I principi di evidenza pubblica e le fonti comunitarie sugli appalti pubblici

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Cenni introduttivi sui principi di evidenza pubblica nell’alveo della pluralità degli enti pubblici

La Pubblica Amministrazione, o per meglio dire, le Pubbliche Amministrazioni, stante la pluralità degli enti pubblici[1], per la realizzazione delle attività cui sono preposte e cui è funzionalizzata la loro opera, sono solite avvalersi, con una certa frequenza, dello strumento giuridico dell’appalto[2].

Il contratto di appalto è destinato all’acquisizione di utilità necessarie all’attuazione delle finalità della pubblica amministrazione ed è utilizzato non per soddisfare interessi pubblici in via diretta, ma per procurare i mezzi per siffatto fine: conseguentemente, ad esso va riconosciuta natura strumentale[3].

Nel rapporto convenzionale, la pubblica amministrazione deve operare non come autorità, ma come parte, collocandosi allo stesso livello del privato. Il collegamento con l’interesse pubblico è solo esterno e mediato, nel senso che resta giuridicamente al di fuori dell’attività negoziale.

Tuttavia, esso non viene meno, perché l’azione amministrativa, essendo il risultato dell’esercizio di una funzione, è sempre finalizzata al suo perseguimento. Si tratta di una disciplina che deve coniugare il perseguimento dell’interesse pubblico nel rispetto dei principi di trasparenza, di parità di condizioni, nell’accesso al mercato, di efficacia e di efficienza[4] con il rispetto dell’autonomia negoziale[5].

Tutto ciò comporta la previsione di alcune fasi ad evidenza pubblica: in particolare quelle concernenti le modalità di formazione e di perfezionamento dell’accordo negoziale, che sono improntate al principio di concorsualità tipico delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, ma anche, per quanto in misura più ridotta, quelle relative alla sua esecuzione[6]. In simili casi la disciplina del contratto di appalto subisce modificazioni rilevanti, perché ai principi sanciti dal codice civile se ne affiancano altri, quali quelli di buon andamento, di imparzialità, di ragionevolezza, di proporzionalità, che consentono il perseguimento dell’interesse pubblico pur tutelando le aspettative dei privati[7].

L’amministrazione nella contrattazione pubblica spende, dunque, denaro pubblico ed è sempre tesa al perseguimento di un interesse pubblico, cosicché il contratto d’appalto è definito “pubblico”, divergendo dal contratto d’appalto che si perfeziona tra due privati, i quali hanno la libertà di scelta dell’oggetto del contratto e del quantum economico e patrimoniale da investire.

Vige un rapporto di specialità tra l’appalto pubblico e quello privato[8], nel senso che il primo contiene gli elementi del secondo, specializzandosi per i due elementi del denaro pubblico e l’interesse pubblico all’opera, al bene, al prodotto[9].

Di qui deriva l’attenzione dell’ordinamento alla regimentazione delle attività preordinate alla assegnazione dei contratti pubblici e il suo assoggettamento a criteri di imparzialità e correttezza amministrativa, racchiusi fondamentalmente nel precetto costituzionale dell’art. 97 della Costituzione[10]. Innanzitutto, la stazione appaltante deve, al fine di scegliere la sua controparte contrattuale, servirsi di una gara ad evidenza pubblica[11].

Ma cosa si intende per evidenza pubblica? Nella tradizione propria dell’ordinamento italiano, il concetto di evidenza pubblica indica, in senso lato, la serie procedimentale che la pubblica amministrazione è tenuta ad osservare ogniqualvolta debba scegliere un operatore economico nell’ambito dell’attività contrattuale finalizzata alla realizzazione di lavori o di opere, alla prestazione di servizi in senso ampio nonché alla fornitura di beni.

La necessità di garantire il concorso tra offerenti, nonché di evitare abusi da parte dei privati, ha imposto di elaborare procedimenti complessi e formalizzati all’interno dei quali fosse possibile acquisire gli elementi utili a effettuare la scelta migliore per l’amministrazione, con garanzia di imparzialità[12].

Come è noto, tali procedimenti sono conosciuti con il nome di <<procedure ad evidenza pubblica>>. Tale locuzione, elaborata da Massimo Severo Giannini, ha la capacità di coniugare il fenomeno descrittivo con quello contenutistico. L’Autore, fornendo l’indicazione di una classificazione dei contratti dell’amministrazione, li suddivide in quattro categorie, tra le quali individua i <<contratti ad evidenza, detti anche contratti amministrativi: sono accompagnati da provvedimenti amministrativi che hanno lo scopo di mettere in evidenza i motivi di pubblico interesse che stanno a loro fondamento>>[13]. L’Autore ha posto in rilievo come la necessità di elaborare una disciplina formale antecedente la stipula dei contratti trovasse una giustificata pratica nell’esigenza di evitare abusi da parte dei fornitori dello Stato e una ragione di coerenza con il sistema del diritto amministrativo: il principio di legalità nella sua accezione formale e sostanziale.

Sovrapposizione di fonti normative

Ma non è sufficiente soffermarsi all’ordinamento nazionale. Questa materia è stata, infatti, oggetto di una profonda evoluzione a causa del processo di integrazione europea, che ha completamente rivisto le linee generali della disciplina dell’attività di diritto privato della P. A., sia sul piano del diritto positivo[14] sia sul piano giurisprudenziale e dottrinale. Il legislatore comunitario ha dettato regole comuni per garantire il corretto funzionamento del mercato europeo in attuazione delle disposizioni fondamentali sulle libertà di circolazione e, in particolare, per evitare la violazione ovvero anche solo l’elusione del canone della concorrenza, quando le pubbliche amministrazioni si rivolgono ai privati per l’esecuzione di lavori e l’acquisizione di servizi e forniture.

A una prima serie di direttive, risalenti agli anni Settanta dello scorso secolo, ne è seguita una seconda, sviluppatasi nel decennio successivo: le une e le altre si sono caratterizzate per un’impostazione talmente settoriale e puntuale da determinare diversi problemi di coordinamento sistematico e numerose incertezze applicative. Il processo di evoluzione del settore si è perfezionato con l’adozione del d.lgs. n. 163/2006, con il quale sono state recepite le direttive del 2004. Si è realizzata una vera e propria svolta culturale nella produzione normativa degli ultimi anni creando un corpo organico comprensivo di tutte le disposizioni in materia di appalti di lavori, servizi e forniture, razionalizzando e semplificando, così, la disciplina esistente. In breve tempo si è assistito ad una vera e propria “comunitarizzazione“ del settore, anche per effetto dell’intensa attività della Corte di giustizia, e alla conseguente progressiva applicazione di principi di derivazione sovranazionale nell’ordinamento interno[15].

Questa sovrapposizione di fonti provenienti da ordinamenti diversi rende particolarmente complessa la trattazione della materia che, pertanto, si ritiene opportuno analizzare in maniera sistematica.

Per comprendere i principi generali che stanno alla base della materia, è necessario partire dall’inquadramento della tematica dei contratti della P.A. nel diritto interno, prendendo in considerazione le ragioni alla base della imposizione della gara come ordinario sistema di scelta del contraente privato ed i valori ad esso sottesi.

