Nodi critici dell’informatica giuridica

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1. Premessa.

Il presente lavoro intende offrire un resoconto, di tipo ricostruttivo, quanto più accurato possibile, pur nella sua necessaria sintesi, dei principali nodi problematici che si configurano quali ostacoli, tanto teorici quanto pratici, all’ipotesi forte, e, per ciò stesso, quella più suggestiva ed interessante, di una informatica giuridica che automatizzi del tutto il calcolo legale oggi compiuto da esperti umani.

È, in effetti, ormai consolidata l’opinione secondo la quale sono sostanzialmente due i tipi principali di definizione in cui consisterebbe la materia, e che si contenderebbero il campo: (1) l’informatica giuridica è quell’automazione informatica che giunge in aiuto delle varie, e differenti, pur collegate tra loro, attività inerenti alla dimensione giuridica; e, (2) l’informatica giuridica è quell’automazione informatica che consente di sostituire, per il tramite di opportune basi di conoscenza legali e fattivi motori inferenziali, il ragionamento legale normalmente mandato ad effetto dai cosiddetti “esperti giuridici umani”. Sostanzialmente, mentre la prima definizione, in qualche modo, prevede un aggiornamento del consueto lavoro dei giuristi, pur garantendone comunque il mantenimento dei suoi caratteri principali, peraltro consolidati da una tradizione plurisecolare, per il tramite dell’attuale rivoluzione informatica, invece, la seconda definizione prevede una sorta di “superamento” del consueto lavoro dei giuristi, arrivando anche a configurare l’azione di esperti legali non più umani, ma informatici. Dunque, complessivamente, si può affermare che (a) la prima ipotesi considera l’informatica giuridica un insieme di pratiche informatiche di “aiuto”, di assistenza, al consueto lavoro dei giuristi umani; mentre, (b) la seconda ipotesi considera l’informatica giuridica un insieme di pratiche informatiche che sostituiscono il consueto lavoro dei giuristi umani2. In questo modo, mentre la prima definizione accosta al lavoro giuridico normale dei supporti informatici, di aiuto, di ausilio, la seconda definizione prefigura un superamento dell’apporto umano alla pratica giuridica. Certo lo sviluppo tecnologico non consente ancora di fruire di esempi concreti di questa seconda possibilità, ma è indubbiamente il fronte operativo più stimolante nella ricerca sul campo. Entrambe le definizioni, e connesse ipotesi sul significato da attribuirvi, prendono atto dell’impatto rivoluzionario dell’informatica, e della tecnologia più in generale, nell’ambito della conoscenza umana, ed anche delle cosiddette “scienze umane”. Per dirla à la von Wright  «the novelty of computer technology consists in its revolutioning impact on the work of the brain for purposes of human cognition»3. D’altra parte, riconosce più puntualmente Fioriglio : «L’elaboratore elettronico è uno strumento polifunzionale, che si presta agli usi più diversi: difatti è la prima macchina cibernetica finalizzata a coadiuvare l’uomo non nello svolgimento di attività fisiche, bensì intellettuali, grazie ad un’ampiezza di memoria, una velocità di elaborazione ed una capacità di comunicazione per alcuni aspetti di gran lunga superiori a quelle della mente umana ed, anzi, talvolta neppure immaginabili da parte di questa»4.

Prendendo in considerazione la seconda definizione5, è bene osservare come, in realtà, essa tragga linfa da un particolare settore della ricerca informatica: l’Intelligenza artificiale. In altri termini, l’informatica giuridica “forte” è un analogo giuridico della cosiddetta Intelligenza Artificiale (IA) “forte”: come nella prima si prevede la possibilità di mettere a punto “sistemi esperti legali”6 così nella seconda si cerca di mettere a punto “sistemi esperti”. Questi ultimi sono in tutto e per tutto «programmi in grado di porre in atto procedure di inferenza adeguate alla risoluzione di problemi particolarmente complessi, a cui potrebbe, se posto in una dimensione umana, porre rimedio solo un esperto del settore disciplinare in cui rientra la questione da risolvere»7. In merito, appaiono illuminanti le parole di Giunchiglia e Bouquet: «uno degli obiettivi di lungo periodo dell’IA è quello di costruire delle macchine (dei programmi di computer) che esibiscano dei comportamenti che in esseri umani chiameremmo intelligenti»8. Questo l’obiettivo, il seguente è il problema di fondo: come formalizzare in maniera adeguata la conoscenza giuridica e il ragionamento legale in modo tale da consentire il funzionamento di suddetti “sistemi esperti legali”? Infatti, rileva Sartor «il problema della formalizzazione ha un’importanza centrale nella realizzazione di applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale»9. Ma “formalizzare”, come sovente accade, ha molti significati diversi10. In genere, non sembra sufficiente esprimere in un linguaggio simbolico le enunciazioni proprie di un linguaggio naturale perché possa darsene una manipolazione sintattica11, benché questa sia, quasi naturalmente, la tendenza nell’associare “diritto” e “informatica” per il tramite della “logica”12. Per dirla à la Frixione: «Un assunto generalmente condiviso in IA (almeno nella sua forma “classica”) è che una simulazione computazionale dei comportamenti intelligenti presupponga la manipolazione di rappresentazioni simboliche sulla base di regole di tipo formale»13.

Allo stesso modo, è corretto affermare con Sartor che «l’informatica giuridica è una disciplina ormai matura, che offre un repertorio consolidato di problemi, tecnologie e soluzioni»14. In questo modo, l’uomo sceglie di «migliorare» o «innovare» il lavoro giuridico15. A lui si offrono così tanto le possibilità quanto i problemi, a lui si rimanda per la ricerca di possibili soluzioni. Come sostiene Borruso: «sta all’uomo, ovviamente, la responsabilità della scelta»16.

