La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25780 del 2 luglio 2024, ha chiarito che, in relazione all’omicidio stradale, la revoca della patente può essere applicata solo dopo la valutazione della pericolosità del conducente.
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Indice
1. I fatti
Il Tribunale di Agrigento, in seguito a patteggiamento, ha applicato all’imputato, in relazione al reato di omicidio stradale, la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. Il giudice ha inoltre disposto la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi dell’art. 222 c.d.s.
Avverso tale sentenza, è stato proposto ricorso per Cassazione dall’imputato per violazione di legge ex art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. in relazione alla espressione del consenso da parte dello stesso in relazione alla misura della pena detentiva applicata: il richiedente aveva personalmente sottoscritto una richiesta di applicazione di una pena di mesi sei di reclusione, cui aveva prestato adesione il Pm.
L’accordo poi ratificato dal giudice che ne aveva sollecitato la revisione rispetto all’originaria formulazione, non era riconducibile alla volontà dell’imputato, assente alla udienza preliminare nella quale l’accordo era stato riformulato, né lo stesso poteva considerarsi rappresentato dal difensore procuratore speciale, in quanto la procura era stata rilasciata in epoca anteriore alla proposta di concordato avanzata personalmente dall’imputato.
Inoltre, è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente che, oltre a non essere oggetto di accordo, risultava del tutto inadeguata, in quanto non teneva conto delle circostanze del caso concreto e in particolare che all’imputato era stata riconosciuta la circostanza attenuante del sinergico contributo causale del conducente antagonista nella determinazione dell’evento, nonché le attenuanti generiche.
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2. Omicidio stradale e revoca della patente: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, dichiara non fondato il primo motivo in quanto, pur non essendo presente l’imputato, questo risultava rappresentato dal proprio difensore, il quale, in realtà, era anche munito di procura speciale che lo legittimava a proporre la definizione del giudizio con le forme della pena patteggiata.
Costante giurisprudenza ha sancito che “l’imputato e il pubblico ministero possono congiuntamente modificare l’accordo già raggiunto, sostituendolo con nuovo accordo, finché il primo non venga recepito con la sentenza” e che “la procura speciale con la quale viene conferito al procuratore anche il potere di richiedere l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. non deve necessariamente contenere l’indicazione della misura della pena. Al contrario, essendo la pena rimessa all’accordo delle parti – secondo una logica pattizia – sulla base di valutazioni anche tecnico-giuridiche, non può, di regola, essere anticipata nella procura stessa“.
Appurato ciò, la Corte passa alla valutazione della seconda doglianza, la quale viene dichiarata fondata.
Viene chiarito che con la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. devono essere sempre applicate le sanzioni amministrative accessorie che ne conseguono di diritto, anche se non oggetto di accordo tra le parti.
Pertanto, “il giudice è tenuto a provvedere anche di ufficio sull’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie che conseguono alla pronuncia di rito, trattandosi di tema estraneo all’accordo delle parti, sul quale il giudice è tenuto ad una valutazione puntuale e che risulta autonomamente impugnabile per vizi di legittimità anche oltre i limiti imposti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.“.
Tuttavia, la Corte Costituzionale ha pronunciato la illegittimità dell’art. 222, comma 2, quarto periodo c.d.s. in quanto non prevedeva la possibilità per il giudice di disporre, in alternativa alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, quella temporanea della sospensione, anche qualora ricorrano ipotesi aggravate tra quelle contemplate dalle due disposizioni incriminatrici di cui agli art. 589-bis e 590-bis cod. pen., diverse dalla guida in stato di ebbrezza con valori particolarmente elevati o dalla guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti, eliminando, per tali evenienze, l’automatismo sanzionatorio originariamente previsto.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto e dal quadro normativo modificato dalla Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione sottolinea che, in assenza delle aggravanti sopracitate, “qualora il giudice applichi la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in luogo di quella, più favorevole, della sua sospensione, deve dare conto, in modo puntuale, delle ragioni che, in base dei parametri di cui all’art. 218, comma 2, c.d.s., lo hanno indotto a ritenere il comportamento dell’imputato altamente pericoloso per la vita e per l’incolumità delle persone“.
La Suprema Corte ha ritenuto che il giudice del patteggiamento è incorso in motivazione apparente e insufficiente in quanto, dopo aver accertato il concorso di colpa della persona offesa, ha omesso di dare conto delle ragioni per cui abbia applicato la più severa delle sanzioni amministrative applicabili.
Per questi motivi, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione concernente la revoca della patente, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Agrigento.
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