Preliminarmente, occorre fare riferimento alla più ampia tematica della capacità contrattuale della p.a., la quale postula un’indagine condotta sul duplice piano del diritto comune e della disciplina pubblicistica. Infatti, gli aspetti salienti in cui si estrinseca l’autonomia negoziale nel senso proprio del diritto comune, espressi nella libertà di scelta della propria controparte contrattuale, nella determinazione dell’oggetto negoziale e definizione dell’assetto di interessi dedotti, incontrano, in relazione alla pubblica amministrazione, una significativa compressione derivante dal rispetto delle regole sull’evidenza pubblica, le quali sono tradizionalmente ricostruite come norme imperative, non derogabili da parte dei contraenti.

I soggetti pubblici, pur godendo di autonomia negoziale, ai sensi dell’art. 1322 c.c.[16], sono tenuti, oltre all’osservanza dei limiti previsti dal codice civile, al rispetto delle regole sancite dall’ordinamento in ordine all’esplicazione della loro capacità negoziale. In questo senso, va effettuata la distinzione tra attività amministrativa di diritto privato e attività propria della p.a.[17].

La distinzione è tanto netta che, a tal riguardo,  Giannini ha parlato della procedura ad evidenza pubblica come sistema a doppio stadio, composto da due procedimenti paralleli[18]: il primo, definito come serie negoziale, è volto alla formazione della volontà contrattuale della p.a. e regolato da norme privatistiche, a fronte delle quali i singoli risultano portatori di diritti soggettivi, a differenza del secondo, detto serie procedimentale, che è strumentale alla scelta del contraente e disciplinato da disposizioni pubblicistiche, rispetto alle quali vengono individuate posizioni di interesse legittimo. In particolare, in questa seconda fase, l’autorità contraente è tenuta “a spiegare le ragioni di interesse pubblico per le quali vuole addivenire o è addivenuta a quel contratto avente quel certo contenuto in modo da dare evidenza alle ragioni di interesse pubblico per le quali si sono adottate certe condizioni ed a controllarle[19].

Nel contesto normativo attuale, tali aspetti appaiono notevolmente semplificati dal Codice dei Contratti Pubblici, che, ex art. 11, disciplina le fasi delle procedure di aggiudicazione prevedendo una netta separazione tra la fase di scelta del contraente culminante nell’aggiudicazione e la fase di stipulazione del contratto, cui segue la fase di approvazione, in funzione di controllo sugli atti adottati.

Diversamente, la disciplina comunitaria non prevede (o per meglio dire, non prevedeva) la fase di esecuzione del contratto, che viene lasciata alla disciplina interna agli stati membri, in ragione del fatto che sono le fasi di preparazione ed aggiudicazione degli appalti ad incidere maggiormente sull’esercizio della libera circolazione di beni e servizi e sulla libertà di stabilimento.

Principi a cui si ispira la disciplina degli appalti pubblici

La disciplina dell’appalto pubblico si ispira ai principi generali della semplificazione delle procedure di affidamento, della riduzione dei tempi e della flessibilità degli strumenti giuridici. Inoltre, essa sancisce alcuni principi specifici, che mirano a obiettivi distinti, quali il soddisfacimento di esigenze contrattuali, la garanzia di interessi amministrativi e la necessità di tutela del mercato: sono, innanzitutto, quello della qualità delle prestazioni, di economicità, efficacia, tempestività e correttezza dell’azione amministrativa; ancora, quelli, di derivazione europea, di parità di trattamento, di non discriminazione, di trasparenza, di proporzionalità e di pubblicità, che mirano ad assicurare l’effettività della difesa del mercato e della concorrenza; quelli affermati dalla l. n. 241/1990, specie in relazione all’attività precontrattuale di evidenza pubblica, e dal codice civile, per la rilevanza che acquisiscono in sede di interpretazione e di esecuzione dell’accordo.

I principi in tema di attività contrattuale, elencati nel primo comma dell’art. 2 del Codice dei contratti, sono presenti fra i principi generali dell’agire della pubblica amministrazione secondo le previsioni costituzionali (Artt. 97, 2, 3 e 5) ed europee (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che nell’art. 41 esprime il principio della buona amministrazione); ad essi vanno poi aggiunti i principi di libera concorrenza, di favor partecipationis e di par conditio fra i concorrenti, di adeguatezza dell’azione amministrativa e di tassatività e tipicità delle cause escludenti.

In sostanza, l’art. 2 del Codice dei contratti fa riferimento ai principi che devono ispirare e ai quali devono conformarsi l’azione procedimentale di gara ad evidenza pubblica e l’attività contrattuale, in quanto l’amministrazione non termina il dovere del perseguimento dell’interesse pubblico anche se è divenuta parte contrattuale. Detto articolo prevede espressamente: ”L’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza[20], parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”. Il 3 comma richiama i principi di cui alla l. n. 241/1990. Mentre il 4 comma dispone che per quanto non espressamente richiamato dal d.lgs. n. 163/2006, si applicano le norme e i principi del codice  civile: i principi di tutela dell’affidamento, di buona fede, di correttezza nelle trattative e nell’esecuzione del contratto, della diligenza del buon padre di famiglia.

Tra questi criteri alcuni meritano un’attenzione particolare. Il fine essenziale della procedura “ad evidenza pubblica” è il rispetto della concorrenza effettiva tra imprese in Europa: il raggiungimento di questo fine consente di perseguire ancor meglio di prima l’interesse proprio dell’amministrazione, quello tradizionale di natura finanziaria o contabile. La concorrenza effettiva a livello europeo, infatti, consente di contenere adeguatamente i prezzi dei contratti a carico delle amministrazioni pubbliche e di aumentare la qualità e l’innovatività delle prestazioni offerte dalle imprese.

Sul piano giuridico, la libera concorrenza, da “politica” della Comunità europea, è divenuta vero e proprio “principio” generale dell’ordinamento comunitario che incide in modo vincolante sui sistemi giuridici degli Stati membri: l’art. 4 del Trattato istitutivo della Comunità prevede che le politiche economiche e le regolazioni giuridiche della Comunità e dei suoi Stati debbano “conformarsi” al “principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”[21].

In ambito europeo il principio di parità di trattamento nasce come derivazione del principio di non discriminazione in base alla cittadinanza[22] nonchè di quello di trasparenza[23]. Con riferimento alla materia degli appalti pubblici, l’obiettivo del principio di parità di trattamento è di assicurare lo sviluppo di una concorrenza effettiva che conduca alla selezione della migliore offerta, ne deriva il divieto di trattare in modo difforme imprese che si trovino nella stessa condizione ovvero in una posizione comparabile tanto nella fase di ammissione alla gara quanto nella fase di valutazione delle offerte.

Il principio di parità di trattamento esige la fissazione di condizioni di accesso non discriminatorie all’attività economica, ma comporta altresì che le autorità pubbliche adottino ogni misura atta a garantire l’esercizio di tale attività[24]. La Corte di giustizia sottolinea la correlazione tra il principio della trasparenza e il principio della parità di trattamento, al fine di assicurare l’effetto utile garantendo condizioni di concorrenza non falsate[25].

