Numero chiuso e tipicità diritti reali: deroga in funzione sociale

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In ragione della funzione sociale, può l’autonomia contrattuale scardinare la rigidità di tali principi?
L’esigenza di certezza dei traffici giuridici e di conseguenza la tutela dei terzi, costituiscono le ragioni poste a fondamento della rigidità del numero chiuso e della tipicità che caratterizzano, per tradizione e per necessità, i diritti reali. Il presente contributo, invece, è orientato a valorizzare il principio personalistico in combinato al principio solidaristico in ragione della realizzazione degli obiettivi costituzionali della funzione sociale e dell’accessibilità a tutti  a cui sono soggette non solo la proprietà e con essa il sistema dei diritti reali ma, anche la stessa autonomia privata. Da tale comunanza di principi e di fini si ricava la non incompatibilità tout court tra autonomia contrattuale e diritti reali. Invero, è la Costituzione stessa, con il complesso dei valori e delle garanzie che ne discendono a legittimare l’intervento dell’autonomia dei privati tutte le volte in cui particolari esigenze sociali siano realizzabili in maniera più efficiente da quest’ultima.
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Indice

1. Numero chiuso e tipicità


Come noto, i principi del numero chiuso e della tipicità dei diritti reali non sono espressamente previsti dalla legge ma, desunti sistematicamente dalle norme che disciplinano la proprietà ex art. 832 c.c. e la circolazione dei diritti reali per mezzo della trascrizione ex art. 2643 e ss c.c. dalle quali si ricava il principio della tassatività degli atti trascrivibili. La ratio sottesa a tali principi la si rinviene nell’esigenza di garantire la certezza dei traffici giuridici, finalizzata alla tutela dei terzi, i quali, proprio in ordine alle caratteristiche strutturali della proprietà e dei diritti reali in genere (assolutezza degli effetti, immediatezza, diritto di sequela)  necessitano di una tutela forte che solo la legge è in grado di garantire (esigenza di conoscibilità e controllo degli effetti). Tale principio è ricavabile dal disposto dell’art. 42 Cost. nella parte in cui si  dice che «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge (riserva di legge) che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti (tipicità) allo scopo di assicurarne la funzione sociale e l’accessibilità a tutti (obiettivi di interesse generale che solo la legge è in grado si assicurare)». Ne consegue che, il principio del numero chiuso e di tipicità si considerano in senso relativo in quanto, operano solo con riferimento all’autonomia contrattuale mentre, retrocedono in riferimento alla legge. I diritti reali minori costituiscono un esempio concreto di quanto affermato poc’anzi (codificazione per legge) dal momento che essi stessi costituiscono dei limiti al potere insito al diritto di proprietà.
Sul punto, nonostante gli interventi della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, volti a consacrare la rigidità di entrambi i principi e la conseguente impossibilità creatrice dell’autonomia contrattuale (su tutte Cassazione sez. unite n. 28972 del 17.12.2020), il dibattito non può dirsi concluso. Infatti, vi sono alcune riflessioni che meritano attenzione, in quanto orientate sulla capacità dell’autonomia negoziale di incidere in maniera innovativa in tale materia desunta non solo dal principio della meritevolezza degli interessi ex art. 1322 c.c. ma, dalla realizzazione di quegli obiettivi che la Costituzione impone di raggiungere: funzione sociale e accessibilità a tutti.


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2. Il diritto di proprietà e le “eccezioni” disciplinate per legge


