Per la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato , il termine per chiedere l’annullamento di un provvedimento decorre dalla conoscenza dei suoi effetti lesivi e del suo contenuto essenziale, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motiv

Lazzini Sonia 13/09/07
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero del 3775 del  28 giugno 2007 ci insegna che:
 
< i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale cominciano a decorrere, per l’interessato, dalla conoscenza del provvedimento lesivo e della consequenziale lesione della sfera dei suoi personali interessi e non della puntuale conoscenza e/o consapevolezza soggettiva dei vizi che lo inficiano;
 
– è principio P. e risalente che il termine per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi non è collegato alle convinzioni dei destinatari circa la illegittimità dell’attività amministrativa, ma solo alla piena conoscenza del provvedimento lesivo ;
 
          nulla innova, sul punto, l’obbligo, codificato dalla legge n. 241 del 1990, di consentire agli interessati l’accesso alla documentazione, al cui ritardato adempimento l’ordinamento soccorre con la possibilità, accordata all’interessato, di proporre motivi aggiunti, e, con gli stessi, anche di introdurre l’impugnazione di atti e provvedimenti ulteriori rispetto a quelli originariamente impugnati con il ricorso principale.>
 
 
a cura di *************
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3775/2007
Reg.Dec.
N. 10547 ********
ANNO   2001
Disp.vo 196/2007
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10547/2001, proposto da DITTA RICORRENTE. – P. Costruzioni S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale designata capogruppo della costituenda A.T.I. con la P. Industriale di Napoli S.p.a. e dalla P. Industriale di Napoli s.p.a., in persona del legale rappresentate pro tempore, in proprio e quale designata mandante della suindicata costituenda Associazione Temporanea di Imprese, entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti ************ e ****************, con domicilio eletto nello studio dei medesimi in Roma, viale Angelico, 38;
contro
l’Università Ca’ ******* di Venezia, in persona del Rettore pro tempore, non costituitasi in giudizio;
e nei confronti di
Consorzio BETA, in persona del presidente e legale rappresentante p.t., in proprio e quale mandatario del R.T.I. costituito con il BETA BIS. Consorzio di Marghera, rappresentato e difeso dall’********************è con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, viale di Villa Grazioli, n. 13;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo per il Veneto I^ Sez. n. 1428/2001 depositato l’8 giugno 2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto la memoria di costituzione in giudizio e l’appello incidentale del Consorzio BETA;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla udienza pubblica del 27 aprile 2007 il Consigliere ******************, ed udito altresì l’avv. Napolitano;
FATTO E DIRITTO
1. Con bando pubblicato sulla G.U.C.E. il 22 aprile 2000 e sulla G.U.R.I. il 27 aprile successivo, la Università Ca’ ******* di Venezia ha indetto una licitazione privata – da esperirsi con il criterio del prezzo più basso determinato mediante offerta di prezzi unitari – per l’affidamento in appalto dei lavori di recupero e ristrutturazione degli edifici esistenti nelle aree dell’ex macello, mulini ********* e relative adiacenze a San Giobbe Cannareggio 873 – Venezia, destinate a nuova sede della Facoltà di Economia.
La DITTA RICORRENTE. S.p.a. e la P. Industriale di Napoli s.p.a. hanno impugnato davanti al T.a.r. per il Veneto, il provvedimento con cui l’Università Ca’ ******* ha aggiudicato l’appalto in questione all’a.t.i. tra il Consorzio BETA di Ravenna ed il BETA BIS. – Consorzio di Marghera.
Con la sentenza impugnata il T.a.r. Veneto:
– ha dichiarato irricevibile il ricorso principale;
– ha conseguentemente dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso incidentale proposto dall’aggiuidicataria;
– ha condannato le ricorrenti principali alla rifusione delle spese di causa a favore dell’Amministrazione resistente e del controinteressato liquidandole a favore di ciascuno di essi, in 20.000.000 di vecchie lire, oltre IVA e CPA.
2. Contro tale sentenza l’a.t.i. DITTA RICORRENTE. ha proposto appello deducendo: Errores in procedendo – violazione dell’art. 21 legge n. 1034/1971 – Mancato esame di circostanze decisive. Erronea attribuzione delle spese processuali.
Si è costituita in giudizio l’a.t.i. controinteressata chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo appello incidentale.