Il principio del favor partecipationis è funzionale alla selezione tra il maggior novero possibile di offerte e garantisce all’amministrazione di poter scegliere l’offerta che risulti comparativamente migliore tra quelle formulate[26]. È un principio secondo cui l’amministrazione deve garantire un accesso quanto più ampio possibile alla fase di scelta, non potendo scegliere direttamente il contraente.

Inoltre, vige il principio della par conditio, inteso sia come manifestazione del più generale principio di imparzialità della p.a., sia come eguaglianza sostanziale degli operatori. Il rispetto della par conditio impone che nessun concorrente possa avere un trattamento differenziato nei confronti delle regole della gara, che devono essere preventivamente disposte in modo chiaro per tutti e devono essere applicate allo stesso modo nei confronti di tutti, cosicché le regole che governano la gara devono essere osservate rigorosamente e non possono essere derogate in favore di qualcuno dei concorrenti.

Come si è avuto modo di evidenziare più sopra, in ambito comunitario il diritto alla concorrenza delle imprese assurge esso stesso ad interesse pubblico da perseguirsi da parte della pubblica amministrazione. E’ per questo motivo che il principio della par condicio viene inteso anche quale fondamento dell’obbligo per la stazione appaltante di stabilire regole chiare ed eque, definite e pubblicizzate con modalità tali da porre i potenziali concorrenti di una gara nella stessa condizione di partenza e applicabili in modo uniforme, al fine di rendere effettivo il mercato della concorrenza[27]. Al contrario, secondo l’impostazione tradizionale del diritto interno, la rigida procedimentalizzazione dell’evidenza pubblica e la correlata adozione del confronto competitivo fra le imprese costituiscono il mezzo per garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa.

In questo assetto il principio della par condicio, che si concretizza nella necessità che l’applicazione delle regole di gara avvenga in modo identico con riferimento a ciascun concorrente ed in relazione a tutte le fasi della procedura, non è garantito e difeso nell’interesse dei singoli partecipanti alla gara, ma nell’interesse della pubblica amministrazione [28].

I principi di favor partecipationis e della par condicio appaiono collegati da un rapporto di strumentalità in forza del quale il principio del favor partecipationis è garantito solo fino a quando non entra in conflitto con quello della parità dei concorrenti, mentre, in caso di antinomia, cede il passo a quest’ultimo.

La gara è la sede nella quale occorre effettuare il bilanciamento tra la massima partecipazione e la parità di trattamento, i quali si pongono come principi fondamentali, intorno ai quali devono ruotare e trovare applicazione tutti gli altri principi dell’evidenza pubblica[29].

Tra i principi che devono presiedere i contratti pubblici vi sono quelli di pubblicità e di trasparenza, i quali manifestano un valore immanente nell’ordinamento giuridico e confermano il carattere relazionale del potere pubblico[30]. Il principio di pubblicità precede e accompagna l’azione amministrativa, mentre quello di trasparenza interviene nel momento successivo all’azione, com’è possibile riscontro da parte del privato, e del giudice, della legittimità dell’azione dell’amministrazione. Entrambi i principi sono  enunciati nella l. n. 241/90, ma nella disciplina dell’evidenza pubblica acquisiscono maggiore consistenza poiché la loro previsione è sempre accompagnata da norme chiare che comportano la verificabilità immediata e la garanzia della esternazione delle operazioni compiute dall’amministrazione, cosicché l’applicazione di entrambi è costante e inderogabile lungo tutto il procedimento.

In ambito europeo il principio di pubblicità, definito principio di trasparenza delle amministrazioni, attiene all’esigenza di garantire il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza. L’obbligo di trasparenza comunitaria consiste nella garanzia, a favore di ogni potenziale offerente, di un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura dell’affidamento di commesse pubbliche alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione[31], e attiene alla esigenza di definire preventivamente le modalità di valutazione delle offerte e di garantire, ex post, la leggibilità delle decisioni assunte dalla stazione appaltante[32]. Vi sono una serie di regole che devono presiedere al rispetto del principio di pubblicità, quali la necessità che sia data adeguata pubblicità al bando di gara e l’obbligo che le sedute di gara siano pubbliche.

Attraverso il principio di trasparenza, il privato deve essere messo in una potenziale condizione di conoscere non solo la scelta dell’amministrazione, ma anche e soprattutto l’effettivo svolgimento dell’azione amministrativa. La trasparenza è, così, collegata al principale strumento che consente di prendere visione degli atti del procedimento e di verificare il corretto esercizio del potere amministrativo, ossia al diritto di accesso[33].

Tra i principi applicabili alle procedure di evidenza pubblica vi è il principio di proporzionalità, che risulta una specificazione del principio di ragionevolezza e la sua violazione è idonea a comportare l’illegittimità delle decisioni assunte dalle stazioni appaltanti nelle procedure di gara, essendo assunto a parametro cui esse devono attenersi nella valutazione dei concorrenti. Il principio di proporzionalità si atteggia come un criterio cardine dell’azione discrezionale che, in quanto valutazione comparativa di interessi diversi, deve tutti considerarli e graduarli, attribuendo a ciascuno il corretto peso ponderale.

Nel diritto europeo tale principio postula che le autorità amministrative non possono imporre obblighi e restrizioni in misura superiore a quella necessaria per il raggiungimento del pubblico interesse[34].

Si veda poi il criterio di economicità, per il quale si intende un’articolazione del principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa  che impone alla P.A. il conseguimento degli obiettivi legislativamente statuiti con il minor dispendio di mezzi in accoglimento del concetto squisitamente imprenditoriale dell’economicità gestionale. Il principio di economicità esprime il dovere per l’amministrazione di fare buon uso delle risorse a disposizione e si traduce sul piano procedimentale nel divieto di aggravare il procedimento, mentre sul piano dell’investimento si identifica con il migliore “acquisto”. Si impone alle stazioni appaltanti il dovere di di garantire la qualità delle prestazioni.

In buona sostanza, il Legislatore ha inteso improntare la gestione della cosa pubblica ai sistemi privatistici di conduzione dell’impresa, imponendo alla P.A. di evitare sprechi nell’utilizzazione dei mezzi a disposizione, di utilizzare in modo razionale le risorse umane e materiali, di ottimizzare i risultati ed i profitti. Inoltre, il criterio di efficacia costituisce un’articolazione del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost. ed indica il rapporto tra risultati ottenuti ed obiettivi prestabiliti.

In conformità a tali principi sono state approvate le nuove direttive europee in materia di procedure ad evidenza pubblica.

Non a caso, la direttiva 2014/24/UE per i settori ordinari, al Considerando 1 richiama il dovuto rispetto che l’aggiudicazione degli appalti pubblici, da o per conto di autorità di Stati membri, deve garantire ai principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in particolare al principio della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché dei principi che ne derivano come il principio di parità di trattamento, non discriminazione, mutuo riconoscimento, proporzionalità e trasparenza.

Se tali principi devono caratterizzare gli affidamenti di contratti pubblici sotto la soglia di valore di rilevanza comunitaria, al di sopra di tale soglia gli stessi principi giustificano, però, ai fini della loro effettività pratica nell’ottica di apertura della concorrenza, la previsione di disposizioni volte a coordinare le procedure nazionali di aggiudicazione.