La stessa presente ricognizione intorno ad alcuni nodi problematici della materia è dovuta alla medesima tensione che caratterizza le discipline cosiddette “umanistiche”: trovare il senso di sé stessa. Per dirla à la Mangiameli: «una scienza che non voglia degenerare in un cieco rovistare tra dati di fatto, deve essa stessa anche filosofare, almeno tanto quanto basti ad acquisire il senso della sua stessa materia»17. Dunque, il presente scritto certamente s’inserisce appieno all’interno di tale tendenza e, sia pure in maniera limitata e parziale, intende fare del suo meglio per pervenire ad una discreta consapevolezza della materia, attraverso l’esplicitazione dei suoi limiti particolari e delle sue difficoltà generali.

 

2. Il ragionamento legale.

Punto di forza nell’idea “forte” di Informatica giuridica sta nella possibilità tecnologica di “emulare”, con un alto grado di verisimiglianza e con un correttezza procedurale prima sconosciuti, il ragionamento legale. Nel corso della presente ricognizione, invece, emergeranno alcuni nodi critici in merito. Ma per far ciò, è bene prima abbozzare almeno un po’ il quadro d’insieme relativo al suddetto ragionamento. Infatti, mentre in logica si hanno le idee molto chiare sul significato da attribuire alla parola “ragionamento”18, altrettanto non può certo dirsi nel caso del ragionamento legale. Tant’è vero che, per ragioni di vario genere e di provenienza sovente eterogenea, gli esperti giuridici sono restii a considerare i loro stessi atti di giudizio come dei ragionamenti nel senso mandato ad effetto dalla logica. In alcuni casi si giunge anche a considerare questi ultimi come dei tipi “speciali” di ragionamento, del tutto, quindi, differenti da quelli codificati in logica. A “ragionamenti speciali”, dunque, deve per forza di cosa corrispondere una “logica speciale”, sia pure fattasi avanti non senza difficoltà, specialmente negli ultimi anni in Italia: la logica giuridica, talvolta detta anche logica del diritto. Sulle ragioni di tutto ciò sarebbe possibile dire qualcosa di più se si avessero le idee chiare, ma, per nostra sfortuna, non è questo il caso. Così, mettendo tra parentesi questo discorso, è possibile riconoscere soltanto che semmai a cambiare, dalla logica in generale alla logica giuridica sono gli specifici “contenuti conoscitivi”, mai le “forme simboliche” le quali, se si vuol considerare l’uomo un animale razionale sono le stesse per ciascuno. In altri termini, si possono pensare cose diverse, ma non pensare in maniera differente. Dunque, quel che, eventualmente, di “speciale” può avere il ragionamento legale sono due elementi: (1) l’oggetto: l’articolazione del giudizio su conoscenze concrete (p.e. come sono davvero andati certi fatti in natura) in diretto riferimento a conoscenze giuridiche (p.e. come le cose, nel caso in questione, dovrebbero andare secondo i codici comportamentali stabiliti dalla scienza giuridica); e, (2) la funzione: giudicare se, e in che misura, il caso in oggetto rientri nelle fattispecie astratte previste dalle norme giuridiche. A questi due, se ne potrebbe aggiungere anche un terzo: (3) la giustificazione: dimostrare come il ragionamento addotto sia fondato rispetto alla conoscenza giuridica e alla tradizione giurisprudenziale in merito. Ma, l’elemento (3) è, in qualche modo, subordinato all’elemento (2) e se, in un’ottica di fattiva pratica legale è di fondamentale importanza in quanto costituisce la cosiddetta “motivazione” alle sentenze, sulle quali s’incentra il lavoro di tutti gli altri attori delle pratiche giuridiche (p.e. avvocati; corti; cancellieri; etc.), occupa una posizione ininfluente all’interno dell’attuale ricognizione. Peraltro, infatti, la logica può comunque occuparsi soltanto della forma del ragionamento, mai del suo contenuto. Come sostiene Faralli: «In generale, la logica non può farsi carico del contenuto di ogni decisione giuridica, a deve comunque essere ritenuta uno strumento indispensabile e necessario, ancorché non sufficiente, per il controllo e la giustificazione di tali decisioni»19.

Spostando, invece, il discorso sulla “forma” del ragionamento legale, bisogna osservare come esso possa benissimo venir analizzato con gli strumenti della logica. Per dirla à la Sartor: «La logica si propone di fornire strumenti per l’analisi del linguaggio e del ragionamento»20. D’altra parte, «definiamo la logica a partire da quelli che secondo molti (ancorché non tutti) sono il suo oggetto principale e il suo scopo. La logica è la disciplina che studia le condizioni di correttezza del ragionamento»21. Tuttavia, esiste anche una consolidata tradizione secondo la quale la logica è eterogenea al diritto in quanto mentre la prima si occupa di proposizioni verofunzionali (che possono, cioè, assumere i valori di vero e di falso), la seconda si occupa di proposizioni non verofunzionali (che non possono, cioè, assumere i valori di vero e di falso). Di conseguenza, non potrebbe darsi una logica applicata al diritto razionalmente sensata, che, quasi paradossalmente, condivide il medesimo destino della morale, connotati entrambi da discorsi di tipo valutativo, e non descrittivo. Infatti, sostiene Perelman : «[if] value judgments are subjective and therefore cannot be substantiated (…) is there a logic of value judgments?»22. Problematicamente, infatti, si chiede Conte «Vale la logica per il deontico? (Vale la logica nel deontico, nell’ambito del deontico?) O forse il deontico è sottratto alla logica? (…) Vi sono verità logiche specifiche al deontico? Vi sono verità logiche specificamente deontiche (verità logiche autoctone, verità proprie al deontico)?»23. In maniera più piana, scrive invece von Wright : «Since norms are usually thought to lack truth-value, how can logical relations such as contradiction and entailment (logical consequence) obtain between norms? Critics of the very possibility of a logic of norms used to call norms “a-logical”. There is also an opinion according to which norms are true or false. Perhaps it can be successfully defended for some type(s) of norm (…) Norms as prescriptions of human conduct, however, may be pronounced (un)reasonable, (un)just, (un)valid when judged by some standards which are themselves normative – but not true or false. And a good many, perhaps most, norms are prescriptive. The representation of the conceptual structure of norms in a formalized language is controversial and difficult»24.