Il diritto di proprietà, nel nostro ordinamento giuridico, a differenza di altri ordinamenti (ci si riferisce in particolar modo all’art. 1 Prot. 1 della CEDU che identifica la proprietà come diritto fondamentale) non è considerato un diritto di natura fondamentale, da tutelarsi quindi in maniera tendenzialmente assoluta in quanto valore cardine costituzionale, essendo svincolato, sul piano dei valori fondamentali, dalla persona. Infatti, la proprietà è disciplinata dagli artt. 42 e ss. della Costituzione nella parte dedicata ai rapporti economici, rivelando in tal modo, l’impostazione valoriale ad essa dedicata e che afferisce al piano degli affari. Tale impostazione, però, non vanifica l’accezione liberale sottesa a tale diritto che si sostanzia nella conquista dell’indipendenza e dell’autonomia dell’individuo nei confronti del potere smisurato dello Stato assoluto, temporalmente collocata all’indomani della rivoluzione francese.
Nell’accezione storica la proprietà è stata sempre identificata con il potere, inteso come sinonimo di ricchezza e indipendenza. Proprio queste caratteristiche, vengono bilanciate dal dettato costituzionale che, in ragione di esigenze pubblicistiche non consente l’esercizio del diritto di proprietà in maniera illimitato e assoluto. La ratio di tale impostazione la si rinviene nel su menzionato principio personalistico, trait d’union dell’intero sistema normo-valoriale a cui la funzione sociale e l’accessibilità sono serventi.
L’art. 832 c.c. statuisce le caratteristiche strutturali e funzionali del diritto di proprietà che si sostanziano, rispettivamente, nel diritto di godimento e di disposizione in modo pieno ed esclusivo delle cose (es. il diritto di escludere gli altri ex art. 841 c.c.), di rivendicarle da chiunque le possieda o detenga ex art. 948 c.c. o negare qualsiasi apparenza di diritto invocato da altri ex art. 949 c.c., con i soli limiti disciplinati dalla legge orientati a garantire la funzione sociale e l’accessibilità a tutti ex art. 42 Cost. Da tali disposizioni si evince che, il titolare del diritto di proprietà non incontra alcun limite ai propri diritti, fatta eccezione per quelli espressamente previsti dalla legge, ancorati funzionalmente alla previsione costituzionale (es. espropriazione per pubblico interesse ex art. 834 c.c. requisizioni ex art. 835 c.c., immissioni ex art. 844 c.c.) o vietati in quanto finalizzati esclusivamente a nuocere o recare molestia ad altri ex art. 833 (divieto di atti emulativi inteso come espressione concreta del generale divieto di abuso del diritto).   
In linea di continuità, le disposizioni che disciplinano gli atti soggetti a trascrizione, forniscono due importanti informazioni: il principio di pubblicità (art. 1350 c.c.) degli atti che inerisce ai diritti reali al fine di renderne conoscibile la titolarità, il contenuto e la circolazione (concretizzazione del carattere dell’assolutezza) e al contempo la tassatività degli atti trascrivibili da cui a fortiori, si ricava la conferma del numero chiuso dei diritti reali. Invero, sul punto, è utile richiamare la disposizione dell’art. 2965 cod. civ. la quale afferma che  “deve al pari rendersi pubblico (…) ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati dall’art. 2643”. Tale disposizione, sebbene limitata ai soli beni e diritti immobiliari, pare, in realtà, aprire verso la possibilità di incidere creativamente sullo schema dei diritti reali, nella parte in cui legittima, tramite l’equiparazione degli effetti, atti o provvedimenti diversi nel nomen iuris e di conseguenza nel tipo dai diritti reali e certamente sconfessa l’equazione diritti reali-trascrizione.
L’intangibilità del numero chiuso e della tipicità dei diritti reali è poi messa in discussione da nuovi istituti emersi nel tempo da particolari prassi (multiproprietà-cessione di cubatura) interne o istituti di altri ordinamenti adottati internamente perché funzionali al raggiungimento di scopi particolari (trust).