Pertanto, appaiono funzionali alla salvaguardia dei principi e delle libertà fondamentali del Trattato come richiamate nel preambolo della direttiva, in specie alla salvaguardia della concorrenzialità, le previsioni che la direttiva introduce con il fine di assicurare alle procedure di gara una maggiore flessibilità, semplificazione e modernizzazione rispetto agli obiettivi già fissato nella direttiva 2004/18/CE. In tal senso, l’art. 18 della direttiva appalti, dedicato ai principi per l’aggiudicazione degli appalti, se da una parte richiama l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di trattare gli operatori economici “su un piano di parità e in modo non discriminatorio, agendo in maniera trasparente e proporzionata”, dall’altro richiama la necessità di una concezione della procedura di gara che non abbia l’effetto abnorme di limitare la concorrenza nel senso di costituire uno strumento che possa essere manipolato al fine di escludere l’appalto dall’applicazione della direttiva o di limitare artificialmente la concorrenza nel senso di “favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici”.

Le fonti comunitarie in materia di appalti pubblici in rapporto all’intrinseca attività negoziale della P.A.

Il diritto dei contratti pubblici è costituito da norme di fonte sovranazionale, statale e infrastatale; da norme di diritto pubblico e di diritto privato[35].

Il corpus normativo di origine nazionale ha assunto come propria disciplina normativa “fondamentale” (peraltro soggetta, sino all’inizio del nuovo millennio, a numerose integrazioni e modificazioni) il r.d. n. 2440/1923, recante <<Nuove disposizioni sul l’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato>>, e il relativo regolamento di attuazione, il r.d. n. 827/1924, nonché, con specifico riferimento ai contratti di appalto di opere pubbliche, l’all. F alla l. n. 2248/1865. In materia sono intervenute molte altre normative speciali o di settore, che hanno dettato particolari discipline o per singole amministrazioni (diverse dallo Stato) o per determinate categorie di enti pubblici. La ratio delle fonti nazionali ha sempre mirato a tutelare la pubblica amministrazione dai propri funzionari “infedeli” preposti alla scelta dei contraenti privati, volendo così garantire la corretta gestione delle ingenti risorse pubbliche che i contratti di appalto pubblico implicano e il rispetto dei principi di legalità e di imparzialità della p.a.[36].

L’altro corpus normativo in materia di appalti pubblici, quello di origine e di derivazione europea, ha preso le mosse dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso con le prime direttive europee in materia[37]. La ratio delle fonti di origine europea ha, invece, mirato sempre a perseguire interessi che corrispondono alla promozione e alla tutela della concorrenza.

Il diritto comunitario è intervenuto quindi a disciplinare la materia dei contratti pubblici a partire dagli anni Settanta in modo progressivamente più esteso: il che è legato, essenzialmente, da un lato, alla consapevolezza del valore economico del settore che impegna risorse per un ammontare di oltre il 16% del prodotto interno lordo dell’Unione Europea; dall’altro, al fatto che l’attività negoziale della P.A. incide, in forma diretta o indiretta, sulle libertà fondamentali tutelate dal Trattato dell’Unione europea: sulla libertà di circolazione delle merci; sulla libertà delle prestazioni; sulla libertà di circolazione dei servizi; sulla libertà di stabilimento.

La centralità della materia trova conferma anche nel Trattato UE, art. 179, il quale fa riferimento in particolare, “all’apertura degli appalti pubblici nazionali”, allo scopo di garantire alle imprese la possibilità di sfruttare appieno le potenzialità del mercato interno.

Con la sentenza della Corte costituzionale del 23 novembre 2007, n. 401 si riconosce <<come sia stata proprio l’esigenza di uniformare la normativa interna a quella comunitaria>> nella materia degli appalti pubblici, <<che ha determinato il definitivo superamento della cosiddetta convenzione contabilistica, che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale>>.

L’obiettivo della politica comunitaria in tema di appalti pubblici, sin dalle origini, fu quello di predisporre le condizioni di concorrenza necessarie: affinché i contratti potessero essere aggiudicati senza discriminazioni; per pervenire ad un utilizzo razionale del denaro pubblico attraverso la scelta del contraente migliore; per rendere accessibile agli operatori economici un mercato unico, in modo da consentire ad un’impresa di un qualsiasi Stato membro di concorrere per l’affidamento di un determinato appalto in condizioni di parità con le altre imprese provenienti dal medesimo Stato cui appartiene la stazione appaltante.

Queste norme comunitarie hanno profondamente modificato la configurazione del diritto nazionale. Precedentemente, infatti, la disciplina in tema di procedure di scelta del contraente non aveva una normativa a se, ma era contenuta nella normativa sulla contabilità di Stato, essenzialmente finalizzata all’individuazione del migliore contraente alle più convenienti condizioni di mercato.

Dal momento che la disciplina degli appalti pubblici è sottoposta alle norme di due ordinamenti differenti, come vanno risolte eventuali antinomie fra questi? I rapporti tra norme di fonte comunitaria e norme di fonte nazionale vanno risolti, da parte delle singole amministrazioni, sulla base del principio, costantemente affermato dalla Corte di giustizia, di prevalenza delle prime sulle seconde. In ragione di ciò, non va tenuto conto della norma nazionale in contrasto con norme dell’Unione (c.d. Disapplicazione); inoltre, delle prime va fornita una lettura costituzionalmente orientata, in termini che consentano di rendere applicabile in concreto e non solo in teoria il principio o la regola comunitaria (c.d. Effetti utile).

A tal riguardo, la Corte costituzionale ha ritenuto che “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili” con quelle europee direttamente applicabili[38].

Proprio in virtù di quanto detto poco sopra, secondo autorevole dottrina, accanto, se non al di sopra, della nostra Costituzione si pone una vera e propria costituzione (almeno economica) europea.[39] Vi sono disposizioni di rango superprimario di fonte europea che riguardano specificamente la sfera economica, tendono innanzitutto a creare un mercato unico e che prevalgono sulle fonti nazionali, con il limite dei principi costituzionali[40].

A livello europeo, anche se la contrattualistica pubblica ha sempre scontato una fortissima connotazione legata alle discipline e ai mercati nazionali (basti pensare al fatto che finora ancora non si era mai riusciti ad adottare una direttiva specifica in materia di concessioni), il legislatore europeo ha emesso in materia delle direttive (sempre preferite al regolamento[41]), particolarmente importanti, come si vedrà meglio in seguito.

Le direttive, il cui fondamento giuridico si rinviene negli artt. 53, par. 1, 62 e 114 TFUE[42], si distinguono dai regolamenti dell’UE in quanto, mentre questi sono immediatamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri sin dalla loro entrata in vigore, senza necessità alcuna di un’interposizione da parte del Legislatore nazionale, le direttive abbisognano di trasposizione negli ordinamenti interni.