Tralasciando, perché non rilevante ai presenti fini, la caratterizzazione normativa della logica, ossia come stabilire se i ragionamenti sono validi o meno, pur essendo questo il suo compito principale25, utilizziamo gli strumenti logici per analizzare la dinamica del ragionamento legale.

Il punto di partenza appare essere la base legale, ossia la conoscenza giuridica. Questa, infatti, stabilisce delle norme le quali, insieme e congiuntamente, costituiscono i corpus legali, i veri e propri sistemi giuridici26. Sebbene esista tutt’ora un certo dibattito giusfilosofico intorno alla questione “che cos’è una norma?”, è possibile osservare come il ragionamento in esame prenda le mosse dalla norma giuridica. Essa stabilisce, in termini generali, uno schema di comportamento da tenere per situazioni particolari27. Tale schema è chiamato “fattispecie astratta” della norma. Quel che, dunque, fa l’esperto legale umano è interpretare la norma al fine di estrapolarne la fattispecie astratta, ossia lo schema generalissimo di comportamento previsto (p.e. la statuizione di una sanzione nel caso in cui si violi il divieto di uccidere) per una determinata situazione concreta (p.e. un omicidio). Da un punto di vista logico, questo procedimento assume la forma di un ragionamento condizionale: se si verifica il caso X, allora si darà luogo a Y. Nel caso specifico, ‘X’ è la fattispecie astratta prevista dalla norma, mentre ‘Y’ sarà il provvedimento di risposta a ‘X’ anch’esso previsto dalla norma. Una volta che sia stata stabilita la fattispecie astratta, si prende in esame il caso concreto che necessita di una qualificazione giuridica, ovvero che deve essere coperto dalla considerazione giuridica, valutato secondo quanto previsto dalle norme giuridiche. Per fare ciò, è fondamentale la conoscenza obiettiva dei fatti. Pertanto, il caso concreto viene analizzato e se ne deduce la conoscenza sintetica, ossia l’insieme degli elementi di cui si necessita per operare un giudizio legale (p.e. gli attori in campo; cosa è stato fatto; in quali circostanze; i rapporti tra gli attori; eventuali altri particolari; etc.). la sintesi, dunque, che ne viene fuori costituisce la fattispecie concreta, ossia la dinamica fondamentale del caso concreto che si desidera valutare da un punto di vista giuridico. A questo punto, ai fini della decisione giuridica, ossia del ragionamento legale in sé, avviene la cosiddetta sussunzione della fattispecie concreta sotto la fattispecie astratta. In altri termini, l’operatore giuridico, magistrato o avvocato, confronta il caso concreto con la norma giuridica e stabilisce se, e sino a che punto, il caso in oggetto rientri in quanto predisposto dal legislatore, se e quale norma vada applicata. Dall’esame deriva così la cosiddetta norma singola che stabilisce come si deve procedere nell’applicazione della norma giuridica al caso concreto. Detto altrimenti, la norma singola è la declinazione della fattispecie astratta al caso concreto (es. se l’omicidio è vietato e Nicola ha ucciso Giorgio e se, in caso d’omicidio, il reo deve essere punito con una detenzione, allora Nicola verrà punito con la detenzione in carcere). Lo schema di ragionamento seguito è, né più né meno, quello del Modus Ponendo Ponens secondo il quale: (i) posto (X), segue (Y); (ii) ma ha luogo (X); (iii) dunque si verificherà (Y). Brevemente,

  1. Posto (X): Nicola ha ucciso Giorgio, segue (Y): Nicola sarà punito con la detenzione;

  2. Si realizza (X);

  3. Ergo, avrà luogo (Y).

Il presente discorso, per ovvie ragioni di semplicità espositiva, assume la concezione comune secondo la quale il diritto possiede una natura normativa: il diritto stabilisce obblighi l’inosservanza dei quali comporta precisi provvedimenti di sanzione. Qualunque esperto legale, però, sa che le cose non vanno esattamente così, o, perlomeno, non sono esattamente così semplici. Ma lasciamo pure che stiano in questo modo.

Stabilite, dunque, come sono andate le cose e come il diritto comanda che vadano, si enuncia la decisione legale, ovvero la sentenza con la quale viene sanzionato giuridicamente il caso concreto preso in esame. Pressoché in tutti gli ordinamenti, una sentenza giudiziale viene motivata, ossia giustificata, in fatto e in diritto, ostendendo i passi seguiti per giungere a quella specifica decisione.

Descritto, per sommi capi, i singoli momenti del ragionamento legale, in forza del quale si perviene ad una decisione giuridica, prima di passare oltre, è bene indicare alcuni suoi aspetti critici.

Cominciamo dalla norma giuridica: essa, come detto, stabilisce una fattispecie astratta, ma questa la si ha solo dopo un atto interpretativo da parte dell’operatore del diritto; così, si propone il problema della vaghezza normativa, ossia delle molteplici interpretazioni cui è soggetta una norma. In questo modo, la fattispecie astratta assume dei caratteri di maggior complessità e diventa più sfumata, se si vuole, più imprecisa nello stabilire quale stato di cose dovrebbe avere luogo e cosa fare qualora ciò non accadesse. In alcuni casi si può parlare di vere e propria difettibilità delle proposizioni normative28, staccando anche così la considerazione logica delle proposizioni, notoriamente monotòne29. È possibile tener conto di ciò nei vari passaggi che conducono alla conclusione del ragionamento legale?

D’altra parte, Hage  insiste nel dire che «a non-monotonic logic is useful to model legal reasoning, because legal reasoning is defeasible»30.

Un altro problema investe il caso concreto: si è detto della necessità di una sua effettiva conoscenza; ma, anche qui, ci si deve confrontare con una conoscenza che può sempre essere imprecisa, vaga, sfumata. D’altra parte, non esiste una conoscenza, ma dei “fatti bruti” che vanno, anche loro, interpretati. Una volta che lo si sia fatto, si ottiene una conoscenza. Ma le interpretazioni, si sa, sono, in genere, opinabili.