La multiproprietà, oggi disciplinata dal codice del consumo ex art. 69, è un istituto sorto dalla prassi del commercio immobiliare rivolto a soddisfare esigenze di flessibilità e di temporaneità garantendo, allo stesso tempo, la sicurezza dell’esclusività del diritto di proprietà anche se limitata nel tempo. La tesi del diritto reale atipico riconnette la multiproprietà al potere creativo dell’autonomia contrattuale in ragione del principio della meritevolezza degli interessi ex art. 1322 c.c. Tale tesi, in verità, non ha ricevuto l’avallo della giurisprudenza, non solo per l’intangibilità del numero chiuso e della tipicità ma, per le caratteristiche strutturali e funzionali che caratterizzano la multiproprietà. Infatti, essa viene ricondotta all’istituto della comunione ordinaria (su tutte Cass. Civ., sent. 16 marzo 2010, n. 6352) e l’elemento della turnazione (frazionamento temporale) è considerato come il modo in cui si esprime la partecipazione, in deroga alla contemporaneo uso della cosa ex art. 1102 c.c. Ne consegue che, in relazione a tale istituto, si esclude ogni tipo di collegamento con il potere dell’autonomia negoziale e si mitiga anche l’elemento innovativo in se, poiché lo si riconduce all’istituto della comunione ordinaria, le cui norme dispositive aprono ad eccezioni al frazionamento e al requisito della contemporaneità della partecipazione.
Molto dibattuta è stata la questione sull’ammissibilità del trust internazionale, istituto non espressamente previsto nel diritto interno ma, che può essere ricondotto ai negozi di destinazione ( art. 2645 ter).
I negozi di destinazione si caratterizzano per la costituzione di un patrimonio separato destinato espressamente alla realizzazione di un determinato scopo meritevole di tutela. Primi esempi di patrimonio separato possono rinvenirsi negli istituti della fondazione (artt. 14 ss), della società (artt. 2247 ss), nel fondo patrimoniale (art. 167 ss c.c.). La destinazione del patrimonio alla realizzazione di uno scopo determinato, comporta una limitazione al principio della responsabilità del debitore ex art. 2740 c.c. secondo il quale quest’ultimo risponde dei debiti con tutto il suo patrimonio, poiché il patrimonio separato è aggredibile solo in relazione ai crediti riconducibili allo scopo perseguito (risulta sempre possibile, ove ce ne fossero i presupposti, agire con l’azione revocatoria ex artt. 2900 ss c.c.).  
Il trust è un contratto di matrice anglosassone con il quale un soggetto (settlor) trasferisce ad un terzo (trustee) la proprietà di uno o più beni, con l’obbligo di amministrarli nell’ottica del raggiungimento di uno scopo o a beneficio di qualcuno (beneficiary). Disciplinato dalla Convenzione dell’Aja (1 luglio del 1985), ratificata con l. n. 364/1989, è stato oggetto di una lunga disputa vertente sull’ammissibilità o meno dell’istituto. A favore della tesi contraria all’ammissibilità si sosteneva che non essendo disciplinato dal diritto interno, tale istituto non potesse essere ammesso in quanto in contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali, desunta anche dalla non trascrivibilità in ragione del principio di tassatività degli atti soggetti a trascrizione e non da ultimo, in contrasto con la garanzia generale in favore dei creditori. Invero, la giurisprudenza maggioritaria ammette l’istituto in ragione della l. n. 364 del 1989 che, ratificando la Convenzione dell’Aja, si ritiene abbia recepito il trust legittimandone l’ammissione (superamento del giudizio di meritevolezza).
Destano particolare interesse per lo scopo del presente lavoro le norme che disciplinano le servitù (artt. 1031 ss c.c.) con particolare riferimento alla possibilità del titolo di incidere sul contenuto tipico del diritto scardinandone la rigidità, se non tout court, in ragione della realizzazione dei principi costituzionali della funzione sociale e dell’accessibilità a tutti che permeano il diritto di proprietà e i diritti reali in genere. Proprio tali principi hanno condotto a legittimare la creazione di una servitù di passaggio in deroga al disposto del co. II dell’art. 1052 c.c. che regola la servitù coattiva di passaggio ancorata, però, esclusivamente ad esigenze di coltura e al conveniente uso del proprio fondo, in favore di una categoria di persone (disabili) in ragione del principio solidaristico ex art. 2 Cost. e del diritto fondamentale alla salute ex art. 30 Cost. (Corte cost. 29 aprile 1999, n. 167).
Con riferimento alla possibilità che il titolo possa incidere sul principio di tipicità, si richiama la fonte contrattuale espressamente ammessa come titolo e il disposto dell’art. 1063 c.c. che legittima per l’appunto il contratto (..sono regolati dal titolo) ad intervenire sull’estensione e sull’esercizio delle servitù subordinando l’applicazione delle norme seguenti nel solo caso in cui non vi fosse un titolo. Ne consegue che, sebbene il principio del numero chiuso non venga messo in discussione, poiché si opera sempre in materia di servitù e dunque di diritti reali disciplinati per legge, stessa cosa non può affermarsi in ordine al principio di tipicità, dal momento che sono frequenti i rinvii normativi al titolo e dunque anche al contratto in ordine alla possibilità di  incidere sul contenuto del diritto di servitù, nel rispetto dei principi che regolano la materia.