Infatti, le direttive sono atti legislativi che vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere. Mentre i regolamenti e le decisioni sono obbligatori in tutti i loro elementi, la direttiva “vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi” (art. 288 del TFUE). Appare chiaro dalla formula usata dall’art. 288 che la direttiva dovrebbe limitarsi all’enunciazione di principi e criteri generali, di regole finali desinate ad essere tradotte dal singolo Stato in norme di dettaglio. Senonchè la prassi degli organi comunitari si è andata orientando in senso contrario. La direttiva è assai spesso dettagliata. In questi casi gli organi comunitari hanno manifestato la tendenza ad indicare con precisione le norme interne che gli Stati sono tenuti ad adottare. Spesso, dato il contenuto estremamente dettagliato della direttiva, la discrezionalità dello Stato si riduce soltanto ad una scelta della forma giuridica interna da dare alla norma già fissata sul piano europeo. Gli Stati membri sono quindi tenuti a recepire il contenuto delle direttive nella propria normativa nazionale.

Conformemente alla giurisprudenza della Corte in materia di effetto diretto, allo scadere del termine previsto per il recepimento nel diritto nazionale, ogni disposizione della direttiva in grado di incidere direttamente sulla relazione giuridica tra lo Stato membro cui la direttiva è rivolta e i privati può essere invocata da questi dinanzi ai giudici dello Stato membro, e quest’ultimo non può evitarne l’attuazione facendo appello al mancato espletamento delle formalità di introduzione di una direttiva nel proprio ordinamento giuridico o al permanere di disposizioni contrarie nella normativa nazionale.

Secondo i principi enunciati dalla Corte, per determinare se le disposizioni considerate hanno un effetto diretto occorre esaminare, in ogni singolo caso, la natura, i fondamenti e i termini della disposizione in questione.

Infatti, le direttive producono effetti nella misura in cui siano cumulativamente presenti tre condizioni[43]: sia scaduto il termine previsto per la trasposizione della direttiva; il contenuto dispositivo della direttiva sia sufficientemente chiaro e preciso, tradizionalmente si dice che le disposizioni di fonte europea debbono avere carattere self-executing[44] per poter essere applicate dal giudice nazionale[45]; la direttiva sia invocata nei confronti di un soggetto pubblico.

La Corte di giustizia sin dagli anni ’60[46] ha individuato i caratteri essenziali delle norme self-executing, dovendosi trattare di disposizioni chiare e precise nella determinazione del contenuto dei diritti e delle posizioni giuridiche soggettive. Inoltre sono norme prive di condizioni e quindi astrattamente immediatamente applicabili e devono avere un contenuto vincolato.

Poiché la giurisprudenza comunitaria[47] ha elaborato un particolare obbligo da parte degli Stati membri nel periodo di decorrenza del termine di recepimento delle norme contenute nella direttiva, ossia lo Stato in applicazione del generale principio di buona fede, non può adottare atti o norme in contrasto con la direttiva medesima, si prospettano due fattispecie risarcitorie a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento europeo di una nuova direttiva. La prima durante il periodo di recepimento laddove lo Stato adotti atti contrastanti con le norme contenute nella nuova direttiva approvata; la seconda qualora lo Stato membro non rispetti il termine di recepimento della direttiva.

La ratio del legislatore comunitario dell’adozione nel tempo delle direttive in materia di appalti pubblici e di contratti pubblici in genere era espressione della tutela del principio di concorrenza nell’ambito di una più accentuata omogeneizzazione del mercato interno europeo[48]. Successivamente, il legislatore europeo, pur insistendo sul profilo della tutela della concorrenza, individua ulteriori profili di interesse, soprattutto di natura sociale e di sicurezza.

I primi interventi comunitari non teorizzavano ancora un mercato comune dei contratti pubblici, ma distinguevano, facendone oggetto di una disciplina comunitaria analitica, tra appalti di lavori, servizi e forniture, distinguendoli da quelli – sempre di lavori, servizi e forniture – nei settori c.d. esclusi di acqua, energia, telecomunicazioni e trasporti. Le norme così introdotte erano dirette a garantire uno svolgimento regolare e trasparente delle procedure ad evidenza pubblica, senza che ne risultasse sacrificato l’interesse dell’amministrazione.

Come già ricordato, la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici risale agli anni ’70 ed è stata più volte aggiornata e modificata, tanto che si è soliti suddividere le fonti in: “direttive di prima generazione”[49] 71/305/CEE e 80/767/CEE; “direttive di seconda generazione”[50] 89/440/CEE, 92/50/CEE e 93/37/CEE che hanno introdotto un quadro normativo più omogeneo, esaustivo e dettagliato idoneo a ridurre i margini di asimmetria legislativa esistente tra gli Stati membri. Più di recente, l’evoluzione dei diritto europeo nel settore dei contratti pubblici si è caratterizzata per la codificazione/semplificazione del mosaico normativo con l’adozione delle c.d. “direttive di terza generazione”  2004/17/CE e 2004/18/CE, ormai abrogate dalle nuove direttive 2014[51].

I filoni dell’intervento sovranazionale hanno riguardato in particolare: la modifica delle vecchie direttive sui lavori e le forniture, allo scopo di agevolare la partecipazione agli appalti e aumentare la trasparenza; l’introduzione di adeguati mezzi di tutela sia amministrativa che giurisdizionale per garantire l’osservanza delle disposizioni vigenti; l’estensione della disciplina agli appalti pubblici di servizi, di lavori e di forniture nei settori in precedenza esclusi (acqua, telecomunicazioni, energia, trasporti); l’equiparazione di imprese comunitarie e imprese dei Paesi terzi firmatari dell’accordo sugli appalti pubblici concluso nell’ambito dell’Uruguay Round[52].

E’ bene precisare che la legislazione italiana fino ai primi anni ’90 del secolo scorso ha risentito ben poco della legislazione comunitaria e della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di appalti pubblici. Fino a quell’epoca, infatti, la normativa nazionale risultava ancora disciplinata dalle norme previste dalla legge di contabilità generale dello Stato[53]. Successivamente diviene imprescindibile il riferimento al legislatore comunitario e alla giurisprudenza comunitaria.

Il primo intervento comunitario avente carattere unificante la disciplina degli appalti pubblici fu effettuato con le direttive 93/36/CEE (relativa alle forniture nei settori ordinari), 93/37/CEE (relativa ai lavori nei settori ordinari) e 93/38/CE (relativa alle procedure di aggiudicazione nei c.d. settori esclusi), le quali erano connesse e assurgevano a corpus normativo unitario.

Intento principale di tali direttive era quello di garantire i principi di pubblicità, trasparenza, imparzialità, apertura del mercato e par condicio, mediante la previsione di norme comuni nell’ambito del mercato europeo.

Queste direttive erano caratterizzati dalla settorialità e imperniati sulla distinzione tra le diverse tipologie di appalti. Successivamente, con la definitiva attuazione del c.d. terzo pilastro, la Comunità europea ha sviluppato una politica economica più organica, consentendo di qualificare il settore dei contratti pubblici come mercato unitario, disciplinato in modo armonico. La Comunità, in tale contesto, ha spostato il tiro sulla tutela della concorrenza, ritenendo che le stazioni appaltanti dovessero perseguire anche l’interesse del mercato che si pone come corollario della corretta esplicazione delle regole di gara[54].