Si giunge, allora, all’aspetto critico fondamentale: si sussume, come detto, la fattispecie concreta sotto la fattispecie astratta per giungere, infine, ad una decisione legale. Qui si pone il problema dei giudici “bocca della legge”. Infatti, quanto deciso, è il risultato meccanico dell’applicazione della legge ai casi concreti oppure, più verosimilmente, è il frutto della libera interpretazione del giudice? Il problema non è di poco conto. Infatti, nel primo caso i giudici sarebbero meri esecutori del dettato normativo mentre nel secondo caso sarebbero creativi produttori di diritto. Il dibattito è tutt’ora aperto. Resta, però, la forte impressione che, presenti questi aspetti critici, la formalizzazione del ragionamento legale sia cosa affatto semplice.

È pur vero, comunque, che esiste una spiegazione più prosaica del rifiuto della logica da parte degli operatori giuridici. Infatti, se il Modus Ponendo Ponens fornisce uno schema immediato del ragionamento seguito per sommi capi, esso nulla ci dice su quali aspetti prendere in considerazione nella decisione e come ponderare tra loro i differenti interessi in gioco. Esempio emblematico di ciò è la sentenza legale: si tratta davvero di una ostensione di come si è pervenuti alla specifica decisione oppure si tratta della giustificazione ex post della decisione assunta? A ben guardare, infatti, non sono la stessa cosa: (1) ostendere la propria decisione vuol dire rendere conto di come si sia articolato il proprio ragionamento; (2) giustificare una decisione vuol dire “camuffare” le proprie intuizioni con una veste logica. In questo modo, in luogo della schematica logica delle proposizioni, appare preferibile la densa logica delle argomentazioni e della retorica. In merito, appaiono interessanti le parole di Costanzo: «il diritto è intessuto di argomentazioni che si svolgono in un orizzonte che può fuoriuscire dal quadro della logica intesa quale ragionamento esente da fallacie. La logica è soltanto una specifica (rigorosa) forma di argomentazione che (nella sua forma deduttiva) procede per sillogismi, mentre in generale l’argomentazione è densa di entimemi e presupposti inespressi»31. Più a fondo vanno, invece, le parole di Mazzarese: «un apparato logico-formale che mutui la natura vero-funzionale della logica classica (così come molti calcoli, standard e non, della logica deontica) non sia idoneo a cogliere i tratti peculiari a molti fenomeni giuridici per i quali si tenta (e si ritiene irrinunciabile) un modello esplicativo, rassicurantemente scandito in termini logici (…) l’apparato categoriale della logica fuzzy, in primo luogo, mostra un’indubbia potenzialità euristica per un’analisi dell’applicazione giudiziale del diritto, e, in secondo luogo, offre un’alternativa credibile alla contrapposizione fra sedicente razionalismo e presunto irrazionalismo normative, fra il razionalismo, cioè, che si assume essere dominio esclusivo della concezione logico-deduttiva delle decisioni giudiziali, e l’irrazionalismo additato come ineluttabile deriva di qualsiasi dubbio o perplessità su tale concezione (…) l’apparato categoriale della logica fuzzy può consentire di delineare un modello esplicativo dell’applicazione giudiziale del diritto»32. Dello stesso tono Becker: «Le interpretazioni sintattiche date in precedenza del calcolo modale sono di natura piuttosto astratta; diventa pertanto desiderabile interpretare concretamente i pensieri fondamentali svolti in precedenza. In effetti ciò è possibile, e si dimostra che la sfera giuridico-normativa ci offre i desiderati fenomeni concreti»33. Eppure, scrive Faralli: «gli studi informatico-giuridici hanno dato luogo ad una vera e propria rivoluzione nell’ambito degli studi di logica giuridica, che, come si è visto, tradizionalmente era consistita nell’applicazione in ambito giuridico della logica predicativa classica, possibilmente arricchita con la logica deontica»34.

Utilizziamo la logica per analizzare il ragionamento legale messo in campo dagli operatori giuridici, ma chiediamoci pure che tipo di logica venga adoperata, dato che, in fin dei conti, nessuna di quelle conosciute, sinora, sembra aver consentito una formalizzazione completa e sufficiente del diritto35. Forse, ha ragione Haack: la logica del diritto ci dice qualcosa, ma non tutto36. Dello stesso tono è certamente Governatori: «è noto che tra i filosofi del diritto sono state sollevate notevoli perplessità e obiezioni contro l’adeguatezza della logica come strumento per l’analisi e la chiarificazione concettuale del ragionamento giuridico (…) tali obiezioni e perplessità si basano su un pregiudizio e su un totale fraintendimento del ruolo della logica nell’analisi del ragionamento giuridico»37.

Solo che, al di là di tutto ciò, resta intatto il problema di fondo: si ha un ragionamento legale in quanto date certe premesse si deduce, in modo certo, una conclusione, ma le argomentazioni in sé non producono una conclusione certa, al massimo una congerie di ponderazioni tra argomenti diversi e di diverso valore. Dunque, chi sceglie cosa? E secondo quale criterio?

 

3. L’algoritmo di decisione giuridica.

Come mostrato in precedenza, il ragionamento legale si articola in passi ben precisi e concatenati tra loro. Di conseguenza, è stato possibile anche descrivere, sia pure schematicamente, il processo in forza del quale si perviene ad una decisione legale. Dunque, anche se, forse, in modo alquanto sommario, il ragionamento legale altro non è che un ben preciso algoritmo di decisione legale. Come sostiene Battaglia: «con algoritmo si determina un insieme di ordini espressi con un testo finito. Vale a dire composto da un numero finito di parole che riferendosi ad una precisa classe di problemi il testo faccia sì che un uomo oppure una macchina, ai quali vengono forniti degli input, individuato uno dei problemi della classe in questione, operino per compiere una ben precisata sequenza di passi per la soluzione del problema. Passi determinati univocamente dall’algoritmo in funzione degli input»38.

