(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 309, c. 9-bis)
Il fatto
Il Tribunale del riesame di Catanzaro – adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. – aveva confermato un’ordinanza del Tribunale di Castrovillari di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di un indagato per il reato di cui all’art. 75 D.Lgs. n. 159 del 2011, per avere trasgredito alle prescrizioni impartitegli con un decreto di aggravamento della misura di prevenzione emesso dal Tribunale di Cosenza.
Per tali trasgressioni, il prevenuto era stato arrestato in flagranza perché trovato fuori dalla propria abitazione senza giustificazione e senza averne dato preventivo avviso all’Autorità locale di P.S., nonché privo della carta precettiva; nell’occasione, costui, inoltre, recava indosso, occultato nella tasca dei pantaloni, un coltello a serramanico con lama di circa cm 5,6.
A fronte di ciò, il Tribunale del riesame, preliminarmente, non aveva concesso il differimento dell’udienza, richiesto dal difensore ai sensi dell’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen. rilevando che tale istanza avrebbe dovuto essere formulata personalmente dall’imputato.
Nel merito, il collegio aveva confermato la disposta misura coercitiva ritenendone sussistenti i presupposti indiziari e cautelari ed, in particolare, respingendo l’eccezione difensiva che segnalava lo stato di incapacità mentale dell’impugnante affetto da gravi disturbi psichici, già attestati da documentazione sanitaria, che però veniva ritenuta risalente e non aggiornata.
Orbene, sul punto, il Tribunale del riesame osservava come non fosse possibile disporre in sede cautelare un approfondimento medico-legale trattandosi di verifica incompatibile con i termini perentori del procedimento incidentale.
Allo stesso modo non era ritenuta decisiva l’eccezione difensiva di annullamento del decreto di aggravamento della misura di prevenzione, pronunciato dalla Corte di legittimità, in quanto ciò era stato determinato da vizi motivazionali riguardanti gli indicatori della pericolosità sociale dell’indagato.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato indicando i seguenti motivi di impugnazione: 1) preliminarmente veniva formulata l’eccezione di legittimità costituzionale e convenzionale della norma di cui all’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen., nella parte in cui esclude che il difensore del custodito, sofferente di patologia psichiatrica, possa chiedere il differimento dell’udienza dinanzi al Tribunale del riesame nell’esercizio del diritto di difesa in quanto tale facoltà – riservata all’indagato personalmente, per espressa dizione normativa – non poteva essere azionata dal ricorrente atteso il suo grave stato psicopatologico la cui dimostrazione era stata pregiudicata dalla tardiva ammissione al patrocinio a spese dello Stato e quindi dall’impossibilità economica di sottoporsi a consulenza psichiatrica onde attualizzare la documentazione del suo disturbo psichico e ciò comportava rilevanti compressioni del diritto di difesa, inteso anche come accesso alla prova, nonché ledeva il diritto ad un giusto processo, garantito sia dall’art. 111 Cost. che dall’art. 6, par. 3 lett. b) e c) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; 2) totale mancanza di considerazione per il dato dell’intervenuta custodia cautelare inframuraria dell’indagato che a sua volta rivestiva rilievo decisivo al fine di escludere la possibilità dell’indagato di richiedere personalmente – ai sensi dell’art. 309, comma 9 bis – entro due giorni, peraltro ricadenti tra il sabato ed il lunedì, il differimento dell’udienza fermo restando che, sotto altro profilo, la motivazione, per il ricorrente, era tacciata di apparenza laddove, dalle reazioni di agitazione e timore manifestate dall’indagato all’atto del controllo dei Carabinieri, l’ordinanza faceva discendere la dimostrazione della piena comprensione delle conseguenze della condotta: invero l’indagato non era privo della capacità di intendere, bensì di quella di dirigere la volontà verso un obiettivo, come era stato diagnostica nella perizia ritenuta troppo risalente, contestandosi al contempo tale ritenuta inattualità della incapacità del ricorrente essendo essa attestata da un verbale di invalidità dell’INPS del marzo 2019, nonché da una sentenza del maggio 2019 di assoluzione dalle accuse a causa della riconosciuta incapacità psichica dell’imputato, trattandosi di patologie ritenute croniche; 3) violazione di legge per errata applicazione dell’art. 273, comma 2, cod. proc. pen. e vizio di motivazione, ritenuta apparente, con travisamento della prova posto che, se, nel caso in esame, la difesa aveva chiesto di non applicare alcuna misura, poiché il fatto era stato commesso in presenza dell’indicata causa di non punibilità, dovendosi considerare a tal fine l’elevato o rilevante grado di probabilità della prospettata situazione personale dell’indagato, l’impugnata ordinanza, invece, per il ricorrente, aveva interpretato l’indicata disposizione in modo formalistico ed eccessivamente restrittivo ritenendo insussistente ogni indicatore fattuale attualizzante dell’eccepita patologia psichica, pur a fronte di molteplici informazioni della sua ricorrenza (il richiamato verbale INPS, la perizia