Alla pubblica udienza del 27 aprile 2007 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione e in data 2 maggio 2007 è stato pubblicato il dispositivo della sentenza.
3. L’appello principale è infondato e va, pertanto, respinto.
4. Occorre esaminare in via pregiudiziale il motivo di appello con cui si contesta la declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado.
4.1. Secondo l’a.t.i. appellante, il termine per impugnare l’aggiudicazione da parte del secondo classificato decorrerebbe solo dal momento in cui quest’ultimo è messo nelle condizioni di “potersi consapevolmente regolare in merito all’utilità della interposizione del gravame”.
In particolare, l’appellante sostiene di aver potuto rilevare i vizi in cui sarebbe incorsa l’Università nella fase di verifica delle offerte potenzialmente anomale, apprezzando così l’illegittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato all’esito di tale verifica solo con la conoscenza delle giustificazioni fornite dall’Ati aggiudicataria per dimostrare la non anomalia dell’offerta presentata. Soltanto in questo momento, quindi, il ricorrente avrebbe conosciuto l’illegittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato dall’Amministrazione.
Il termine per impugnare, pertanto, avrebbe dovuto farsi decorrere secondo l’appellante non dal 18 dicembre 2000 (data in cui risulta provata la conoscenza dell’aggiudicazione), ma dai primi di marzo del 2001 (1 o 2 marzo 2001), data in cui, a seguito di accesso documentale, l’a.t.i. ricorrente ha avuto la possibilità di conoscere i vizi di illegittimità del provvedimento di aggiudicazione (vizi derivanti, appunto, dagli errori commessi dalla stazione appaltante nel ritenere non anomala l’offerta dell’aggiudicataria). Il ricorso, notificato il 27 aprile 2001, risulterebbe allora tempestivo.
4.2. Il Collegio ritiene che le conclusioni cui è giunto il Giudice di primo grado in ordine alla tardività del ricorso proposto dalle odierne appellanti debbano essere confermate.
Ed infatti, per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, il termine per chiedere l’annullamento di un provvedimento decorre dalla conoscenza dei suoi effetti lesivi e del suo contenuto essenziale, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione o dei vizi di legittimità del provvedimento medesimo, conoscenza che è rilevante solo ai fini della successiva proposizione dei motivi aggiunti (Cons. Stato, sez. IV 30 giugno 2004, n.4803; sez. V 10 marzo 2003, n.1275).
A confutazione di quanto dedotto in appello, in ordine alla decorrenza del termine per impugnare solo allorché siano noti i vizi di illegittimità dell’atto, si richiamano le recenti decisioni di questo Consiglio sez. VI, sentenza 21 maggio 2007 n. 2543 e   Sez. V, 2 ottobre 2006, n.5721, che, per quanto qui rileva, hanno precisato che:
– i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale cominciano a decorrere, per l’interessato, dalla conoscenza del provvedimento lesivo e della consequenziale lesione della sfera dei suoi personali interessi e non della puntuale conoscenza e/o consapevolezza soggettiva dei vizi che lo inficiano;
– è principio P. e risalente che il termine per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi non è collegato alle convinzioni dei destinatari circa la illegittimità dell’attività amministrativa, ma solo alla piena conoscenza del provvedimento lesivo (per tutte, Cons. Stato, Sezione V. n. 381 del 2 aprile 1996 e n. 1120 del 4 ottobre 1994);
– nulla innova, sul punto, l’obbligo, codificato dalla legge n. 241 del 1990, di consentire agli interessati l’accesso alla documentazione, al cui ritardato adempimento l’ordinamento soccorre con la possibilità, accordata all’interessato, di proporre motivi aggiunti, e, con gli stessi, anche di introdurre l’impugnazione di atti e provvedimenti ulteriori rispetto a quelli originariamente impugnati con il ricorso principale.
In relazione ai predetti elementi di identificazione del provvedimento, definenti la sua lesività in connessione alla natura essenziale dei suoi effetti e del potere con esso esercitato, e non alla conoscibilità della sua illegittimità, si integra dunque la “piena conoscenza” idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione giurisdizionale ai sensi dell’art. 21 della L.n.1034 del 1971.
4.3. Alla luce dei richiamati precedenti giurisprudenziali, che il Collegio condivide, non possono allora essere accolte le censure formulate nell’atto di appello, che fanno addirittura decorrere il termine per impugnare dal momento in cui, a seguito dell’esercizio del diritto di accesso, si è avuta piena conoscenza degli atti del procedimento e, quindi, dei vizi da cui è affetto il provvedimento.
