene ritenuto il metodo guida per orientare le decisioni dei giudici, anche in relazione alla scelta del genitore collocatario in presenza di un conflitto tra i coniugi.

 

La preferenza della madre e la bigenitorialità

In relazione al collocamento, parte della giurisprudenza ha considerato il principio che tra i genitori  di solito viene preferita la madre.

Il principio in questione, nonostante sia sostenuto dagli esperti e dalla letteratura scientifica in relazione al ruolo di preminenza che la madre assume nella crescita ed educazione dei figli, negli anni si è affievolito in modo graduale, da ritenersi addirittura superato.

Le normative attuali nei confronti dei genitori affidatari tendono ad essere neutrali, mentre le decisioni dei giudici si conformano ai più recenti principi della bigenitorialità e della parità genitoriale.

Anche in Italia, con le convenzioni internazionali in tema di protezione del diritto del fanciullo, al giudice viene imposto di adottare il provvedimento in relazione al supremo interesse materiale e morale del minore, da valutare nel caso concreto.

In tema di affidamento dei figli minori, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito (sent. n. 30191/2019) che il giudizio che il giudice deve compiere sulle capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio in seguito alla fine dell’unione, deve essere formulato considerando il modo nel quale i genitori hanno svolto i compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un rapporto assiduo, della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.

La richiesta del minore di abitare presso il genitore collocatario

Quando tra i genitori si è in presenza di crisi che si concludono in conflitti, i rapporti con i figli rischiano di risentire della rottura dell’unità familiare, a volte con crisi tra i minori e il genitore collocatario, oppure incidendo sulle preferenze di collocamento.

Se, il figlio è maggiorenne ha possibilità di decidere in autonomia.

La giurisprudenza, da parte sua, ha dato valore alla volontà espressa dai minori in relazione al collocamento presso un genitore.

Di recente, il Tribunale di Campobasso, con la sentenza 20 agosto 2020 n. 93, ha deciso di accontentare la volontà del ragazzo, disponendo in seguito a una sua richiesta, il trasferimento presso la casa paterna.

La decisione è stata assunta durante una causa di modifica delle condizioni di divorzio dei genitori.

Il giovane, che aveva in precedenza un domicilio presso il padre, nell’ultimo anno aveva frequentato la scuola mentre era da lui e aveva chiesto di poterci restare in modo definitivo, essendosi trovato bene insieme al genitore e ai suoi familiari e avendo coltivato molte altre amicizie.

A questo proposito, il giudice ha deciso di modificare la collocazione, nonostante sia stato mantenuto il regime di affido condiviso.

Il Tribunale ha anche stabilito che la madre, in qualità di genitore non collocatario, dovesse versare un contributo di mantenimento pari a 250 euro mensili e metà delle spese straordinarie.

Il figlio ha potere di scelta, ma anche di ripensamento, perché potrebbe decidere di spostare la residenza presso l’altro genitore, non collocatario, in relazione alla sua capacità di valutazione.

La decisione sopra scritta, non sembra isolata.

La giurisprudenza, compresa quella di legittimità, in relazione al collocamento, è orientata nel dare importanza alla volontà dei figli, anche se non ancora maggiorenni, in particolare dai 12 anni in su, oppure di età inferiore se possano essere dimostrate le capacità di discernimento e maturità.

La Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 10776/2019) ha affermato molte volte che l’audizione dei minori, prevista nell’articolo 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li vedono protagonisti e, in particolare, in quelle relative all’affidamento ai genitori, a norma dell’articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la Legge n. 77 del 2003, nonché dell’art. 315-bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal D.Lgs. n. 154 del 2013).

L’ascolto del minore di almeno 12 anni, e anche di età inferiore che sia capace di discernimento, costituisce una tra le più importanti modalità di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le sue opinioni nei procedimenti che lo vedono protagonista, ed elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse, salvo che il giudice non ritenga, con una menzione specifica e circostanziata, l’esame superfluo o in contrasto con l’interesse del minore.

Si ritiene che il giudice abbia il dovere di motivare le ragioni per le quali ritiene il minore infra-dodicenne incapace di discernimento, se decide di non disporne l’ascolto.

Deve anche motivare perché ritiene l’ascolto effettuato durante le indagini peritali idoneo a sostituire un ascolto diretto oppure un ascolto trasferito a un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di un incarico peritale.

Anche se il giudice non è tenuto a recepire nei suoi provvedimenti le dichiarazioni di volontà emerse ascoltando il minore o le conclusioni dell’indagine peritale, se egli volesse disattendere queste dichiarazioni e queste conclusioni, avrà l’obbligo di motivare la sua decisione con molto rigore e pertinenza (Cass. ord. n. 12957/2018).

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Dott.ssa Concas Alessandra

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