In sé, com’è noto, il processo di algoritmo non è specifico della determinata materia al cui interno viene adoperato, ma è specifico della ragione umana la quale, quando “ragiona”, “pensa”, “conosce”, “risolve”, lo fa attraverso dei singoli passi specifici i quali sono collegati, in modo molto stretto, tra loro. Così stando le cose, sarebbero quasi facile concludere che non si ponga nessun problema sulla formalizzazione informatica del ragionamento legale. In verità, le cose non sono così semplici. Ma prima di procedere oltre, è bene dilungarsi ancora sulle specifiche forme simboliche mediante le quali si dovrebbe mandare ad effetto la finalità attesa.

Se fossimo in grado di descrivere in maniera del tutto sintattica l’algoritmo messo in campo dagli esperti giuridici, allora potremmo davvero realizzare l’attesa di massima dell’informatica giuridica: riprodurre artificialmente il ragionamento umano legale in modo tale che non possa distinguersi se a mandarlo ad effetto sia un essere umano oppure un essere informatico. Il problema, in altri termini, consiste nel “tradurre” in termini simbolici, trattabili da automi, i due presupposti del ragionamento legale: ossia, (a) la norma giuridica che stabilisce la fattispecie astratta di riferimento, mediante la quale valutare giuridicamente situazioni concrete; e, (b) il caso concreto che istituisce la fattispecie astratta da sussumere sotto quella astratta; ad essi, si aggiungano pure, (c) lo schema di ragionamento adoperato nel sussumere (b) ad (a); e, (d) la giustificazione da dare della particolare maniera attraverso la quale la sussunzione di (b) sotto (a) ha dato quel particolare esito, e non un altro. Ancora, riducendo all’osso, è legittimo affermare come il problema di fondo sia sostanzialmente quello di “formalizzare”: (1) il linguaggio giuridico; e, (2) il meccanismo di giudizio legale. Esattamente come accade per la logica, in modo particolare, e per la filosofia, in modo generale, anche nel presente ambito il problema è formale: come tradurre sintatticamente informazioni e istruzioni in modo tale che l’automa ragioni come un esperto legale umano? Un’eventuale risposta positiva, evidentemente, esercita un grande fascino sugli addetti ai lavori39. Come sostenuto in altra occasione, il problema è quello di «rendere comprensibile per la macchina il linguaggio del diritto (il cd. Thesaurus giuridico), semplificando le sue nozioni e formule e introducendo regole (di formazione e di eliminazione) che rendano possibile da un lato l’introduzione delle informazioni (esterne) del caso preso in considerazione e dall’altro la possibilità di operare su di esso secondo la logica dei giuristi»40. Come osserva peraltro anche Faralli: «gli studi informatico-giuridici hanno dato luogo ad una vera e propria rivoluzione nell’ambito degli studi di logica giuridica, che, come si è visto, tradizionalmente era consistita nell’applicazione in ambito giuridico della logica predicativa classica, possibilmente arricchita con la logica deontica»41. Questo perché la necessità che veniva avvertita era quella di render conto dell’estrema polisemia del linguaggio naturale, adoperato anche nel diritto, consentendo una comprensione dei concetti ivi espressi. Infatti, sostiene Sartor: «una logica per la rappresentazione della conoscenza giuridica dovrebbe comprendere logiche modali, deontiche, epistemiche, temporali, dell’azione, e ogni altra logica necessaria per affrontare i concetti del linguaggio comune. Infatti, il discorso giuridico è immerso nel linguaggio naturale e, a differenza dei linguaggi scientifici, ne conserva tutta la complessità»42. Prova ne sia l’estrema difficoltà messa in campo dalla problematica ermeneutica: quante interpretazioni sono possibili del diritto? Ciò ha condotto nel tempo ad individuare alcuni degli aspetti coinvolti nel seguente elenco schematico:

  1. trama aperta;

  2. difettibilità;

  3. provvisorietà dei valori di verità43.

È bene spendere alcune parole su tali elementi. Diciamo, riducendo all’osso, che il primo elemento descrive la possibilità intrinseca al testo giuridico di essere passibile di sempre nuove, e divergenti, interpretazioni. Il secondo elemento, invece, rimanda alla possibilità propria dei linguaggi naturali di essere soggetti a revisioni di significato in momenti successivi alla prima interpretazione. Infine, il terzo elemento consiste in una diretta conseguenza del secondo elemento: data la possibilità di revisione delle conoscenze, i valori di verità appaiono provvisori, non definitivi.

Adesso, riprendendo in esame la domanda di fondo sulle possibilità di formalizzazione del procedimento di giudizio legale, si osserva che è possibile rispondere distinguendo tra loro i macro-oggetti che costituiscono l’algoritmo di ragionamento legale. Essi, in modo molto sintetico, sono: (i) la base di conoscenza legale; (ii) il motore inferenziale; e, (iii) sistemi connessi di revisione della conoscenza. Come sostennero Alchourròn  e Bulygin : «three levels of complexity are involved in answering these questions [on legal expert systems]: a general theoretical, theoretical legal and a technological level as well as two basic topics: knowledge representation and inference engines»44. In altri termini, questi autori, veri pionieri della riflessione filosofica intorno al rapporto tra il diritto e l’informatica, proposero di individuare preliminarmente tutti gli elementi utili del Thesaurus giuridico da tradurre successivamente in termini sintattici. Questi sono schematicamente i seguenti:

  1. proposizioni normative;

  2. definizioni;

  3. citazioni;

  4. proposizioni procedurali;

  5. criteri gerarchici (che stabiliscono gerarchie tra fonti e norme);

  6. proposizioni valutative (complementari delle precedenti);

  7. altri tipi di proposizioni (difficile classificarle e individuarle a priori).

