Quando è legittima la decisione di consegna in forza di un M.A.E. esecutivo anche se lo Stato di emissione non dia corso alla richiesta integrativa di acquisire copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta

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(Ricorso rigettato)

Il fatto

La Corte di appello di Lecce, sezione di Taranto, aveva disposto farsi luogo alla consegna all’Autorità Giudiziaria rumena che ne aveva fatto richiesta in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dal Tribunale di Darabani per i reati di violazione di domicilio, aggressione e lesioni personali volontarie, per l’esecuzione in Romania della pena detentiva inflitta all’arrestato con sentenza con cui gli era stata comminata una pena di anni quattro, mesi otto, giorni venti di reclusione,detratto il periodo di custodia cautelare sofferto in Italia.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la decisione summenzionata proponeva ricorso per Cassazione il difensore di fiducia dell’arrestato ai sensi e per gli effetti dei seguenti articoli: 1) 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 18, comma 1, lett. g), h) ed r) legge 22 aprile 2005, n. 69; 2) 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. per mancata assunzione della sentenza di condanna riportata nel M.A.E. formando la stessa prova decisiva in ordine alla sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 18, comma 1, lett. g) e h) L. 22.4.2005, n. 69; 3) 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato“.

Era stato, in proposito, osservato come la mancata assunzione da parte della Corte territoriale della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Darabani avesse comportato la violazione di legge e il consequenziale vizio di motivazione in relazione all’art. 18 lett. g) della legge n. 69 del 2005, posto che il processo in Romania, come risultava dallo stesso M.A.E., era stato celebrato in absentia del ricorrente e non risultando che quest’ultimo fosse stato sottoposto a un equo processo ai sensi dell’art. 6 C.E.D.U. tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, il mandato di arresto europeo si era limitato a enucleare il solo capo di imputazione e la condanna riportata senza sviluppare le ragioni di fatto e di diritto che avevano portato il Tribunale ad affermare la penale responsabilità, dall’altro, il provvedimento cautelare, in base al quale il mandato di arresto europeo era stato emesso, era del tutto immotivato con conseguente violazione del disposto dell’art. 18 lett. t) della legge n. 69 del 2005; che palese è la violazione dell’art. 18, comma 1, lett. r) della legge n. 69 del 2005, “anche in considerazione della produzione documentale offerta dalla difesa in ordine alla concreta permanenza del C. in Italia, la cui esclusione è stata valutata sulla base di criteri apodittici e formalistici, svincolati totalmente dal dato reale che, al contrario, avrebbe parametrato la decisione sul segno opposto”.

Da ultimo, veniva postulato come nel provvedimento impugnato fosse stato completamente disatteso il parametro valutativo di cui all’art. 18, comma 1, lett. h) della legge n. 69 del 2005 in ordine al legittimo timore che l’espiazione della pena in Romania da parte del ricorrente lo avrebbe esposto a trattamenti inumani e degradanti (in un rapporto pubblicato il 19.2.2019, il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa ha affermato di avere ricevuto un considerevole numero di accuse di maltrattamenti fisici inflitti ai detenuti da parte del personale carcerario in quattro delle cinque prigioni visitate) oltre al timore di ritorsioni da parte di soggetti terzi legati alla persona offesa, come paventato dal ricorrente.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso non veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, “in tema di mandato di arresto europeo, è legittima la decisione di consegna in forza di un M.A.E. esecutivo anche se lo Stato di emissione non dia corso alla richiesta integrativa (formulata ai sensi degli artt. 6 e 16 della legge n. 69 del 2005) di acquisire copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta, qualora il mandato di arresto europeo e l’ulteriore documentazione in atti contengano gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione stessa” (Cass. Sez. 6, n. 9764 del 20/02/2014; Cass. Sez. 6, n. 6758 del 06/02/2018, che ha affermato che, “in tema di mandato di arresto europeo “esecutivo“, l’omessa allegazione o acquisizione in via integrativa della copia della sentenza di condanna a pena detentiva non legittima il rigetto della richiesta qualora la documentazione in atti contenga tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione”).

Orbene, a fronte di tale approdo ermeneutico, i giudici di piazza Cavour notavano come la Corte territoriale lo avesse correttamente applicato evidenziando che, nel caso di specie, la documentazione, presente in atti, conteneva tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione; in particolare, era stato messo in rilievo che dall’incarto procedimentale risultasse che il ricorrente, con sentenza del Tribunale di Darabani, era stato ritenuto responsabile dei delitti di violazione di domicilio, aggressione e lesioni personali volontarie commessi il 10.11.2013.