Le succitate direttive comunitarie definiscono l’appalto pubblico come “un contratto concluso in forma scritta tra un imprenditore o fornitore o prestatore di servizi e un ente aggiudicatore, avente ad oggetto un’opera pubblica, una pubblica fornitura o un servizio[55], e determinano il proprio ambito di applicazione sotto il profilo oggettivo, soggettivo e, per così dire, “quantitativo”.

Si precisa, in primo luogo, cosa debba intendersi rispettivamente per “lavori pubblici”, “forniture” e “servizi”. I lavori pubblici sono individuati attraverso il rinvio ad un allegato (II), che contiene un elenco di lavori edili, nonché mediante il concetto di “opera”, definita come “il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica[56]. Elemento essenziale ai fini della qualificazione del contratto è l’obbligo di esecuzione: l’appalto pubblico di lavori può avere infatti ad oggetto l’esecuzione e/o la progettazione dei lavori definiti nell’allegato II, nonché di un’opera, come sopra definita, oppure l’esecuzione con qualsiasi mezzo di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice[57].

Il concetto di fornitura non presenta particolari problemi applicativi ed è definito come “l’acquisto, il leasing, la locazione, l’acquisto a riscatto con o senza opzione per l’acquisto di prodotti[58].

Quanto alla determinazione di un appalto pubblico di servizi, le direttive adottano un criterio residuale, rientrando in tale ambito i contratti non riconducibili agli appalti di lavori o di forniture. Si distingue poi tra “servizi prioritari” e “servizi non prioritari” attraverso il rinvio rispettivamente all’allegato A e B della direttiva 50/92: ai primi verranno applicate tutte le norme presenti nella direttiva stessa, ai secondi solo alcune disposizioni, in particolare in materia di pubblicità e specificazioni tecniche.

Sotto il profilo soggettivo, le norme comunitarie si applicano agli appalti aggiudicati dallo Stato, dagli enti territoriali, dagli organismi di diritto pubblico e dalle associazioni costituite da tali enti e organismi. La disciplina comunitaria prevede due ipotesi particolari di applicabilità a soggetti ulteriori rispetto a quelli sopracitati: trattasi degli appalti di lavori affidati da soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatici ma da queste sovvenzionate per almeno il 50%, e degli appalti di servizi sovvenzionati per almeno il 50% da amministrazioni pubbliche e aggiudicati in relazione ad appalti di lavori[59].

Quanto agli appalti di forniture, lavori e servizi aggiudicati dagli enti che operano nei settori di pubblica utilità (i cd settori esclusi), occorre rilevare che tra gli enti aggiudicatori sono comprese anche le imprese pubbliche nonché i soggetti che, pur non essendo pubblici, operano nei settori in questione in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dall’autorità competente di uno Stato membro[60].

Per rientrare nell’ambito di applicazione delle direttive comunitarie un appalto pubblico deve soddisfare, oltre ai criteri oggettivi e soggettivi sopraccitati, un parametro, per così dire, “quantitativo”, ovvero presentare un valore, al netto dell’IVA, pari o superiore a delle soglie minime espressamente indicate. Tale previsione si spiega in quanto solo gli appalti di una certa entità possono avere rilevanza a livello comunitario e meritano quindi una tutela adeguata in quest’ambito.

Come abbiamo visto, il legislatore europeo è intervenuto una legislazione “a mosaico” nel settore dei contratti pubblici[61] che da oltre quarant’anni (1969-2014)[62] è oggetto di attenzione e progressiva armonizzazione.

La svolta verso l’adozione di un codice dei contratti pubblici, con il conseguente riordino e riunione della normativa comunitaria in materia di contratti pubblici, trova la sua occasione storica a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento europeo delle direttive 2004/17/CE e  2004/18/CE, alla base delle quali vi è la tutela della concorrenza[63].

La garanzia del mercato libero diviene un’esigenza prioritaria, in quanto la concorrenza consente di migliorare la qualità delle prestazioni e di aumentare le tutele offerte ai concorrenti[64]. La tutela della concorrenza si concretizza nell’esigenza di assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici del settore dei contratti pubblici in applicazione dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi[65].

In questa prospettiva si giustifica l’intervento delle autorità indipendenti, le quali segnalano alle stazioni appaltanti i comportamenti pro concorrenziali e anticoncorrenziali.

Il Parlamento italiano con la c.d. Legge comunitaria 2004[66] delegava il Governo al recepimento delle direttive del 2004 in un unico testo organico e nel rispetto dei principi di semplificazione, riduzione dei tempi e flessibilità delle procedure. Il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture veniva adottato con il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163[67]. Il Codice cerca di far convivere due anime non certo gemelle, come quella della vecchia Merloni, “improntata a scorie di protezionismo nazionale e alla cultura del sospetto postangentopoli” e quella, di matrice europea, “tendente a una effettiva apertura del mercato degli appalti alla cultura della concorrenza e della qualità, cioè in una parola alla meritocrazia”[68].

Il Codice dei contratti subisce, tuttavia, innumerevoli modifiche ed integrazioni[69]. Il numero e la complessità delle norme contenute nel Codice dei contratti e nel Regolamento di attuazione e le innumerevoli modifiche normative succedutesi nel brevissimo volgere degli anni segnano il destino del codice stesso, sino alle direttive del 2014.

In generale, le direttive hanno sempre avuto lo scopo di promuovere la concorrenza tra gli operatori economici, di perseguire obiettivi di semplificazione e maggiore flessibilità delle procedure d’appalto, per divenire così uno strumento per combattere la corruzione ed assicurare una efficiente utilizzazione delle risorse pubbliche. Gli appalti pubblici sono il principale strumento contrattuale per l’acquisto di beni, servizi e per la realizzazione di infrastrutture, rivestono un ruolo fondamentale nell’economia nazionale, rappresentando oltre il 16% del PIL dell’UE[70].

Le nuove direttive del 2014 segnano ed evidenziano l’emergere di profili di interesse del tutto nuovi, in cui lo strumento degli appalti pubblici deve costituire una delle leve fondamentali di impulso economico in una fase di persistente crisi economica.

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[1] A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, 1989, Giuffrè.

[2] Cfr. Chiti P. M., La pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo europeo, CEDAM ed. 1997.

[3] Per l’inquadramento del contratto di appalto nell’ambito delle attività della pubblica amministrazione si rinvia, alle voci enciclopediche di PITTALIS, Appalto pubblico, in Digesto pubbl., Torino, 1987 e CARULLO, Appalti pubblici, in Enc. Dir., Agg., V, Milano, 2001.

[4] In questi termini, si fa riferimento al concetto di “funzionalizzazione” dell’attività amministrativa, proprio sottolineando come il perseguimento dell’interesse pubblico si configuri come un limite all’autonomia negoziale: lo si evidenzia in BENEDETTI, I contratti della pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino, 1999; MASSERA, I contratti, in Trattato di diritto amministrativo, I, 2, Diritto amministrativo generale, a cura di Cassese, Milano, 2003.

[5] C. FRANCHINI, L’appalto di lavori, servizi e forniture, in C. FRANCHINI (a cura di), I contratti di appalto pubblico, in Trattato dei contratti diretto da Rescigno e Gabrielli , Utet, 2010.

[6] BENEDETTI, I contratti della pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, cit. e NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2008.