D’altra parte, «this structuralization of knowledge is absolutely necessary for utilizing the inference engine»45. Successivamente, vengono descritti tutti gli enti che potrebbero entrare a far parte del discorso legale:

  • lettere p, q, r, … che denotano le formule legali;

  • lettere a, b, c, … che denotano individui nel mondo rappresentato;

  • lettere x, y, z, … che denotano variabili che assumono valori nell’insieme di individui nel mondo rappresentato;

  • lettere p, q, r, … che denotano le relazioni tra individui o costanti proposizionali;

  • i simboli che denotano le costanti logiche: →, e, o, no, per ogni, esiste;

  • gli operatori deontici rappresentati dai simboli di obbligo (obbl) e permesso (perm);

  • i termini t1, t2, … che indicano collettivamente costanti e variabili individuali.

Dopo, si esplicitano le regole che presiedono al loro funzionamento:

  1. le formule atomiche sono formule del linguaggio

una formula atomica ha la struttura: (P a b …)

  1. se p e q sono formule nel linguaggio, lo sono anche le espressioni:

(x) (non p);

(xx) (e pq …);

(xxx) (o pq);

(xxxx) (se pq);

(xxxxx) (perm p);

(xxxxxx) (obbl q);

(xxxxxxx) (per ogni x p);

(xxxxxxxx) (esiste x p).

  1. la forma più generale di una formula atomica è la seguente:

(pt1t2t3 …)

ove t1t2t3 sono termini.

A questo punto, e soltanto adesso, è possibile concepire uno schema di algoritmo informatico del ragionamento legale. Riducendo all’osso, potrebbe aversi la figura seguente:

Una volta che il modello ideale, dato che ci si muove all’interno di una cornice teorica, e non pratica, è stato delineato, è possibile mettere in luce alcuni dei principali nodi critici messi in mostra dall’informatica giuridica.

4. Nodi critici.

Se si pone mente alla complessità del modello proposto e ai soggiacenti problemi tirati in ballo, è possibile osservare da subito alcune delle difficoltà mostrate dalla disciplina. Senza voler indugiare troppo, i nodi critici possono essere elencati, grosso modo, nella maniera seguente:

  1. Difettibilità del linguaggio naturale adoperato;

  2. Difettibilità della conoscenza;

  3. Garanzie di correttezza della decisione deliberata;

  4. Certezza della decisione deliberata;

  5. Valore umano della decisione.

La difficoltà (a) esprime appieno un limite intrinseco della disciplina: il linguaggio naturale offre una dinamicità semantica, e concettuale, difficilmente riproducibile all’interno di una formalizzazione simbolica. Come sostengono, infatti, Martino e Chini: «consiste in un alfabeto, un insieme di regole (grammatica) che genera parole, e un insieme di regole (sintassi) che genera le frasi. Analogamente, la struttura di un generico linguaggio formale consiste in un alfabeto, un insieme di regole (grammatica) che permette di generare gli enunciati, e di un insieme di regole (sintassi) che permette di generare formule complesse a partire da enunciati»46. L’analogia, in sé, dunque, nulla consente di dire sul carattere “produttivo” e “modificabile” del linguaggio, con la conseguenza che ardua appaia la possibilità di riprodurlo sintatticamente.

La difficoltà (b) esprime bene un altro limite semiotico della disciplina: la conoscenza possiede un carattere eminentemente dinamico, potendo essere modificata nei suoi valori di verità in qualsiasi momento. D’altra parte, lo stesso ragionamento umano, prima ancora che legale, appare dotato di una sua intrinseca difettibilità. L’utilizzo delle logiche fuzzies e non-monotone consente di provvedere a dotare di maggior flessibilità il ragionamento prodotto dai sistemi informatici, ma non a livelli paragonabili a quelli umani.

La difficoltà (c) esprime un limite esterno alla disciplina, rilevante però ai presenti fini teorici: il “seguire” un insieme di regole codificate non garantisce del tutto sulla correttezza del risultato raggiunto. Questa difficoltà è quella, forse, meno grave se si pensa che anche il decisore umano è, sotto ogni riguardo, soggetto alle possibilità di errore. Solo che, nel presente caso, si esprime la necessità che il sistema informatico sia del tutto esente di possibili errori di calcolo e/o di applicazione delle norme giuridiche.

La difficoltà (d), come la precedente, esprime un limite, se si vuole, esterno alla disciplina, ma non per questo meno importante: il “seguire” un percorso prestabilito di ragionamento non è sufficiente perché possa dirsi certa la decisione deliberata.

Infine, la difficoltà (e), come le precedenti due, esprime un limite, se si preferisce, esterno alla disciplina, rilevante però ai presenti fini teorici: se le decisioni su attori umani vengono prese da un decisore informatico, la decisione deliberata avrà un valore umano? Per dirla, prendendo in prestito Knapp, certamente l’informatica è applicabile al diritto47. Il problema, però, è stabilirne il “come” in maniera tale che il prodotto realizzato non sia solamente uno scimmiottamento del pensiero umano, ma una sua valida emulazione tale da non percepirsi più alcuna differenza tra esperto legale umano ed esperto legale informatico. Al riguardo, in effetti, i critici del progetto “forte” in IA ravvisano un difetto: costruire sistemi sempre più evoluti e raffinati, non consente, non almeno ancora, di poter dire che gli stessi denotino un processo di decisione in tutto uguale a quello umano. In altri termini, “emulare” non per forza equivale a “riprodurre”.

Pertanto, a conclusione della presente ricognizione sugli aspetti critici dell’informatica giuridica, resta da constatare come, al di là di sempre presenti facili entusiasmi, il progetto di costruzione di sistemi esperti legali in tutto uguali agli esperti legali umani è ancora di là da venire, restando forti tutta una serie di varie difficoltà ancora da risolvere ed altre esulanti dall’insieme sintattico di elementi manipolabili dai sistemi informatici.

Esula, peraltro, del tutto dalle possibilità presenti, discutere se il “ come” rilevato in questa sede, possa essere considerato solamente una questione di sintassi informatica o se, al contrario, vada considerato il frutto indesiderato dell’interazione tra il formalismo giuridico e la proceduralità informatica. In altri termini, la questione che viene adombrata, e rinviata ad altra sede, consiste nel valutare se esistano problematiche interne all’informatica giuridica in quanto tale o se si tratti, piuttosto, di difficoltà che le provengono da altre discipline da essa chiamate in causa.