3. Autonomia negoziale e funzione sociale


L’incapacità dell’autonomia negoziale di creare nuovi diritti reali (superamento del numero chiuso) e di incidere in modifica sul contenuto di quelli presenti (tipicità), oltre che dai principi su detti, per opinione maggioritaria si ricava dalla relatività degli effetti a cui è soggetto il contratto così come disposto dall’art. 1372 c.c. e dall’inidoneità della fonte contrattuale a garantire le esigenze di certezza dei traffici giuridici e la tutela dei terzi anche in ordine alla funzione sociale e all’accessibilità a tutti ex art. 42 Cost. Proprio la riserva di legge sancita costituzionalmente in ordine ai modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà privata, sembrerebbe la norma di chiusura verso l’operatività dell’autonomia negoziale in tale materia. Invero, da tale disposizione si possono effettuare ulteriori e diverse considerazioni. Ad esempio si può ragionare in relazione al significato stesso di legge e valutare se la riserva, così come è logico desumere, possa essere intesa come relativa e dunque estendersi anche alla legge regionale, alle fonti comunitarie direttamente vincolanti e alle fonti sub-legislative richiamate espressamente dalla legge. Ma, si può svolgere l’analisi in maniera più approfondita tenendo in considerazione le espressioni indicate nel disposto dell’art. 42 Cost. Ci si riferisce alle locuzioni, riconoscere e garantire. L’utilizzo del verbo riconoscere, infatti, non può essere sottovalutato. Nella Costituzione, anche della famiglia si dice che venga riconosciuta. L’utilizzo di tale termine ci fa pensare ad un qualcosa che preesiste all’ordinamento positivo (diritto naturale) o che può nascere e costituirsi a prescindere da quest’ultimo. La legge, infatti, secondo il dettato dell’art. 42 Cost. deve essere intesa nel senso che operi non nella fase costitutiva del diritto ma, nella fase immediatamente successiva a questa al fine di garantirne la disciplina (modi di acquisto, godimento e limiti) per assicurare la realizzazione degli obiettivi costituzionali: funzione sociale e accessibilità a tutti. Proprio la realizzazione di tali obiettivi può considerarsi un ulteriore elemento a supporto della possibilità che l’autonomia contrattuale possa incidere creativamente in ordine ai diritti reali. Infatti, bisogna considerare che, è la Costituzione stessa ad orientare il sistema verso la centralizzazione della persona e ad impostare l’organizzazione legislativa in modo conforme ai principi dell’autonomia e del decentramento (ex art. 5 Cost.). Inoltre, l’art. 118 Cost. ultimo co. statuisce espressamente la capacità dei cittadini, individualmente o associati, di svolgere attività di interesse generale nel rispetto del principio di autonomia da una parte e del principio di sussidiarietà dall’altra (pluralismo sociale ex art. 2 Cost.). La partecipazione dei privati all’esercizio di attività a rilievo pubblicistico oltre che discendere direttamente dalla Costituzione, la si può desumere dall’organizzazione dell’attività della pubblica amministrazione. Infatti, l’art. 1 della legge 241/90 sui principi dell’azione amministrativa al co. 1 ter “ i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei princìpi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge.” disciplina la partecipazione dei privati all’esercizio dell’attività pubblicistica legittimando l’idoneità e la capacità dell’autonomia privata nella realizzazione di fini di interesse generale attraverso il rispetto dei principi cardine dell’azione amministrativa (efficacia, economicità, trasparenza, pubblicità, imparzialità..). Esempio concreto di tale impostazione è sicuramente il terzo settore (d. lgs. n. 117/2017) che è improntato al bene comune, alla coesione, alla protezione sociale, all’inclusione e al pieno sviluppo della persona (finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale) in perfetta coerenza con il dettato dell’art. 41 Cost. che sancisce i valori dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità che permeano l’iniziativa economica privata.