che in altro e recente procedimento penale aveva condotto all’assoluzione del G. per non imputabilità), di certo precedenti all’attualità, ma non così risalenti come riteneva il Tribunale del riesame anche a mente del fatto che si trattava di patologia cronica; in particolare, si notava come il vizio, che connotava il provvedimento impugnato, risiedesse nell’avere confuso il piano dell’art. 85 cod. pen., che postula il positivo accertamento dell’incapacità al momento del fatto, con quello proprio della sede cautelare, ai sensi dell’art. 273, comma 2, cod. proc. pen., che ritiene sufficiente a tal fine un grado di probabilità elevato o rilevante; 4) il quarto motivo di impugnazione si imperniava sull’annullamento della misura di prevenzione ad opera della sentenza della Cassazione, Sez. 6, n. 24635 del 18/6/2020, che era stata integralmente prodotta al Tribunale del riesame argomentando a tal riguardo il ricorrente che – in mancanza del titolo giustificativo, a causa di detto annullamento – difettava il presupposto stesso del delitto di cui all’art. 75 D. Lgs. n. 159 del 2011 consistente nell’esistenza e concreta applicazione di una misura di prevenzione e ciò avrebbe comportato la violazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen., né avrebbe potuto la disposta misura trovare titolo nell’ulteriore reato contestato – l’art. 4 L. n. 110 del 1975 – trattandosi di una contravvenzione; orbene, in relazione a tali deduzioni, il ricorrente osservava come l’impugnata ordinanza non si fosse fatta carico essendosi limitata a rilevare che l’annullamento era stato determinato da vizi motivazionali riguardanti gli indicatori della pericolosità sociale dell’indagato; 5) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione di adeguatezza della misura degli arresti domiciliari ritenendosi mancante ogni motivazione di tale giudizio che fosse aderente alla specificità della situazione mentale del ricorrente al quale era stato diagnosticato un disturbo borderline antisociale della personalità che lo rendeva incapace all’atto volitivo ed insofferente al rispetto di ogni regola; orbene, a proposito di tale situazione, secondo l’impugnante, il Tribunale del riesame non aveva tenuto conto di ciò apoditticamente aderendo alla valutazione di adeguatezza della custodia domestica contenuta nell’ordinanza genetica, ma poi – contraddittoriamente – sollecitando il Pubblico ministero ad attivare i Servizi Sociali territorialmente competenti onde prendere in carico l’indagato e ciò, secondo la difesa, integrava una violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. poiché implicava un erroneo giudizio di specifica idoneità della misura disposta in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva ritenuto fondato in relazione al motivo riguardante la valutazione delle condizioni di applicazione dell’art. 273, comma 2, cod. proc. pen., che costituiva l’asse portante delle problematiche prospettate dall’indagato.
In particolare, secondo gli Ermellini, dal momento che l’esegesi di legittimità su tale snodo afferma che, ai fini della operatività dell’art. 273, comma 2, cod. proc. pen., che vieta l’applicazione di ogni tipo di misura cautelare se risulta che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di non punibilità, non è richiesto che questa debba essere provata in termini di certezza ma semplicemente che esista un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia stato compiuto in presenza di essa (Sez. 5, n. 11957 del 3/3/2020; Sez. 1, n. 72 del 26/11/2010; Sez. 1, n. 6630 del 28/1/2010), invece, nella fattispecie in esame, dagli elementi addotti dalla difesa, emergevano indizi di come ricorresse una tale condizione di incapacità dell’indagato deponendo in tal senso l’intervenuta assoluzione per difetto di imputabilità con una sentenza in cui detta incapacità era stata accertata mediante perizia, né risultava da alcun riferimento concreto che tale patologia fosse stata superata o fosse in fase di remissione così da neutralizzare o limitare la portata di tale elemento oggettivo.
Più nel dettaglio, ad avviso della Suprema Corte, non si poteva assumere a contrario indice la ritenuta comprensione delle ragioni del controllo di polizia da parte del ricorrente che in tale frangente aveva manifestato agitazione e timore in quanto la struttura del diagnosticato disturbo borderline antisociale della personalità lo rendeva incapace all’atto volitivo ed insofferente al rispetto di ogni regola ma non incapace di comprendere le conseguenze della sua condotta.
Pertanto, per i giudici di Piazza Cavour, il contrario giudizio espresso dal Tribunale del riesame avrebbe dovuto trovare basi più solide onde infirmare la pregnante valenza indiziaria dell’accertamento psichiatrico sia pure ritenuto risalente.
Tal che se ne faceva conseguire come il punto dovesse essere quindi nuovamente focalizzato per una più approfondita disamina, alla luce dei succitati arresti di legittimità, pena l’effettiva confusione dei piani di valutazione tra i presupposti dell’art. 85 cod. pen, che postula il positivo accertamento dell’incapacità al momento del fatto, con quelli propri della sede cautelare, ai sensi dell’art. 273, comma 2, cod. proc. pen., che ritiene sufficiente a tal fine un grado di probabilità elevato o rilevante.
