Patti avvocato-cliente sui compensi: la Cassazione fa il punto sulla “forma scritta”

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Sono nulli, ove non redatti in forma scritta, i patti tra avvocato e cliente che stabiliscono i compensi professionali. Anche a voler ritenere che la proposta dell’avvocato sia da identificarsi in una e-mail, per aversi un valido accordo è necessaria l’accettazione del cliente nella medesima forma scritta. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Ordinanza n. 15563/2022.

     Indice

  1. Proposta formulata tramite e-mail
  2. Patto nullo se la forma non è scritta
  3. Mancata operatività dell’art. 13, c. 2, l. n. 247/2012
  4. Omessa accettazione da parte della cliente

1. Proposta formulata tramite e-mail

Un avvocato aveva citato in giudizio una Federazione propria cliente sollevando la questione se l’accordo sulla quantificazione del proprio compenso potesse dirsi concluso per effetto della proposta, formulata dal medesimo attore tramite e-mail, seguita dalla prosecuzione dell’incarico professionale.

2. Patto nullo se la forma non è scritta

Lo stesso avvocato, nella propria tesi difensiva, lo nega, richiamando l’art. 2233, c. 3, c.c. secondo cui “sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.

3. Mancata operatività dell’art. 13, c. 2, l. n. 247/2012

Per quanto afferisce all’art. 13, c. 2, l. n. 247/2012 (“il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale”), a dire del medesimo avvocato sarebbe inapplicabile ratione temporis, essendo stato conferito l’incarico professionale con la procura a margine dell’atto di precetto nel dicembre 2012 (prima, dunque, della entrata in vigore della norma suddetta). Sul punto la Corte ha dato continuità a un precedente, nella cui motivazione si legge che l’art. 2233 c.c. “non può ritenersi implicitamente abrogato dall’art. 13, comma 2, della 1. n. 247 del 2012: tale norma stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto”. Infatti, secondo l’interpretazione preferibile, la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nel c. III dell’art. 2233 c.c. In base a tale interpretazione, la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all’atto del conferimento dell’incarico (Cass. n. 11597/2015). Si è osservato che se il legislatore avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nel c. III dell’art. 2233 c.c., il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto (Cass., n. 24213/2021).

4. Omessa accettazione da parte della cliente

Secondo la Corte di Cassazione, anche a voler ritenere che la proposta sia da identificarsi nella e-mail dell’avvocato (e sia dotata, quindi, della forma scritta), difetterebbe l’accettazione nella medesima forma, posto che dal successivo carteggio intercorso tra le parti non è dato evincere la formazione del consenso sul preventivo di cui alla menzionata proposta. Nelle comunicazioni successive, infatti, l’avvocato tornava, infatti, a richiedere i propri compensi sulla base del d.m. n. 55/2014, mentre la cliente lo sollecitava al deposito di una “dettagliata nota spese per ciascun giudizio patrocinato”, “al fine di quantificare le sue spettanze”. Anche a voler trascurare il profilo della forma scritta, per il collegio il contenuto di tali dichiarazioni è, all’evidenza, di per sé idoneo ad escludere la possibilità di conferire al silenzio serbato dalla cliente sulla proposta valenza di comportamento concludente nel senso della relativa accettazione.

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