[7] Nella disciplina negoziale vengono ad assumere rilevanza principi, come ad esempio quello di ragionevolezza, che sono estranei alla regolamentazione di diritto comune. Cfr. CERULLI IRELLI, Innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione, in Costituzione e amministrazione. Documenti di un itinerario riformatore (1996-2002), Torino, 2002.

[8] Cfr. V. CAPUZZA, Il principio di specialità nelle sue linee storiche e la differenza moderna fra appalto pubblico e appalto di diritto civile, in Riv. Trim. Appalti, n. 3/2005.

[9] In tal senso l’art. 2, 4 comma del Codice dei contratti pubblici positivizza tale principio di specialità.

[10] Si veda LEDDA F., Il problema del contratto nel diritto amministrativo, Torino, 1964 ora in Scritti giuridici, Padova, 2002, 323. Nel senso della configurazione della procedura ad evidenza pubblica come bene giuridico la cui tutela deve essere salvaguardata da parte dell’ordinamento in nome dei principi della imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., si veda, ex multis: TAR Calabria, sez. II, 22 luglio 2004 n. 1679, relativa al fenomeno del collegamento sostanziale tra imprese rilevante ai fini della partecipazione alla gara: “Tenuto conto che tale rischio coinvolge direttamente il bene della correttezza della procedura di evidenza e della concorrenza tra imprese, detto bene va salvaguardato, nei limiti del possibile, ex ante, nel momento stesso in cui viene messo in pericolo e senza attendere la sua effettiva lesione, non potendo la collettività addossarsi il costo di gare viziate dalla partecipazione di imprese governate da un unico centro decisionale, giacchè ciò significherebbe ammettere e tollerare una possibile violazione ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.”.

[11] Così definita da M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1988.

[12] In tal senso MORBIDELLI, ZOPPOLATO, Appalti pubblici, in Trattato di diritto amministrativo europeo. Parte speciale, diretto da Chiti e Greco, Milano, 2007, laddove rilevano che la normativa nazionale è nata per l’esigenza di garantire i principi di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa; inoltre, la gara consentiva di giungere all’acquisto migliore con ulteriore beneficio per la collettività.

[13] GIANNINI, L’attività amministrativa, Roma, 1962.

[14] Tale cambiamento è reso evidente dalla entrata in vigore del Codice dei Contratti Pubblici, Decreto legislativo 13 aprile 2006, n. 163 Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante: “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, e succ. mod. pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006 -Supplemento Ordinario n. 107.

[15] CHITI, I principi, in Trattato sui contratti pubblici, I principi generali. I contratti pubblici. I soggetti, diretto da Sandulli, De Nictolis, Garofoli, Milano, 2008.

[16] In relazione alla fattispecie dell’appalto pubblico, appare superata la tesi in base alla quale l’appalto pubblico non sarebbe riconducibile allo schema contrattuale privatistico, ma costituirebbe un contratto ad oggetto pubblico o un contratto di diritto pubblico, come combinazione di un atto di volontà amministrativo e un atto di sottomissione del privato. Tale teoria è autorevolmente sostenuta da: RESTA R., Sulla natura speciale del contratto di appalto per l’esecuzione di opere pubbliche e sulla proponibilità dellazione giudiziaria di adempimento dellamministrazione, in Foro Amm., 1932, II, 185. Sul punto, GALLUCCI C., voce Appalto Pubblico, in Enciclopedia Giuridica Treccani.

[17] POLI V., Principi generali e regime giuridico dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, in www.giustizia-amministrativa.it, il quale, in base a questa distinzione, ritiene non sostenibile una piena fungibilità tra contratto e atto amministrativo, almeno con riferimento alla attività di spettanza necessaria della p.a.

[18] GIANNINI, Diritto Amministrativo, Milano, 1970.

[19] In tal senso, PERICU G., L’attività consensuale dellamministrazione pubblica, in AA.VV., Diritto Amministrativo, Bologna, 2005.

[20] La normativa comunitaria, invece, pone al centro della sua attenzione la disciplina della concorrenza come strumento per il raggiungimento del mercato unico attraverso la realizzazione delle quattro libertà fondamentali, di circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. A ciò si aggiungano gli effetti che sono derivati dall’applicazione del diritto antitrust – anch’esso di derivazione comunitaria -, da parte degli Stati membri della UE, che mira a stabilire un piano di parità tra tutti gli operatori economici comunitari che agiscono fuori dai propri confini nazionali sia nel  momento di presentazione delle loro offerte sia nel momento in cui queste sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice; infatti, seppur tradizionalmente rivolta alle imprese, la disciplina antitrust oggi condiziona la normativa sulla concorrenza in tutti i paesi dell’Unione Europea. Dunque, la tutela della concorrenza è divenuta così fondamentale che i suoi principi sono stati trasfusi nella nostra Costituzione: con la modifica avutasi nel 2005 del titolo V, è stato previsto che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto […] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117, comma 1, Cost.) e che tra le “materie” che rientrano nella competenza esclusiva del legislatore statale vi sia anche quella relativa alla “tutela della concorrenza” (art. 117, comma 2, lett. E ).

[21] CANCRINI E D’ALBERTI, Appalti pubblici e antitrust, in Www.treccani.it, 2009.

[22] Così, Corte di Giustizia Ce, 7 dicembre 2000, n.94/99; Corte di Giustizia Ce, 17 settembre 2002, n.513/99.

[23] Si veda Corte di Giustizia Ce, 25 aprile 1996, n. 87/94.

[24] Le prime pronunce di diretta applicazione del principio di parità di trattamento in materia di appalti pubblici sono: Corte di Giust. CE, 22 giugno 1993, n. 243/89, Storebaelt; Corte di Giust. CE, 25 aprile 1996, n. 87/94, Bus Wallons.

[25] Corte di Giust. CE, 18 novembre 1999, n. 275/98 Unitron Scandinavia A/S; Corte di Giust. CE, 18 ottobre 2001, n. 19/00, SIAC Construction.

[26] D’ALBERTI, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2008.

[27] Si veda B. RAGANELLI, Contratti pubblici e piccole medie imprese. gli strumenti a sostegno compatibili con la normativa comunitaria e nazionale, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc. 2, 2011.

[28] La portata del principio in esame ha avuto importanti conseguenze con riferimento alla materia delle cause di esclusione, la quale ha costituito il campo per la più esasperata applicazione della par condicio, come tradizionalmente intesa. Così, violazioni anche minime degli adempimenti richiesti per la partecipazione alla gara erano pesantemente sanzionate con l’estromissione del concorrente, né poteva soccorrere sul punto l’istituto della regolarizzazione documentale contemplato dall’art. 46, 1 comma del Codice, anch’esso interpretato in maniera fortemente restrittiva in ossequio al principio della parità di trattamento.

[29] SCOCA, I principi dell’evidenza pubblica, in FRANCHINI (a cura di), I contratti di appalto pubblico, cit.

[30] MERLONI, Trasparenza delle istituzioni e principio democratico, in La trasparenza amministrativa, a cura di Merloni, Milano, 2008.

[31] Corte di Giust., CE, 13 settembre 2007, n. 260/04, Commissione/Italia; Corte di Giust., CE, 7 dicembre 2000, n. 324/98, Telaustria e Telefonadress; Corte di Giust. CE, 13 ottobre 2005, n. 458/03, Parking Brixen.

