Niente più assegno di mantenimento se la Chiesa annulla il matrimonio

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Secondo la Suprema Corte di Cassazione (sez. I Civile, ordinanza 13 aprile – 11 maggio 2018, n. 11553 ) con l’annullamento vengono meno i presupposti perché uno dei coniugi continui a versare all’altro il cosiddetto assegno di mantenimento, vale a dire il denaro nella quota stabilita da un giudice in sede di separazione.

Se la Chiesa annulla il matrimonio tra due persone separate, anche l’assegno di mantenimento stabilito in precedenza da un giudice può essere a sua volta annullato.

Lo hanno affermato gli Ermellini, nella causa tra ex coniugi, due cinquantenni della provincia di Benevento.

A differenza del divorzio, l’annullamento del matrimonio cancella il vincolo coniugale come se non fosse mai esistito.

In relazione ai matrimoni celebrati in chiesa con rito cattolico, e successivamente trascritti nei registri di Stato civile, sono competenti sia il Tribunale ecclesiastico sia quello civile.

In seguito all’annullamento da parte della Sacra Rota, attraverso un provvedimento chiamato “delibazione” il giudice dà efficacia civile alla sentenza ecclesiastica.

Fatto

Nel caso sul quale si è espressa la Cassazione, con l’ordinanza n. 11553, un uomo aveva chiesto la revoca del proprio obbligo di versare alla ex moglie 250 euro stabiliti in fase di separazione dopo l’annullamento religioso e civile del matrimonio.

All’inizio la richiesta venne accordata dal tribunale di Benevento e respinta dalla Corte di Appello di Napoli che, decidendo su reclamo della donna, aveva ritenuto che la dichiarazione di nullità del matrimonio non potesse “determinare il venire meno del diritto a percepire l’assegno”, e la Corte d’Appello in modo coercitivo, aveva intimato all’uomo di continuare a versare il mantenimento.

Decisione della Cassazione

La Cassazione ha ribaltato la sentenza, stabilendo che una volta dichiarata l’invalidità originaria del matrimonio in chiesa viene meno anche il presupposto per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento.

La separazione, spiega la Corte, rappresenta una “sospensione dei doveri di natura personale”, vale a dire fedeltà, convivenza e collaborazione, mentre “gli aspetti di natura patrimoniale restano”, ed è innegabile, continuano i giudici, che l’annullamento del matrimonio da parte della chiesa e successivamente in sede civile, faccia venire meno il vincolo matrimoniale.

“Ne deriva che, a fronte del travolgimento del presupposto, continua la Suprema Corte, non possono resistere le statuizioni economiche”.

La situazione risulta diversa se l’assegno viene stabilito in sede di divorzio e non di separazione.

La Corte aveva in precedenza stabilito “la permanenza” dell’assegno “anche in presenza della riconosciuta nullità del matrimonio”, perché una volta accertata “la spettanza di un diritto”, questo non può essere travolto da un altro giudizio.

Nel decidere per l’assegno di divorzio, i giudici hanno prima valutato l’esistenza di giustificati motivi, come la presenza di figli o l’assenza di mezzi adeguati della persona economicamente più debole, impossibilitata a procurarseli, si tratta di una forma di “solidarietà dopo il matrimonio”.

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