4.4. In ogni caso, anche se si ritenesse che il termine per impugnare decorra dalla conoscenza non solo degli effetti lesivi dell’atto e del suo contenuto essenziale, ma anche della sua illegittimità, non potrebbe, tuttavia, esservi dubbio sul fatto che per far decorrere il termine sarebbe comunque sufficiente la conoscenza di un solo motivo di illegittimità del provvedimento, potendo i vizi ulteriori essere fatti valere con motivi aggiunti.
Ebbene, nel caso di specie, anche applicando questa tesi, il ricorso proposto dall’A.t.i. DITTA RICORRENTE. dovrebbe essere dichiarato irricevibile. Dalla lettura del ricorso di primo grado, emerge, infatti, che alcuni dei vizi denunciati in tale sede, erano stati conosciuti sin dal 14 febbraio 2001, data in cui è avvenuto il primo accesso documentale agli atti di gara. Ciò vale sia per il primo motivo di impugnazione del ricorso al T.a.r., con cui si contestano i criteri in base ai quali sono state ritenute congrue le voci per spese generali ed utile esposte nell’analisi della controinteressata, sia per il secondo motivo di impugnazione, con cui si contesta che la verifica della eventuale anomalia delle offerte “sopra soglia” non sia stata condotta dall’Università, bensì dalla Commissione di gara.
Anche a ritenere necessaria la conoscenza dei vizi di illegittimità, il termine per l’impugnazione decorrerebbe comunque dal 14 febbraio 2001. Il ricorso di primo grado, di conseguenza, sarebbe comunque tardivo perché notificato il 27 aprile 2001, oltre il termine di decadenza di sessanta giorni.
5. Infondato è anche il motivo di appello con cui si censura il capo della sentenza di primo grado relativo alla condanna alle spese. L’appellante, in particolare, si duole della mancata compensazione delle spese di lite e, comunque, della quantificazione delle stesse, sostenendo che sarebbe state liquidate in misura molto elevate rispetto a quanto normalmente liquidato dal Giudice amministrativo, assumendo così quasi un sapore punitivo.
Il motivo non ha pregio.
La mancata compensazione delle spese processuali tra le parti applica il principio generale per cui le spese seguono la soccombenza e si tratta una decisione insindacabile in appello, non investendo profili di legittimità. (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 8 febbraio 1997 , n. 149).
Ai sensi dell’art. 91 c.p.c., in altri termini, la condanna alle spese della parte soccombente costituisce la regola. In appello, conseguentemente, è censurabile l’esercizio del potere di compensazione ma non anche la mancata compensazione.
La decisone del TAR non può essere riformata neppure sul punto della quantificazione delle spese di giudizio di 1° grado, trattandosi di aspetto essenzialmente discrezionale, censurabile in appello solo in caso di manifesta incongruità, che nella specie deve ritenersi insussistente. Nessuno specifico profilo di incongruità è del resto dedotto dall’appellante che si limita ad invocare genericamente il carattere punitivo delle quantificazione. Al contrario, tenuto conto dell’importo della controversia (oltre 35 miliardi di vecchie lire), la quantificazione operata dal Giudice di primo grado appare congrua.
6. Al rigetto dell’appello principale segue la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale per difetto di interesse.
7. Le spese del giudizio di appello, possono essere compensate tra le parti costituite, sussistendo giusti motivi, tenuto anche conto delle spese già liquidate in primo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
– rigetta l’appello principale;
– dichiara inammissibile l’appello incidentale;
– spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
***************                                      Presidente
**************                                        Consigliere
********************                             Consigliere
********************                                Consigliere
******************                               Consigliere Est.
 
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere                                                                             Segretario
******************                                    ****************
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
il…..28/06/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
****************
 
 
 
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa
 
al Ministero………………………………………………………………………………….
 
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
 
                                                                       Il Direttore della Segreteria

Lazzini Sonia

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