Modelli di corporate governance nelle privatizzazioni

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         L’arrivo in borsa della società Iride nata dalla fusione tra AEM-Torino e AMGA- Genova costituisce un’anteprima per le future fusioni che dovrebbero avvenire nei prossimi mesi a partire dall’integrazione AEM – Milano e ASM- Brescia, anche se le difficoltà sono enormi per gli equilibri da modificare.
         Già Bearle e Means osservarono negli anni ’30 che nelle imprese moderne i ruoli di investitore e imprenditore, nelle imprese medio – grandi, non coincidono, Coase a sua volta rilevò che aziende e mercati sono due sistemi alternativi per coordinare i comportamenti degli individui, infatti nell’azienda vi è un rapporto di subordinazione tra i contraenti riconosciuto dal sistema giuridico, mentre nelle transazioni di mercato le parti sono paritarie.
         Sviluppando l’intuizione degli autori citati per corporate governance devono intendersi le norme, le regole le istituzioni poste a tutela degli investitori esterni (outsiders) nei confronti dei “soggetti” interni (insiders) all’azienda (manager, imprenditori e azionisti dominanti).
         Nel tentativo di regolare i rapporti tra outsiders e insiders dando una soluzione ai problemi di agenzia vengono stipulati una rete di contratti tra azionisti di maggioranza, azionisti di minoranza, obbligazionisti e manager in modo da disciplinare e monitorare i comportamenti degli agenti nei confronti dei mandanti (Alchin, Demsetz, Jensen, Meckling).
         La struttura di corporate governance può pertanto considerarsi ottimale se minimizza preventivamente i possibili futuri costi di agenzia e in questo risulta fondamentale il disegno della struttura del capitale dell’impresa.
         Dobbiamo tuttavia considerare che in un contesto di frizioni giudiziarie i contratti legali hanno necessariamente un uso limitato non essendo l’informazione accessibile a tutti in termini uguali, interviene quindi la contrattazione strategica, ossia la capacità di definire e sostenere contratti impliciti, in altre parole non interviene tanto la minaccia legale quanto l’interesse dei contraenti a mantenere la propria reputazione o le relazioni intessute con la controparte secondo le necessità proprie dei meccanismi di mercato (Baker, Gibbons, Murphy). Se a questo aggiungiamo le disfunzioni del sistema giudiziario, i costi legali e la difficoltà di una verifica da parte di terzi emergono chiaramente i limiti dei contratti espliciti.
         Proprio rilevando l’importanza dei contratti impliciti si comprendono le implicazioni delle variabili “soft”, come la cultura aziendale con le sue regole non scritte e la responsabilità sociale, quale fonte di fiducia, che permettendo un efficace ricorso alla contrattazione strategica riducono i costi di transazione tra stakeholders. Tuttavia non è inutile precisare che nella rete di contratti rientrano anche i fornitori, i dipendenti e i clienti quali portatori di propri specifici interessi e partecipanti al successo aziendale.
         Limite alla contrattazione sia legale che strategica è l’incapacità di prevedere tutti gli eventi futuri, in parte il problema viene risolto assegnando alle parti in gioco i poteri decisionali per tutti quegli aspetti non disciplinati dai veri contratti (statuti societari, contratti dirigenziali, accordi sindacali, etc.), poteri che si sostanziano in quello che è uso definirsi “diritti residuali di controllo”(Grosman, Hart) che investono o la gestione ordinaria, o la gestione strategica o infine la politica aziendale a lungo termine.
         L’attribuzione dell’autorità non è statica ma varia nel tempo a seguito dei risultati aziendali, tenendo presente che l’assegnazione di autorità influenza l’impegno dei vari stakeholders in quanto determina il successivo processo di divisione della ricchezza creata (Hart, Moore).
         Sebbene gli stakeholders poveri dell’autorità necessaria quali obbligazionisti, fornitori e dipendenti dispongano di forme integrative di protezione previste nei vari contratti, essendo la contrattazione incompleta e di natura strategica i “diritti residuali di controllo” possono essere usati per modificare i diritti statuiti, come nel caso delle difficoltà di carriera una volta assorbita la società o della riduzione di valore di mercato del debito con l’espandersi dello stesso.
         Assume pertanto importanza l’equilibrio di potere all’interno del Consiglio di Amministrazione.
         I vari modelli gestionali proposti, che vanno dall’enfasi sugli interessi degli azionisti (anglosassone) a quello dei vari stakeholders (europeo), hanno in realtà valore in riferimento al contesto sociale in cui sono calati, basti pensare alle inefficienze del sistema legislativo o giudiziario e alle possibili mobilità territoriali o di mercato.
         In quest’ambito acquista particolare importanza, al fine di comprendere i vari modelli di corporate governance, la struttura del sistema legale e di quello giudiziario. Il valore stesso dei diritti societari è in parte influenzato dalla efficienza della tutela offerta dai predetti sistemi, circostanza che si riflette anche sulle dimensioni delle imprese in cui emerge una scarsa fiducia nell’investire in società non controllate o nel prestare le somme necessarie anche per le difficoltà incontrate nel ricorso alla contrattazione implicita, vedasi il caso delle difficoltà di una adeguata rappresentazione delle minoranze azionarie nel Consiglio di Amministrazione ( La Porta, Lopez, Shleifer, Vishny ). Siamo in realtà in presenza di una ipotesi di mercati imperfetti.
         La privatizzazione delle imprese pubbliche è avvenuta a partire dagli anni ’90 attraverso il passaggio per una privatizzazione formale, in particolare a livello degli enti locali (L. 142/90), prima mediante la trasformazione in aziende municipalizzate e successivamente in società per azioni (Borgonovi).
         Le conseguenze gestionali sono state la limitazione dei poteri dell’ente:
 