Ciò posto, ad avviso del Supremo Consesso, si evidenziava come fosse rinvenibile un altro e diverso problema ossia il rapporto tra l’eventuale condizione di incapacità totale o parziale, ai sensi degli artt. 88 e 89 cod. pen. e il giudizio di pericolosità sociale ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione personale, posto che è assodato che la condizione di incapacità non è ostativa alla formulazione del giudizio di pericolosità tant’è che l’art. 203 cod. pen. espressamente prevede la possibilità di dichiarare socialmente pericoloso il soggetto non imputabile o non punibile e ciò si riflette sulle valutazioni in punto di esistenza della pericolosità sociale, che peraltro, per la Corte, il ricorso affrontava in prospettiva erronea, avendo propugnato la pretesa insussistenza del reato ex art. 75 D. Lgs. n. 159 del 2011, dedotta dall’annullamento con rinvio da parte di questa Corte di cassazione (Sez. 6, n. 24635 del 18/6/2020), senza avvedersi che tale pronuncia non riguardava la misura in sé, ma il decreto di conferma della Corte di appello con richiesta di riesaminare la situazione del ricorrente alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, “affinché le condotte sintomatiche di pericolosità possano rientrare in via esclusiva nella lettera b) dell’articolo 1 del detto decreto e non siano condotte di mera violazione delle prescrizioni imposte al ricorrente con la misura di prevenzione che appaiano riconducibili a manifestazioni delle sue stesse condizioni psichiatriche”.
Precisato ciò, quanto al vizio procedimentale riguardante il negato rinvio dell’udienza dinanzi al Tribunale del riesame, con invito a formulare l’eccezione di legittimità costituzionale e convenzionale della norma di cui all’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen., nella parte in cui esclude che il difensore del custodito, sofferente di patologia psichiatrica, potesse chiedere il differimento dell’udienza nell’esercizio del diritto di difesa, si osservava quanto segue.
Si evidenziava prima di tutto che la disposizione in esame è posta a garanzia della celerità del procedimento incidentale de libertate e riserva all’interessato in esclusiva, trattandosi di atto direttamente incidente sui tempi di restrizione della sua libertà personale, la richiesta di differimento dell’udienza camerale, peraltro consentendo tale rinvio entro termini ristretti (da cinque a dieci giorni), a conferma della necessità di non incidere – se non per lo stretto necessario – sulla tempistica delle compressioni della libertà personale attuate in ambito penale, esigenza immanente al procedimento di riesame in funzione della concentrata scansione temporale che lo governa.
Chiarito ciò, si faceva presente in secondo luogo che la decisione con cui il Tribunale del riesame rigetta l’istanza di differimento della data dell’udienza, presentata ai sensi dell’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen., non è impugnabile fatta eccezione per le ipotesi in cui la stessa sia nulla per carenza assoluta di motivazione ovvero presenti una motivazione solo apparente (Sez. 6, n. 13049 del 03/03/2016) peraltro dovendo il collegio verificare soltanto se le ragioni addotte per il rinvio rientrano nei giustificati motivi previsti dalla norma citata (Sez. 3, n. 7403 del 26/11/2019) e fermo restando che questa verifica non può estendersi ai motivi di merito, per lo più legati ad una stretta contingenza, che si intenderebbero nel caso specifico veicolare a supporto della richiesta di rinvio, e comunque la sollecitata questione di costituzionalità, anche con riferimento ai parametri convenzionali, non risultava rilevante per la decisione del punto controverso dal momento che le ragioni a supporto del rinvio erano in ultima analisi quelle che avevano determinato l’accoglimento del motivo centrale di ricorso.
In conclusione, l’ordinanza impugnata veniva annullata al fine di riesaminare la eventuale ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 273, comma 2, cod. proc. pen. rimanendo assorbita da tale pregiudiziale questione la valutazione di idoneità specifica dell’applicata misura cautelare domestica.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando la decisione con cui il Tribunale del riesame rigetta l’istanza di differimento della data dell’udienza, presentata ai sensi dell’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen. (che, come è noto, al primo capoverso, prevede che la “richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi”) è impugnabile.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, è asserito che la decisione con cui il Tribunale del riesame rigetta l’istanza di differimento della data dell’udienza, presentata ai sensi dell’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen., non è impugnabile fatta eccezione per le ipotesi in cui la stessa sia nulla per carenza assoluta di motivazione ovvero presenti una motivazione solo apparente peraltro dovendo il collegio verificare soltanto se le ragioni addotte per il rinvio rientrano nei giustificati motivi previsti dalla norma citata e fermo restando che questa verifica non può estendersi ai motivi di merito, per lo più legati ad una stretta contingenza.
Tal che ne consegue, argomentando a contrario, che la decisione emessa in sede di riesame a norma dell’art. 309, c. 9-bis, c.p.p. può essere impugnata solo nella misura in cui il rigetto dell’istanza di differimento della data dell’udienza sia prima di motivazione o sia munita di una motivazione solo apparente fermo restando che tale motivazione deve essere circoscritta solo sui giustificati motivi addotti in tale istanza a nulla rilevando i motivi di merito.
Siffatta sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di valutare se impugnare o meno un provvedimento di questo tipo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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