Pomigliano, l ‘organizzazione del lavoro e i ritardi della dottrina

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Sul Num. 1 della Rivista italiana di diritto del lavoro è apparso inopinatamente un lungo articolo dal titolo “Considerazioni sulla nozione e sulla funzione del contratto di lavoro subordinato” a firma di Mattia Persiani, Professore emerito dell’Università di Roma <Sapienza>.Dal titolo per sé stesso non si comprenderebbe il significato né si immaginerebbero i contenuti.”Nozione e funzione” del contratto di lavoro subordinato può significare tutto e di più.

Ma per chi è addentro all’ambiente l’articolo prende forma e significato ove si consideri che lo stesso Autore anni addietro aveva pubblicato un libro dal titolo Contratto di lavoro e organizzazione edito dalla casa editrice CEDAM nel 1965.

In questo odierno saggio il Cattedratico ripropone le sue vecchie tesi.

<Esclusa tale anacronistica conclusione, resta che, se il contratto di lavoro è la fonte di un rapporto obbligatorio, l’obbligazione di collaborare che lo caratterizza (art. 2094 c.c.) non è soltanto l’obbligazione di lavorare, e cioè di svolgere un’attività, ma è anche, se non soprattutto, quella di «ubbidire» e, cioè, di lavorare in modo subordinato. La posizione caratterizzata dall'<ubbidire> meglio può essere definita come soggezione al potere direttivo che , non a caso, è espressamente nominato dalla legge (art. 2104, comma secondo, c.c.).

Da ciò deriva che la funzione tipica del contratto di lavoro deve essere individuata prendendo le mosse dalla constatazione che quel contratto, da solo o più spesso nel contesto di una serie di altri contratti di lavoro, determina l’esistenza sul piano giuridico dell’organizzazione di lavoro sia essa, o no, organizzazione di impresa .

Ed infatti, in questa prospettiva è agevole rendersi conto che il contratto di lavoro subordinato consente al datore di lavoro di procurarsi quella collaborazione del lavoratore che è necessaria a soddisfare il suo interesse e, cioè, l’interesse a realizzare la produzione o lo scambio di beni e servizi (art. 2082 c.c.).Ma, e questo è il punto, la collaborazione di cui trattasi, poiché è attesa e deve essere data da un uomo, non può essere realizzata se non con l’attribuzione, per effetto del contratto di lavoro, di posizioni giuridiche che la consentono quali, appunto, la soggezione al potere direttivo.

La subordinazione diventa, così, un modo di essere dell’obbligazione di prestare attività lavorativa; modo di essere funzionalmente connesso alla soddisfazione dell’interesse del creditore in vista del quale quest’ultimo ha posto in essere l’organizzazione di lavoro ,

In questa prospettiva, la funzione del contratto di lavoro si specifica per essere, oltre che un contratto di scambio a. prestazioni corrispettive, un contratto di organizzazione, proprio perché consente al datore di lavoro di ottenere il risultato del coordinamento, o organizzazione, della prestazione in funzione della soddisfazione del suo interesse risultato dell’organizzazione del lavoro.>

Riproporre 40/50 anni dopo le stesse teorie elaborate a proposito dell’organizzazione di lavoro nonostante i grandi cambiamenti tecnologici verificatisi nel frattempo in questi lunghi anni ci pare abbastanza deludente.

Non avere prodotto in tanti anni teorie nuove,continuando ad appoggiarsi ai vecchi schemi contrattualistici,per descrivere ,usando soltanto questi, le nuove realtà economico/sociali può solo significare che la dottrina è rimasta ferma mentre il mondo cambiava.

Tra il mondo fordista e la nuova Fabbrica integrata c’è un abisso e affermare che l’obbligazione di collaborare che caratterizza il rapporto di lavoro <non è soltanto l’obbligazione di lavorare ,e cioè di svolgere un’attività,ma è anche ,se non soprattutto, quella di “ubbidire” > può solo significare essere rimasti fermi al grezzo rapporto padrone/servo. Si comprendono allora casi come quello della FIAT di Pomigliano che ci fanno capire quanto cammino debba ancora compiere la nostra Società,perché qui si contrappongono,appunto, due visioni del mondo quasi da <stato di natura>,senza che nessuno proponga una mediazione che tenga conto dei valori che devono riconoscersi in entrambe le parti contrapposte.

Asserire poi che <funzione tipica del contratto di lavoro deve essere individuata prendendo le mosse dalla constatazione che quel contratto, da solo o più spesso nel contesto di una serie di altri contratti di lavoro, determina l’esistenza sul piano giuridico dell’organizzazione di lavoro > ha un che di meccanicistico che è tipico di chi non coglie appieno gli aspetti sociali del rapporto di lavoro e dello stesso ordinamento giuridico e aggiungere poi che <procurarsi quella collaborazione del lavoratore che è necessaria a soddisfare il suo interesse e, cioè, l’interesse a realizzare la produzione o lo scambio di beni e servizi> e continuare affermando anche che <in questa prospettiva., la funzione del contratto di lavoro si specifica per essere………. un contratto di organizzazione, proprio perché consente al datore di lavoro di ottenere il risultato del coordinamento, o organizzazione, della prestazione in funzione della soddisfazione del suo interesse al risultato dell’organizzazione del lavoro.> appare persino un tantino poco etico [ chè anche il diritto postula una fondamentale etica] e fa dimenticare che fin dal ‘700 un grande filosofo aveva affermato quale debba essere l’ imperativo categorico dell’uomo :<agisci in modo da trattare l’umanità tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro,sempre e ad un tempo come fine e mai semplicemente come mezzo>.

Dobbiamo quindi concludere che,a fronte, dei cambiamenti dei profili dell’economia ( industriale,soprattutto, ma anche in genere tecnologica e ,infine informatica) il contratto privatistico,bilaterale,sinallagmatico,si rivela non più adeguato a contenere la nuova realtà.Facendo un atto di umiltà occorre abbandonare vecchie teorie,magari una volta soddisfacenti, per interpretare la realtà e,piuttosto, partendo da quelle costruzioni giuridiche ,che prima si respingevano,teoria istituzionale ad esempio o altro, costruire nuove categorie,caratterizzate da una maggiore partecipazione del lavoratore, che consentano di spiegare i nuovi moduli e magari indirizzarli verso uno sviluppo che giovi , senza ritorni a vecchi e superati corporativismi, sia ai datori di lavoro che ai lavoratori e, infine, al paese tutto.

Tutto ciò in definitiva rivela alla base l’incapacità di avere una visione allargata in linea coi tempi.

 

 

Viceconte Massimo

Avv. Viceconte Massimo

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