 

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1* Alessandro Pizzo è Dottore di Ricerca in Filosofia c/o Università degli Studi di Palermo (pagina web personale: http://alessandropizzo.blogspot.com). Il presente articolo ha costituito il capitolo introduttivo a: A. Pizzo, Logica del linguaggio normativo. Saggi su logica deontica ed informatica giuridica, Aracne, Roma, 2010, pp. 15 – 34.

2 Sulle possibili definizioni di informatica giuridica, cf. A. Pizzo, Informatica giuridica: un inventario di problemi, “Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 17 Luglio 2008, ISSN: 1127 – 8579 (raggiungibile all’indirizzo: www.diritto.it/indice.php?cat=64), p. 2 e sgg.

3 Cfr. G. H. von Wright , Inaugural Address, in A. A. Martino  (eds.), Expert System in Law, North – Holland, Amsterdam, 1992, p. 1.

4 Cfr. G. Fioriglio, Temi di Informatica Giuridica, e-book liberamente scaricabile da www.dirittodellinformatica.it (opera sottoposta a licenza Creative Commons a partire dall’edizione cartacea pubblicata da Aracne nel 2004), p. 10.

5 Per la seconda possibilità cfr. A. Pizzo, Informatica giuridica. Repertorio teorico, “Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 16 Febbraio 2006, ISSN: 1127 – 8579 (contenuto on – line: https://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/21558.html), p. 4 e sgg.

6 Cfr. S. Iaselli, Sistemi esperti legali, Simone, Napoli, 1998.

8 Cfr. F. Giunchiglia – P. Bouquet, Verso una scienza epistemologica del senso comune. Il progetto scientifico di John McCarthy, in F. Castellani – L. Montecucco (eds.), Normatività logica e ragionamento di senso comune, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 323. Interessanti appaiono anche la parole di R. Cordeschi, Filosofia dell’intelligenza artificiale, in L. Floridi (ed.), Linee di ricerca, SWIF, 2004, ISSN: 1126-4780, p. 528: «c’è stata un’area di ricerca applicata o ingegneristica dell’IA, interessata alla produzione di macchine che assistessero gli uomini non soltanto in compiti manuali (…), ma anche in compiti mentali o intellettuali. L’esito più noto di questa area di ricerca sono stati i sistemi esperti».

9 Cfr. G. Sartor, Le applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale. La rappresentazione della conoscenza, Giuffré, Milano, 1990, p. 53.

10 Cfr. L. Borzacchini, Il computer di Platone, dedalo, Bari, 2005, p. 13 e sgg.

11 Cfr. A. Pizzo, Il rapporto tra la logica, il diritto e il linguaggio nella prospettiva dell’informatica giuridica, “Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 23 Novembre 2006, ISSN: 1127 – 8579 (https://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/23074.html), pp. 3 – 10.

12 Cfr. A. Pizzo, Logica, informatica, scienze normative: rappresentare la conoscenza, “Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 21 Luglio 2005, ISSN: 1127 – 8579 (contenuto on – line: https://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/20437.html), p. 11 e sgg. Cfr. S. Stefanelli, Linguaggio, diritto, informatica, Tesi di Laurea, Foggia, 1998, p. 8 e sgg.

13 Cfr. M. Frixione, Logica e intelligenza artificiale, in L. Floridi (ed.), Linee di ricerca, SWIF, 2004, ISSN: 1126-4780, p. 431.

14 Cfr. G. Sartor, Informatica giuridica. Un’introduzione, Giuffré, Milano, 1996, p. 1.

15 Cfr. A. Pizzo, Diritto, società  e sistemi giuridici. Dall’antropologia del diritto all’informatica giuridica, “Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 2 Ottobre 2008, ISSN: 1127 – 8579 (raggiungibile all’indirizzo: https://www.diritto.it/all.php?file=26604.pdf), p. 12.

16 Cfr. R. Borruso, L’informatica giuridica come materia di studio autonomo, in V. Frosini – D. Limone (eds.), L’insegnamento dell’informatica giuridica, Simone, Napoli, 1990, p. 49.

17 Cfr. A. C. A. Mangiameli, Diritto e Cyberspace. Appunti di informatica giuridica e filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2000, p. 37.

18 Cfr. M. Frixione, Come ragioniamo, Laterza, Roma – Bari, 2007, p. 9: «tra le discipline che studiano il ragionamento, la logica è la disciplina normativa per eccellenza: essa specifica a quali condizioni un ragionamento deduttivo risulta logicamente corretto». Mentre il ragionamento deduttivo può essere inteso come scrivono D. Palladino – C. Palladino, Breve dizionario di logica, Carocci, Roma, 2005, p. 100: quale «sinonimo di ragionamento logico, ovvero ragionamento in cui la conclusione è conseguenza logica delle premesse. Ragionando in modo deduttivo, quindi, si eseguono inferenze corrette».

19 Cfr. C. Faralli, Parte Seconda. Dagli anni settanta all’inizio del XXI secolo, a: G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 405.

20 Cfr. G. Sartor, Linguaggio giuridico e linguaggi di programmazione, Clueb, Bologna, 1992, p. 362.

21 Cfr. F. Berto, Logica. Da zero a Gödel, Laterza, Roma – Bari, 2007, p. 3.

22 Cfr. C. Perelman, Logic and Rhetoric, in E. Agazzi, Modern Logic. A Survey, Reidel, Dordrecht, 1980, p. 457.

23 Cfr. A. G. Conte, Alle origini della deontica: Jørgen Jørgensen, Jerzy Sztykgold, Georg Henrik von Wright, in A. G. Conte, op. cit., pp. 636 – 7.

24 Cfr. G. H. von Wright , Is There a Logic of Norms?, “Ratio Juris”, 3, 1991, p. 266.

25 Cfr. E. Agazzi, La logica simbolica, La Scuola, Brescia, 199015, p. 31.

26 Cfr. C. E. Alchourròn – E. Bulygin, Sistemi normative. Introduzione alla metodologia della scienza giuridica, Giappichelli, Torino, 2005 (ed. or. Normative Systems, Springer, Dordrecht, 1971), p. 11 e sgg.