[32] Corte di Giust. CE, 24 gennaio 2008, n. 532/06.

[33] Sul tema dei principi, si veda, in generale, F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, V ed., Milano 2008, p. 2460.

[34] Corte di Giust. CE, 14 dicembre 2004, n. 210/03, Swedish Match; Corte di Giust. CE, 3 marzo 2005, nn. 21/03 e 34/03, Fabricom; Corte di Giust. CE, 16 dicembre 2008, n. 213/07, Michaniki AE; Corte di Giust. CE, 23 dicembre 2009, n. 376/08, Soc. Serrantoni.

[35] Si veda POLICE-GRÜNER, Le fonti, in FRANCHINI (a cura di), I contratti di appalto pubblico, cit.

[36] GIANNINI, Diritto amministrativo, cit.; BENEDETTI, I contratti della pubblica amministrazione tra specialità e diritto comune, Torino, 1999.

[37] Direttive nn. 71/305/CEE e 72/277/CEE, relative agli appalti di lavori pubblici e attuate dalla l. n. 584/1977; direttiva n. 77/62/CEE, relativa agli appalti di forniture e attuata dalla l. n. 113/1981.

[38] C.cost., 11 luglio 1989, n. 38, e, sulla scia, nonché in ossequio alla pronuncia C. Giust. CE, 22 giugno 1989, causa C-103/88.

[39] Così S.CASSESE, La nuova Costituzione economica, Roma-Bari, Laterza, 1995.

[40] C. Cost., 8 giugno 1990, n. 232.

[41] Si veda, in generale, R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2014; B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2013.

[42] Si veda, R. CARANTA, I contratti pubblici, II ed., Giappichelli, Torino, 2012.

[43] SI veda, C. Cost. 8 giugno 1984, n. 170.

[44] Norme caratterizzate da un profilo di elaborazione così dettagliata che possono trovare immediatamente esecuzione all’interno di ciascun ordinamento giuridico nazionale.

[45] C. Giust. CE, 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88; C. Giust. CE, 23 febbraio 1994, causa C-236/92; C. Giust. CE, 20 aprile 1999, causa C-241/97.

[46] Corte di giustizia 5 febbraio 1963, C-26/62.

[47] Corte di giustizia 18 dicembre 1997, C-129/96.

[48] Si vedano gli Artt. 26 e 114 TFUE.

[49] F. SAITTA, Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Commentario sistematico, CEDAM, Padova, 2008; F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive delle nuove direttive europee e del d.l. n. 90 del 2014, Giappichelli, Torino.

[50] F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Diritto dei contratti pubblici. Assetto e dinamiche evolutive delle nuove direttive europee e del d.l. n. 90 del 2014, Giappichelli, Torino.

[51] C. FRANCHINI e FRANCESCO SCIAUDONE (a cura di), Il recepimento in Italia delle nuove direttive appalti e concessioni. Elementi critici e opportunità, in Editoriale Scientifica, Napoli, 2015.

[52] Si tratta dell’accordo firmato a Marrakech il 15.4.1994, approvato dal Consiglio con la decisione n. 94/800/CEE.

[53] R.d. 18 novembre 1923, n. 2240; regolamento di attuazione 23 maggio 1924, n. 827.

[54] In tal senso, S. SCOCA, I principi di evidenza pubblica, in C. FRANCHINI (a cura di) I contratti di appalto pubblico, UTET, 2010.

[55] Si veda l’ Art. 1 delle direttive 93/36, 93/37, 92/50 e 93/38.

[56] Cosi l’ art. 1, lett. c) della direttiva 93/37.

[57] Si distingue dall’appalto di lavori la concessione di lavori pubblici, che è riferibile ai contratti aventi le medesime caratteristiche di un appalto di lavori ad eccezione del fatto che “la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (cfr. art. 1, lett. d) della direttiva 93/36). Alle concessioni di lavori pubblici si applicano le sole disposizioni in materia di pubblicità

[58] Si veda l’art. 1, lett. a) della direttiva 93/37.

[59] Rispettivamente l’art. 2 della direttiva 93/37 e l’art. 3, comma 3 della direttiva 92/50.

[60] In tal senso, l’art. 2 della direttiva 93/38.

[61] Si è intervenuti con singole direttive su tipologie contrattuali progressivamente crescenti, passando dagli appalti di forniture, ai lavori e anche ai servizi, ricomprendendo dapprima i soli settori c.d. ordinari e poi anche quelli speciali (inizialmente detti “settori esclusi”). Nello specifico ci si riferisce alle direttive 71/305/CEE, 92/50/CEE, 90/531/CEE.

[62] Il primo intervento risale alla Direttiva 70/32/CEE della Commissione concernente le forniture di prodotti allo Stato, agli enti territoriali ed alle altre persone giuridiche di diritto pubblico.

[63] La Corte costituzionale ha ricondotto il settore dei contratti pubblici nell’alveo della materia della tutela della concorrenza ex art. 117,2 comma, lett. e), Cost. La Corte costituzionale, infatti, ha dapprima affermato che la tutela della concorrenza è materia trasversale ricomprendente gli aspetti della tutela e della disciplina della regolazione (C. Cost. 15 novembre 2004, n. 2004; C. Cost. 27 luglio 2005, n. 336; C. Cost. 1 febbraio 2006, n. 29). Successivamente ha ricompresi il settore degli appalti pubblici nell’alveo della tutela della concorrenza, riservandola alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (C. Cost. 23 novembre 2007, n. 401; C. Cost. 19 dicembre 2007, n. 431; C. Cost. 6 novembre 2009, n. 283).

[64] Cfr. S. S. SCOCA, I principi di evidenza pubblica, cit.; GRECO, L’adeguamento dell’ordinamento italiano alle direttive comunitarie in tema di appalti di lavori pubblici, in AA. VV., Gli appalti dei lavori pubblici nel diritto amministrativo comunitario e italiano, Atti dell’incontro di studio tenutosi a Milano il 16 febbraio 1990, Milano, 1990; CARANTA, I contratti pubblici, Torino, 2004; PICOZZA, L’incidenza del diritto comunitario (e del diritto internazionale) sui concetti fondamentali del diritto pubblico dell’economia, in Riv. It. Dir. pubbl. Comunitario, 1996; D’ALBERTI, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2008.

[65] A. CANCRINI, V. CAPUZZA, Lezioni di legislazione delle opere pubbliche, II ed., Aracne, 2012.

[66] Legge 18 aprile 2005, n. 62.

[67] Sulla legge delega R. GAROFALI, M. A. SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Milano, Giuffrè, 2005.

[68] Così, E. PICOZZA, L’appalto pubblico tra diritto comunitario e diritto nazionale, p. 51; R. CARANTA, I contratti pubblici, II ed., Giappichelli, Torino, 2012.

[69] Solo a titolo esemplificativo: d.lgs. n. 6/2007; d.lgs. n. 113/2007; d.lgs. n. 152/2008.

[70] Si rinvia al sito internet http://www.politicheeuropee.it/attività /18804/appalti-pubblici.

Dott. Martina Luigi Piero

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