Può essere disposto il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente

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(Ricorso rigettato)

Il fatto

Il Tribunale di Palermo aveva rigettato la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Palermo in data 1 giugno 2019 avente ad oggetto una “Carta POSTAMAT RDC“, in quanto l’indagata, con il coindagato, suo marito, entrambi indiziati per il reato previsto dall’art. 7 della legge n. 26 del 2019, per ottenere il beneficio economico del “reddito di cittadinanza“, dichiaravano il falso attestando lo stato di disoccupazione di entrambi quando in realtà il marito svolgeva attività lavorativa di addetto al laboratorio di pasticceria e rosticceria in un locale come accertato dai carabinieri della stazione di Palermo che effettuavano un servizio di osservazione nel luogo predetto.

Il Tribunale, in particolare, aveva ritenuto infondata la prospettazione difensiva basata sull’assunto che l’ISEE, necessario al fine di dimostrare di rientrare nei parametri reddituali indicati dalla legge, sarebbe stato richiesto l’8 febbraio 2019 e rilasciato in data 12 febbraio 2019 in concomitanza con l’inizio dell’attività lavorativa del marito la cui retribuzione non avrebbe comportato il superamento del limite massimo di ISEE annuo per ottenere il beneficio economico e, dunque, l’obbligo di comunicare la variazione.

Più nel dettaglio, il Tribunale aveva rilevato come l’autodichiarazione presentata ai fini della concessione del beneficio fosse dell’8 marzo 2019 e, perciò, riferita a un momento in cui l’indagato svolgeva attività lavorativa da oltre un mese evidenziandosi al contempo l’anomalia della situazione rappresentata dal fatto che – al momento del controllo da parte della polizia giudiziaria – risultava che costui svolgesse lavoro senza regolare contratto mentre, solo successivamente, era stata documentata l’esistenza di un contratto di lavoro semestrale.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’indagata, per il tramite del suo difensore, deducendo la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. e della “legge n. 26 del 2019 nonché vizi della motivazione sulla premessa che la variazione di reddito, ritenuta penalmente rilevante, legata alla nuova attività occupazionale svolta dal coindagato, si sarebbe prodotta in un momento successivo al rilascio della documentazione ISEE necessaria per la domanda del reddito di cittadinanza; secondo la difesa, sarebbe dubbia l’esistenza di un obbligo di comunicare tale variazione di reddito non essendosi comunque verificato il superamento della soglia richiesta dalla legge – pari ad Euro 9.360,00 annui (art. 3, comma 4, del D.L. n. 4 del 2019) – per la concessione del beneficio dal momento che il reddito percepito sarebbe stato di 180,00 Euro settimanali per un contratto di durata semestrale.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

 

Il ricorso veniva ritenuto infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come venisse in rilievo l’art. 7 del D.L. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il quale prevede: al comma 1, che «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni»; al comma 2, che «L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni».

Ciò posto, si notava che entrambe le fattispecie – la prima delle quali caratterizzata dal dolo specifico – si configurano come reati di condotta e di pericolo in quanto dirette a tutelare l’amministrazione contro mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al “reddito di cittadinanza trattandosi, cioè, di una disciplina correlata, nel suo complesso, al generale “principio antielusivo” che, come più volte affermato dalla stessa Cassazione (ex plurimis, Sez. 4, n. 18107 del 16/03/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata), s’incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Costituzione la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost per cui la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico.

Tale essendo la ratio delle due fattispecie incriminatrici dell’art. 7 del D.L. n. 4 del 2019, ad avviso del Supremo Consesso, deve ritenersi che le stesse trovino applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge tenuto conto altresì del fatto che la necessità di un tale accertamento non emerge dalla formulazione letterale della disposizione nella misura in cui questa si riferisce, al primo comma, «al fine di ottenere indebitamente il beneficio» e, al secondo comma, al complesso delle «informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio» posto che entrambi i riferimenti devono essere intesi come diretti a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte dell’amministrazione erogante, sulla sussistenza dei presupposti per la concessione e il mantenimento del beneficio e a differenziarli da quelli irrilevanti senza che possa essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere e ciò, perché il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione che sia ispirata alla massima trasparenza, come emerge anche dai successivi commi del richiamato art. 7, che disciplinano, non a caso, un’ampia casistica di fattispecie di revoca, decadenza e sanzioni amministrative.

A fronte di quanto sin qui esposto, gli Ermellini facevano altresì presente come tale conclusione interpretativa si ponesse, del resto, in armonia con quanto già affermato dalla Cassazione in relazione alla fattispecie penale di cui all’art. 95 del D.P.R. n. 115 del 2002, in materia di patrocinio a spese dello Stato, a norma del quale «La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d), sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 309,87 a Euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato».

In particolare, secondo Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, integrano il delitto di cui al richiamato art. 95 le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio fermo restando che tale orientamento ha trovato conferma nella giurisprudenza successiva delle sezioni semplici (ex multis, Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015) la quale ha anche precisato che si tratta di un’interpretazione che non si pone in contrasto con la Costituzione – e, in particolare, con gli artt. 2, 3, 24 e 27 – perché attinge al generale dovere di lealtà dei cittadini verso l’amministrazione che consente l’anticipazione della tutela penale attraverso l’utilizzazione dello strumento del reato di pericolo (Sez. 4, n. 18107 del 16/03/2017) fatta evidentemente salva l’esclusione della punibilità di condotte nelle quali manchi l’elemento del dolo, sia pure eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019; Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018) trattandosi di affermazioni che possono trovare applicazione, in via analogica, anche in relazione alla disciplina fissata dall’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019 la quale non si differenzia in maniera essenziale da quella dell’art. 95 del D.P.R. n. 115 del 2002 in quanto entrambe appaiono dirette a sanzionare la violazione del dovere di lealtà del cittadino verso l’amministrazione che eroga una provvidenza in suo favore e non prevedono, perciò, la necessità di accertare la sussistenza in concreto dei requisiti reddituali di legge.

Ciò posto, i giudici di piazza Cavour rilevavano come siffatti principi trovassero applicazione anche nel caso di specie in cui la ricostruzione fornita dalla difesa, ad avviso del Supremo Consesso, appariva essere, comunque, ampiamente smentita dalla successione dei fatti come riportati nell’ordinanza impugnata.

In conclusione, per quanto riguarda la fattispecie cautelare in esame, veniva formulato il seguente principio di diritto: «ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente, può essere disposto anche indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio».

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante non solo perché si afferma che, ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente, può essere disposto anche indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio, ma anche perché viene altresì chiarita la natura delle fattispecie delittuose previste dall’art. 7 del D.L. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, nei seguenti termini: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni» (comma 1); al comma 2, che «L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni» (comma 2).

Difatti, in questa pronuncia, è affermato che questi delitti: a) si configurano come reati di condotta e di pericolo in quanto dirette a tutelare l’amministrazione contro mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al “reddito di cittadinanza“; b) sono applicabili indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge; c) si distinguono in ordine all’elemento psicologico in quanto per il primo (ossia quello contemplato dal primo comma) è richiesto, a differenza del secondo, il dolo specifico.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tutte queste tematiche giuridiche, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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