·        All’esercizio dei diritti riconosciuti dalla normativa civilistica all’azionista proprietario;
·        All’esercizio di funzioni di indirizzo, programmazione e controllo.
 
Vi è pertanto una separazione tra proprietà dell’ente locale e controllo che passa al management dell’ impresa. Un ulteriore passaggio ha portato alla quotazione delle società con una quota di minoranza del capitale in mano ai privati, questo comporta una immissione di altri interessi nella compagine sociale che possono essere raggruppati in tre classi (Pivato):
 
1.     azionisti finanziari, interessati alla valorizzazione del capitale investito;
2.     azionisti industriali, interessati alle sinergie industriali;
3.     altri azionisti, fornitori, dipendenti, etc.
 
Questa composizione complica il rapporto proprietà/controllo, sollevando il problema della struttura di governo. La risposta da parte degli enti è stata il mantenimento della quota di maggioranza e quindi del potere decisionale, a fronte di una frammentazione del capitale collocato sul mercato azionario.
La scarsa contendibilità di queste società non ha scoraggiato dalla partecipazione azionaria sia in termini industriali, in quanto fonte di alleanze strategiche e patti parasociali, sia in termini finanziari soprattutto per i notevoli dividendi, essendo tali società delle utility fornite di un grosso flusso di cassa.
Nascono tuttavia grossi problemi per l’accorpamento delle stesse, proprio perché controllate dal potere locale e non contendibili, questo anche per i notevoli dubbi sorti ultimamente sull’opportunità di una privatizzazione sostanziale nell’ambito di monopoli naturali di servizio non facilmente eliminabili.
Sorge la questione della possibile reticolarizzazione delle imprese e delle potenziali perdite di controllo da parte degli enti, se vi è in generale la paura di una perdita del controllo Ward al contrario sostiene che vi è un contributo al controllo da parte dei partners contrattuali mediante spinte e incentivi in direzione dell’adozione di soluzioni ottimali di governance, questo anche attraverso una accountabily del sistema decisionale di impresa, infatti ci si può attendere un allargamento delle rappresentanze nel C. d. A. a seguito della domanda dei partners con conseguente diminuzione dell’incidenza degli insider sugli outsider.
La complessità informativa ambientale potrà inoltre favorire la divisione delle funzioni direttive (A.D. e Presidente), oltre ad una corretta ripartizione e distribuzione degli incentivi a causa della varietà dei soggetti con interessi contrastanti ed impegnati a far sì che vengano soddisfatti gli impegni presi. Non deve infine nascondersi la possibilità di comparazioni tra i vari trattamenti economici ed inoltre una possibile conseguente maggiore diffusione azionaria.
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
·        Spring, Corporate Governance: First Principles, current debates, future prospects, in “European Business Forum”, 5, 6 – 13, 2001;
·        A. Alchian – H. Demsetz, Proction, Information Costs and Economic Organization, in “American Economic Review”, 62, 677 – 705, 1972:
·        R. La Porta – F. Lopez de Silanes – A. Shleifer – R.Vishny, Law and Finance, in “Journal of Political Economy”, 106, 1113 – 1155, 1998;
·        A. Grandini – S. Carpani, