Omesso versamento di ritenute certificate

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Massima:

Nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi.

1. Questione

La Corte di Appello ha confermato la pronuncia di colpevolezza del legale rappresentante di società, in ordine al reato di cui all’art. 10bis del D.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto perché ometteva di versare all’erario, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai lavoratori dipendenti.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il legale rappresentante di società, che è stato accolto. Infatti, la Cassazione si è rifatto ad un precedente orientamento, in base al quale il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni del lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale e che solo con il maturare di tale termine si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale. L’onere della prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate, trattandosi di elemento costitutivo del reato, grava, senza dubbio alcuno, sulla pubblica accusa, anche se può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali o testimoniai! oppure attraverso la prova indiziarla” (Sez. 3, Sentenza n. 33187 del 12/06/2013 Cc. dep. 31/07/2013 Rv. 256429; cfr. altresì Cass. pen. sez. 3, n.1443 del 15.11.2012). Nel caso di specie, la Corte di merito ha affermato che “la prova della reale corresponsione al dipendenti delle retribuzioni soggette alle trattenute in favore dell’INPS e della reale effettuazione di tali trattenute è legittimamente ricavabile dalla attestazione fornitane dallo stesso appellante con la relativa documentazione con i prospetti che ritualmente inviò a suo tempo all’ente creditore, in adempimento all’obbligo normativamente imposto; del resto, non vi è documentazione di diffide o cause di lavoro promosse da dipendenti che l’appellante abbia potuto produrre per contrastare la credibilità delle precedenti proprie attestazioni”.

2. Omissione di versamento di ritenute e reato

L’art. 10bis D. Lgs. 74/2000 sanziona “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti..”. Tale norma fu inserita nel D. Lgs. 74/2000 dall’art. 1, comma 414, della L. 311/2004. Si era, invero, creato un “vuoto normativo”. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, l’omesso versamento delle ritenute d’acconto operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei propri dipendenti, sanzionato dall’art. 3 del D.L. 429/1982, conv. in L. 516/1982, non era più previsto dalla legge come reato a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 74/2000 che ha diversamente disciplinato la materia dei reati tributari, e nel cui testo non figurano fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella di cui al citato art. 2 della L. 516/1982, espressamente abrogata dall’art. 25 del D. Lgs. 74/2000 (cfr. Cass. sez. 3, 29.12.2000 n. 3714; conf. Cass. sez. 3 n. 25875 del 7.7.2010).

Ifatti l’art. 10bis del D. Lgs. 74/2000, pur costituendo “una nuova fattispecie criminosa introdotta o reintrodotta dalla novella citata senza alcuna continuità normativa con le disposizioni previgenti” (cfr. Cass. pen. Sez. 3 n. 25875/2010 cit), nel colmare il vuoto normativo operava indubitabilmente sullo stesso piano della norma abrogata (D.L. 429/1982, art. 2, comma 2, conv. in L. 516/1982) che sanzionava “chiunque non versa all’erario le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate”. La “ratio” era evidentemente quella di impedire, attraverso la sanzione penale, che il datore di lavoro omettesse di versare le somme trattenute, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni corrisposte al lavoratori.

Sulla stessa falsariga si muoveva, del resto, anche il D.L. 12 settembre 1982, n. 463, conv. in L. 638/1983 che prevedeva ugualmente la sanzione penale per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. E’ noto il dibattito sviluppatosi su tali ritenute, sfociato anche in contrasti giurisprudenziali, in ordine alla necessità dell’effettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori; tanto che fu necessario l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 27641 del 2003, affermarono il principio che non fosse configurabile il reato di cui alla L. 638/1983 art. 2, comma 1 senza il materiale esborso delle somme dovute al dipendente.

Il legislatore, nel reintrodurre la sanzione penale di cui all’art. 10 bis citato con la L. 311/2004, non poteva non tener conto della formulazione della norma di cui all’art. 2 della L. 516/1982, nonchè dei contrasti e delle incertezze cui sopra si è fatto cenno anche in relazione alla L. n. 516 del 1983. Sicchè, nel riformulare la norma sanzionatoria, ha inteso esplicitare in modo assolutamente chiaro che la sanzione penale trova applicazione soltanto sulle ritenute effettivamente operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti. Di qui il riferimento esplicito alle “certificazioni rilasciate ai sostituiti” in luogo della più generica formula contenuta nell’art. 2 del D.L. 429/1982, conv. in L. 516/1982 (“le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate..”).

Se dunque la norma di cui all’art. 10bis del D.Lgs. 74/2000 si propone di sanzionare l’omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non vi è ragione per ritenere che la prova di ciò debba ricavarsi solo dalle “certificazioni” senza possibilità di ricorrere ad “equipollenti”. L’onere della prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate, trattandosi di elemento costitutivo del reato, grava, senza dubbio alcuno, sulla pubblica accusa, anche se può assolverlo sia mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali oppure attraverso la prova indiziaria.

Va ricordato che la giurisprudenza di legittimità del resto ha già in precedenza evidenziato che la norma di cui all’art. 10 bis cit. non si configura come una sorta di falso ideologico (come sostanzialmente assume il ricorrente) ma piuttosto come omesso versamento di somme indebitamente trattenute. Tanto che con la sent. n. 10120 del 2010 è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma, per asserito contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la previsione di uno specifico reato per il mancato pagamento di un debito per imposte sostitutive dovute dal sostituito, e non anche per il mancato pagamento di un debito irpef o iva anche se di importo superiore, trova logica e razionale giustificazione nel profilo di indebita appropriazione di somme altrui di cui si ha la detenzione.

Anche con la sentenza di n. 27718 del 2012, è stata ritenuta corretta la valutazione dei giudici di merito secondo cui “la prova della certificazione nel caso di specie risultasse dalla dichiarazione effettuata dall’imputato nel modello 770, nel quale, in veste di sostituto di imposta, l’imputato aveva dichiarato l’ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi di lavoro”.

Infine, tale indirizzo non è certo contrastato dalla sentenza n. 25875 del 2010, la quale, a parte il fatto che prende in esame il momento consumativo del reato di omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti, non richiede affatto che la prova delle stesse debba essere data dalla produzione delle certificazioni medesime.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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