Niente licenziamento per scarso rendimento, se dovuto all’alto numero di assenze

Redazione 16/05/18
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Lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, per cui, laddove il recesso dal lavoro sia intimato “per scarso rendimento dovuto essenzialmente ad un elevato numero di assenze, ma tali da non esaurire il numero di comporto”, il licenziamento si rileva ingiustificato.

E’ questa l’argomentazione addotta dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 10963 dell’8 maggio 2018, respingendo il ricorso di una società datrice di lavoro, avverso la sentenza che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente per scarso rendimento, in relazione ad una serie di assenza giustificate da certificati di malattia. Assenze che, per il loro numero e collocazione temporale, l’azienda datrice aveva ritenuto idonee a determinare la completa inadeguatezza della prestazione “sul piano delle esigenze produttive ed organizzative aziendali”.

Scarso rendimento, non discende di per sé dalle assenze per malattia

Sulla questione la Corte territoriale riteneva che l’ascritta condotta di scarso rendimento, configurasse un’ipotesi soggettiva di giustificato motivo di recesso per inadempimento del lavoratore, che tuttavia non poteva discendere di per sé da malattie giustificate del medesimo.

Della stessa opinione la Corte di Cassazione, secondo la quale, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, lo scarso rendimento può consistere nella inadeguatezza qualitativa o quantitativa della prestazione, ma a tali fini deve tenersi conto delle sole diminuzioni di rendimento determinate da imperizia, incapacità e negligenza e non anche di quelle determinate dalle assenze per malattie o permessi. Pertanto se il recesso è stato intimato – come nel caso esaminato – per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di giorni di malattia (che tuttavia non superano il periodo di comporto), detto recesso deve dirsi ingiustificato.

Lavoro subordinato, non c’è obbligazione di risultato

D’altra parte – rammenta la Corte nella stessa pronuncia – nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato, ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti. Con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell’obbligazione di compiere un’opera o un servizio (come, eventualmente, nel lavoro autonomo). Ciò detto, ove tuttavia siano individuabili dei parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con la diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, il discostamento da detti parametri può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione.

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