27 Cfr. H. Kelsen, Teoria generale delle norme, Einaudi, Torino, 1985, p. 52: «Si può affermare che la norma «dice» che qualcosa deve essere o deve accadere nella misura in cui non si è indotti da ciò a confondere la norma con un’asserzione. La norma non è infatti un’asserzione e (…) deve essere nettamente distinta da un’asserzione, in particolare anche dall’asserzione sopra una norma. Infatti l’asserzione è il senso di un atto di pensiero mentre la norma (…) è il senso di un atto di volontà rivolto intenzionalmente ad un certo comportamento umano».

28 Cfr. G. Sartor, Defeasibility in Legal Reasoning, “Rechtstheorie”, 1993, p. 281 e sgg.

29 Cfr. G. Brewka , Nonmonotonic Reasoning: Logical Foundations of Commonsense, Cambridge University Press, Cambridge, 1991, p. 2: «Classical logic has the following property: if a formula p is derivable from a set of premises Q then p is also derivable from each superset of Q. the reason should be clear: every proof of p from Q is, by definition of proof in classical logic, also a proof of p from each superset of Q. This property I called monotonicity of classical logic. To formalize human commonsense reasoning something different is needed. Commonsense reasoning is frequently not monotonic. In many situations we draw conclusions which are given up in the light of further information». Cfr. M. Frixione, op. cit., p. 103: «La logica tradizionale si dice monotòna nel senso seguente: al crescere dell’insieme delle premesse, l’insieme delle conclusioni che se possono trarre cresce, o al più resta stabile. Ossia, non può accadere che, aggiungendo nuove premesse, alcune conclusioni cessino di essere tali». Ancora, aggiunge D. Makinson , How to Go Nonmonotonic, in D. Gabbay  and F. Guenthner  (eds.), Handbook of Philosophical Logic, Second Edition, volume 12, Springer, Amsterdam, 2005, pp. 178 – 9: «In more formal terms, we are said to be reasoning nonmonotonically when we allow that a conclusion that is well drawn from given information may need to be withdrawn when we come into possession of further information, even when none of the old premises are abandoned. In brief, a consequence relation is nonmonotonic iff it can happen that a proposition x is a consequence of a set A of propositions, but not a consequence of some superset AÈB of A».

30 Cfr. J. Hage, Studies in Legal Logic, Springer, Dordrecht, 2005, p. 8.

31 Cfr. A. Costanzo, Logica dei dati normativi, Giuffré, Milano, 2005, p. 4.

32 Cfr. T. Mazzarese, Forme di razionalità delle decisioni giudiziali, Giappichelli, Torino, 1996, p. 13.

33 Cfr. O. Becker, Logica modale. Calcolo modale, Parerga, Faenza, 1979, p. 61.

34 Cfr. C. Faralli, op. cit., p. 411.

35 Cfr. P. Leonardi, Sulle regole, Libreria Universitaria Editrice, Verona, 1983, p. 1: «s’è avuto un sorprendente sviluppo della logica deontica (in seguito alla pubblicazione di Deontic Logic di von Wright apparso su Mind nel 1951), un successo collegato all’uso che ne è stato fatto per analizzare i sistemi normativi, tanto quelli giuridici (specialmente da parte di Kalinowski) quanto quelli morali (specialmente da parte di Castañeda)». Cfr. G. Sartor, Le applicazioni giuridiche…cit., p. 297: «una logica per la rappresentazione della conoscenza giuridica dovrebbe comprendere logiche modali, deontiche, epistemiche, temporali, dell’azione, e ogni altra logica necessaria per affrontare i concetti del linguaggio comune. Infatti, il discorso giuridico è immerso nel linguaggio naturale e, a differenza dei linguaggi scientifici, ne conserva tutta la complessità».

36 Cfr. S. Haack , On Logic in the Law: “Something, but not All”, Ratio Juris, 1, 2007, p. 1.

37 Cfr. G. Governatori, Un modello formale per il ragionamento giuridico, Tesi di Dottorato di Ricerca in Informatica giuridica e diritto dell’informatica, Bologna, 1996, p. 8.

38 Cfr. P. Battaglia, L’intelligenza artificiale. Dagli automi ai robot «intelligenti», Utet, Torino, 2006, p. 104.

39 Cfr. G. Sartor, Legal Reasoning. A Cognitive Approach to the Law, Springer, Dordrecht, 2005, p. 389 e sgg.

40 Cfr. A. Pizzo, Il rapporto tra la logica, il diritto e il linguaggio nella prospettiva dell’informatica giuridica, in “Diritto e diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 23 Novembre 2006, ISSN: 1127 – 8579, p. 7 (contenuto on – line: https://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/23074.html).

41 Cfr. C. Faralli, op. cit., p. 411.

42 Cfr. G. Sartor, Le applicazioni giuridiche dell’intelligenza artificiale. La rappresentazione della conoscenza, Giuffré, Milano, 1990, p. 297.

43 Cfr. A. Pizzo, Il rapporto…op. cit., p. 8. Su una possiible dualità tra linguaggio normativo e formalizzazione simbolica, cfr. A. Pizzo, Logica e sistemi normativi. Prolegomeni all’informatica giuridica, in ““Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, 3 Luglio 2008, ISSN: 1127 – 8579 (raggiungibile all’indirizzo: www.diritto.it/indice.php?cat=64), p. 8.

44 Cfr. C. E. Alchourròn – E. Bulygin, SRL .. cit., in A. A. Martino (eds.), op. cit., p. 31.

45 Ivi, p. 37.

46 Cfr. A. A. Martino – A. Chini, Logica, informatica, diritto. Dall’informatica giuridica alle nuove tecniche legislative, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 64.

47 Cfr. V. Knapp, L’applicabilità della cibernetica al diritto, Einaudi, Torino, 1960?.

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Pizzo Alessandro

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