Ciò posto, la Suprema Corte evidenziava come non ricorresse nemmeno il vizio della violazione di legge né sotto il profilo della inosservanza (per non avere il giudice a quo applicato una determinata norma in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della disposizione ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie), né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice a quo esattamente interpretato l’art. 18 lett. g) della legge n. 69 del 2005 alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.

Si osservava a tal proposito come la Corte territoriale, al riguardo, avesse evidenziato che il ricorrente “è stato regolarmente e personalmente citato nel procedimento giudiziario che ha portato alla decisione emessa nei suoi confronti e, come dallo stesso dichiarato all’udienza di convalida e come emerge dal mandato di arresto, ha avuto conoscenza del processo in cui è stato inizialmente rappresentato da un difensore di ufficio e, quindi, da un difensore di fiducia”.

Irrilevante, poi, per il Supremo Consesso, era l’argomentazione svolta in ricorso secondo cui “il provvedimento cautelare in base al quale il mandato di arresto europeo era stato emesso risultava totalmente mancante di motivazione, con ciò stesso contravvenendo al disposto di cui all’art. 18, comma 1, lett. t) Legge 69/2005” per l’assorbente rilievo che il mandato di arresto europeo era stato emesso in esecuzione della già citata sentenza di condanna irrevocabile a carico del ricorrente.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 18 lett. r) della legge n. 69 del 2005, si notava come la Corte territoriale avesse evidenziato che “nel caso di specie non sussiste la condizione di residente in Italia, poiché C., sebbene attualmente domiciliato nel comune di Taranto nell’abitazione in cui è stato rintracciato e tratto in arresto e dove, secondo quanto dichiarato all’udienza di convalida, convive con una connazionale madre di cinque minori), non risulta dedito ad alcune attività lavorativa stabile” e che “lo stesso non parla, né comprende la lingua italiana ed ha dichiarato che prima di raggiungere l’attuale convivente in Italia, lavorava in Svezia” e, alla stregua di tali argomentazioni, avesse ritenuto di non potere “ordinare l’esecuzione della sentenza in Italia, così come richiesto dal cittadino rumeno, in quanto egli non è attualmente dedito ad alcuna attività lavorativa stabile e difetta la condizione essenziale per l’esecuzione della pena in Italia di un radicamento reale e non estemporaneo del cittadino dell’U.E. nella nostra Repubblica”.

Ebbene, ad avviso della Suprema Corte, tale motivazione era assolutamente congrua e sufficiente a sorreggere la decisione assunta essendo le censure difensive, sul punto, sempre secondo la sua opinione, riproduttive di questioni già adeguatamente vagliate e disattese.

Infine, le doglianze relative alla dedotta violazione dell’art. 18 lett. h) della legge n. 69 del 2005 erano stimate assolutamente generiche laddove si riferivano a quanto rappresentato nel rapporto del febbraio 2019 del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti.

In particolare, con specifico riguardo alle ulteriori deduzioni (sussistenza del timore di ritorsioni da parte di soggetti terzi legati alla persona offesa), le stesse, per il Supremo Consesso, costituivano mere doglianze in fatto volte a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa lettura dei dati procedimentali non consentite nel giudizio di legittimità.

 

Conclusioni

 

La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui è postulato, citandosi giurisprudenza conforme, che, in tema di mandato di arresto europeo, è legittima la decisione di consegna in forza di un M.A.E. esecutivo anche se lo Stato di emissione non dia corso alla richiesta integrativa (formulata ai sensi degli artt. 6 e 16 della legge n. 69 del 2005) di acquisire copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta, qualora il mandato di arresto europeo e l’ulteriore documentazione in atti contengano gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione stessa.

Dunque, alla luce di questo approdo ermeneutico, la decisione di consegna in forza di un M.A.E. esecutivo, anche se lo Stato di emissione non dia corso alla richiesta integrativa di acquisire copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta, è legittima nella misura in cui il mandato di arresto europeo e l’ulteriore documentazione in atti contengano gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione stessa.

Da ciò deriva, argomentando a contrario, che tale decisione non può considerarsi legittimamente emessa allorché difettino tali elementi conoscitivi.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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