Norme, regole e controllo nelle variabili

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Il lavoro è un elemento fondamentale dell’uomo (Hegel), esso è la sua capacità di trasformare ossia produrre e scambiare, attività che richiede innanzitutto un’azione di pensiero, un’azione primordiale che Nietzsche chiama nella sua visione estetica “spiritualità contemplativa”, sebbene da lui contrapposta al lavoro come “migliore polizia” per tenere tutti soggiogati ed impedire il gusto violento dell’indipendenza, infatti il lavoro perde la funzione espressiva dell’uomo quando è frantumato in singoli gesti o piegato secondo funzioni altrui, una merce oggettiva (Marx) e non più soggettiva.

Essa acquista tuttavia anche una funzione identificativa sociale, permette di assicurare la propria valenza e per tale via diventa una certezza relazionale euristica nel posizionare sé e gli altri nel contesto sociale. L’incertezza crea disagio, angoscia, si che il lavoro acquista una serie di valenze che vanno da un guadagno monetario, agli aspetti relazionali della possibile stima sociale e dell’autorealizzazione, in altre parole tutte le variabili di Maslow, questo comunque in funzione della variabile dell’innovazione tecnologica e dello scorrere del tempo, d’altronde già Pareto ha introdotto una nozione di “utilità ordinale” delle preferenze del consumatore non più misurabili “cardinalmente”.

Si può, quindi, considerare il lavoro (L), come una funzione (f) di una sommatoria di utili (Un) in relazione alla variabile positiva o negativa del contesto ambientale (+ o – Delta) / il tempo (T 1 – n), istantaneo o di un dato periodo in relazione all’innovazione tecnologica ( i ).

Il ruolo nel lavoro e le relazioni trattenute costituiscono, nel contesto ambientale in cui si naviga, parte dei valori e pertanto dell’etica dell’individuo che ne viene modificato dalla psicologia organizzativa, in questo si pone l’elemento della “fiducia”che si crea nel e sul gruppo o in qualsiasi altra struttura organizzativa.

La fiducia è elemento di potere in quanti permette di normativizzare i rapporti e indicare le azioni da doversi effettuare con una accettazione a bassa conflittualità negli altri, se la fiducia nel singolo in un gruppo ristretto è in base alle informazioni che si hanno sullo stesso, in un gruppo più allargato diventa un problema di strutturazione della governance.

Infatti, se il comportamento è determinato dal bagaglio genetico, le condizioni generali che sovrintendono allo scontro tra i membri sono frutto dei meccanismi di selezione di gruppo ( Mèrò), delle specie di eredità culturali che Lumsden e Wilson chiamano “geni culturali” e che ognuno porta nel gruppo stesso, a riguardo Mèrò sottolinea che al di là di tutti i problemi teorici un sistema misto in cui si alternano momenti di democraticità a momenti decisionisti è quello che appare in natura preferibile, ottenendo una simultaneità funzionale dei due principi.

Dobbiamo tuttavia considerare che il ruolo della casualità nei rapporti umani è più influente di quello che si vuole ammettere, per cui cerchiamo mille causalità a giustificazione degli eventi e delle decisioni in quanto ci risulta difficile e psicologicamente stressante negare la possibilità di esercitare un controllo sul proprio essere.

D’altronde dobbiamo riconoscere che leggi le quali governano la società non sono chiare e persistenti ma, a dispetto dei logici, spesso irrazionali a fini collettivi, né possediamo la capacità di ottenere tutti i dati necessari ma soprattutto in termini affidabili, infine vi è una complessità umana relazionale tale da impedire i calcoli necessari, si realizza quindi quello che Mlodinow definisce come la passeggiata dell’ubriaco di cui noi non siamo coscienti in quanto tendiamo a valutare in base a quello che ci aspettiamo di vedere.

La cultura che esprime un gruppo si manifesta nei modi in cui si riunisce e nelle regole che si dà rispetto alle norme ufficiali, il processo collettivo è l’attuazione culturale della norma che si ottiene attraverso la sua regolamentazione, un agire spregiudicato nel gruppo di un singolo affonda le sue radici in un sistema di legami e solidarietà poste in un’altra comunità, in un “diverso” di valori e credenze che in un’altra comunità trova il suo sostegno e nell’ancorarlo ad “altri” precisi valori ne impedisce il perdersi nel caos esterno ( Alberoni).

Nella comunità, prima ancora della sanzione, è la pressione sociale che crea il conformarsi alle regole, la colpa che il singolo percepisce nel violarle in quanto regole formate nel gruppo, rinsaldate dalla leadership e accettate dalla comunità, spinge al conformismo, mantenere la libertà di giudizio senza un appoggio esterno al gruppo risulta quindi faticoso e dispendioso, oltreché costoso in termini di mancata “appartenenza protetta”.

Le regole del gruppo non avendo una prescrittività imposta per autorità, acquistano valore per socialità e autorevolezza della leadership, la formazione nel superare incertezze, ambiguità e conflitti crea nei membri sicurezza e conformità di atteggiamenti ed opinioni secondo una scala comune di valori che si estende attraverso i ruoli nonché i diritti e doveri ad essi connessi.

La formazione trasformandosi in controllo crea una pressione sul singolo che se eccessiva può innescare una conflittualità quale alternativa all’appiattimento, ma essa crea anche una nuova identità ai singoli da sovrapporre alle precedenti identità già possedute, nel rendere accettabile la regolamentazione alcune norme saranno considerate prescrittive nel gruppo a seconda dei valori e della coesione che si vuole raggiungere, altre elastiche avranno l’ulteriore funzione di cassa di compensazione per la pressione psicologica subita.

L’accettazione tale da diventare “normalità” e la disponibilità al conformarsi delle regole è indice della volontà del singolo di appartenere al gruppo, ma anche dell’accettazione che esso ha dei suoi valori, tuttavia sistemi di difesa quale la modifica interpretativa possono essere attivati come strumento per modificare i valori del gruppo dall’interno; il resistere alle norme senza grosse conseguenze può avvenire solo in presenza di alte capacità tecniche difficili da sostituire oppure per possesso o copertura di un forte potere “politico”.

Anche la produttività rientra nella regolamentazione che deve essere accettata diffusamente dal gruppo al fine di una sua reale coesione, questo tanto nel minimo che nel massimo produttivo, entrambe le ipotesi portano comunque ad una inefficienza conflittuale interna (Pilati).

Harre e Secord ricordano che ognuno nelle relazioni sociali attribuisce a sé e agli altri determinati stati affettivo – cognitivi agendo di conseguenza, ne deriva che la condivisione degli schemi derivanti dalle rappresentazioni cognitive dell’esperienza comportano dei vincoli sulle proprie azioni che si riflettono sulle valutazioni dei comportamenti altrui, tali vincoli condivisi con altre persone assumono la forma di “norme” interne al gruppo, le quali non sono altro che “aspettative” di comportamento.

Queste “norme” nate da un’accettazione condivisa di comportamenti finiscono per influenzare le emozioni stesse, fino a creare altre “norme” condivise giungendo ad essere governati nelle emozioni dalle “regole” accettate dal gruppo.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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