4. Conclusione


Per quanto fino ad ora espresso, si può ragionevolmente ritenere desueta la rigidità dei principi del numero chiuso e della tipicità. Infatti, se la legge è funzionale alla realizzazione degli obiettivi costituzionali della funzione sociale e dell’accessibilità a tutti, a fortiori, attraverso la valorizzazione del principio personalistico, a sua volta improntato al principio solidaristico, in modo coerente con il favor partecipationis, si può affermare che anche l’autonomia privata possa incidere sulla struttura e sul contenuto dei diritti reali, tutte le volte in cui quest’ultima si renda maggiormente utile alla concretizzazione della funzione sociale e/o dell’accessibilità a tutti, così come espresso dalla voluntas della Costituzione. Tanto è dimostrato dal complesso dei valori e dei fini a cui l’intera attività privata è improntata e che non desta particolari difficoltà garantiste in ordine alla tutela della certezza dei traffici giuridici e di converso alla tutela dei terzi. Se, infatti, i principi che regolano l’azione privata vengono rispettati, non si vede come l’autonomia privata possa incidere negativamente in tal senso. Del resto, anche la dicotomia effetti reali-effetti obbligatori e dunque effetti erga omnes ed effetti vincolanti solo tra le parti ex art. 1372 c.c. può dirsi in via di superamento. Con questo non si vuole affermare che si è di fronte allo scardinamento delle strutture tipiche dei diritti reali e del contratto ma, che in particolari situazioni dove si verificano determinate esigenze sociali e solidaristiche, l’autonomia privata possa non risultare in contrasto con la struttura dei diritti reali sulla base della condivisione degli stessi obiettivi pubblicistici e sul rispetto degli stessi principi costituzionali. Ne consegue che, si può trarre dalla Costituzione stessa la base legislativa per legittimare l’intervento dell’autonomia privata anche nel campo dei diritti reali quando questa risulta essere maggiormente efficiente, coerente, conforme al perseguimento degli obbiettivi costituzionali di solidarietà sociale.

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Bibliografia

  • G. Alpa, M. Bessone, A. Fusaro, Tipicità e numero chiuso dei diritti reali. Posizioni della dottrina, orientamenti giurisprudenziali, in www.altalex.com;
  • A. Coucourde, A. Vercellone, Atipicità del contratto e tipicità dei diritti reali: il nodo della meritevolezza dell’interesse, Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 16, febrero 2022;
  • T. Facciolini, Tipicità dei diritti reali e autonomia negoziale, riv. Diritto & Diritti, 25.10.2021, su https://www.diritto.it/tipicita-dei-diritti-reali-e-autonomia-negoziale/;
  • P. Fava, Diritti reali: trattato teorico-pratico, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019;
  • F. Gazzoni, Equità e autonomia privata, Key Editore, 2019;
  • A. Lepore, Autotutela e autonomia negoziale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019;
  • F. Mezzanotte, L’uso esclusivo e il numerus clausus dei diritti reali secondo le Sezioni Unite, Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 16 bis, junio 2022;

Francesca Fuscaldo

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