Note diacroniche sulla pronuncia n. 40/2013 della Consulta

Corsi Giuseppe 27/02/14
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L’oggetto della sentenza n.40 del 2013 emessa dalla Corte Costituzionale sussiste nella subordinazione dell’indennità di accompagnamento al possesso della carta di soggiorno.

La normativa impugnata viene dichiarata illegittima nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno, attualmente corrispondente al permesso di soggiorno CE (in seguito alla riforma del 2007), la concessione ai cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello stato dell’indennità di accompagnamento e della pensione di inabilità.

I soggetti della limitazione di tale situazione giuridica erano gli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio, aventi oggi diritto all’indennità di accompagnamento per invalidità civile al 100% ex l.18/80 e alla pensione di inabilità ex l.118/71.

Il primo problema interpretativo viene offerto dal collegamento di tali prestazioni con la nozione di “cittadinanza” o meno.

Occorrerà, in secondo luogo, seguire la via interpretativa scelta dalla Consulta.

Nel nostro ordinamento, la posizione dello straniero è garantita dall’art.2 Cost. , sui diritti inviolabili dell’uomo, e dall’art.10, II comma, che pone un doppio vincolo: a livello formale, cioè viene imposto lo strumento della legge ordinaria su tali tematiche, e a livello sostanziale, inerente la conformità alle norme e e ai trattati internazionali. Dottrina e giurisprudenza, in passato, si sono divise sulla prevalenza della fonte costituzionale in queste problematiche, ovvero se fosse preponderante il riferimento all’art.2 o all’art. 10. Attualmente, vi sono situazioni intermedie, per cui da una parte convenzioni e trattati internazionali garantiscono diritti che spettino a chiunque, cittadini e stranieri; dall’altra, il principio di assistenza sociale, prima tra tutte la CEDU, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pone un generale divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità. Il problema interpretativo ulteriore si pone con riguardo all’art.3, che parla di “cittadini”. A tal proposito, la Consulta ha affermato, con s. n.120/67, che l’art.3 è connesso con l’art.2 e l’art.10, nonché con l’art.14 della CEDU relativo al principio di non discriminazione.

Inoltre, per la sentenza n. 104/69 sussiste un doppio binario di operatività del principio di uguaglianza: rectius, essa risulta assoluta ed inderogabile sui diritti inviolabili dell’uomo, mentre per altre situazioni giuridiche sono ammesse differenziazioni di trattamento in base al principio di ragionevolezza, fondato su un diverso rapporto con lo Stato (il cittadino, ad es., ha un rapporto originario e permanente con lo Stato , senza limiti temporali o di residenza). I principi di uguaglianza e di non discriminazione, comunque, pongono vincoli alla discrezionalità del legislatore. Più precisamente, oggi, oltre agli artt. 10 e 11 Cost. , consta anche il 117, I comma, per cui la potestà legislativa di Stato e regioni deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

A tal riguardo, si rileva che sono numerose le norme internazionali ratificate dall’Italia che impongono parità di trattamento tra cittadini e stranieri nell’accesso alle prestazioni sociali.

Tutto ciò premesso, si osserva che il ragionamento dei giudici nella pronuncia in oggetto poggia su una forma di interpretazione analogica: difatti, la s. n.187 del 2010 dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art.80 , c.19, della l.388/00 nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello stato dell’assegno mensile di invalidità ex art.13 della l.118/71, inerente mutilati ed invalidi civili. Quindi, ciò, a maggior ragione, riguarda la pensione di inabilità, dal momento che tale provvidenza si caratterizza per la totale inabilità lavorativa del beneficiario, di fronte alle condizioni di salute meno gravi che invece costituiscono il presupposto dell’assegno di invalidità.

La previsione ostativa oggetto di censura introdurrebbe, dunque,un fattore discriminatorio in contrasto con la CEDU e, quindi , con l’art. 117, I comma, della Costituzione.

Si ritiene che questo sia il punto focale da cui interpretare e commentare la pronuncia in oggetto.

Ora, è possibile studiare la vicenda di tale normativa in ottica diacronica.

A tal riguardo, si rileva che alcuni commentatori hanno definito la titolarità oggetto della declaratoria come “prerequisito” richiesto agli stranieri per l’esercizio di questi veri e propri diritti soggettivi in ambito sanitario.

In particolare, la normativa oggetto della pronuncia comportava una rilevante restrizione e, in più, derogava all’art.41 del D.lgs. n.286/98, comportando un’effettiva disparità di trattamento tra cittadini e stranieri.

Si osserva, allora, che la Corte aveva già dichiarato incostituzionali gli artt. 80, c. 19, della l.388/00 e 9 TU immigrazione nella parte in cui non era permessa l’erogazione della pensione di invalidità e dell’indennità di accompagnamento agli stranieri non in possesso dei requisiti di reddito fissati per il permesso di soggiorno CE relativamente ai soggiornanti di lungo periodo (cfr. ss. nn. 11/09 e 306/08, nonché 324/06). La dichiarazione di incostituzionalità , con le ss. nn. 187/10 e 329/11, ha investito anche la parte in cui la titolarità della carta di soggiorno era il presupposto della concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello stato dell’assegno mensile di invalidità ex art.3 L. n.118/71, così come dell’indennità di frequenza ,e xart. 1 L.289/90.

Ciò perchè ogni discriminazione tra cittadini e stranieri che soggiornino legalmente nel territorio nazionale risulta contraria, appunto, al principio di non discriminazione ex art.14 CEDU qualora sia fondata su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti.

Ecco, dunque, ove si fonda l’interpretazione analogica prima evidenziata: la Corte, cioè, richiama un “ordine di rilievi” identico, con riferimento alla sentenza n. 329/11.

Dunque, la situazione di fatto sofferta da invalidi e portatori di handicap concerne il diritto alla salute ex art.32 Cost. , nonché il dovere di assistenza ex art.2 Cost.

Tutto ciò premesso, ne deriva che la ratio della normativa in oggetto è infondata , in quanto comporta un regime fortemente restrittivo e discriminatorio.

Sotto il profilo economico, occorre segnalare la relazione del presidente della corte inerente alla giurisprudenza costituzionale del 2012, ove , da una parte, si sottolinea che, comunque, questo indirizzo deve armonizzarsi con il vincolo del pareggio di bilancio, ai sensi dgli artt. 81 e 97 Cost., e , dall’altra, si nega che “l’indubbia gravità della crisi finanziaria […] possa integrare una sorta di “stato di eccezione”, tale da giustificare la sospensione e, tanto meno, la deroga delle regole costituzionali”.

Corsi Giuseppe

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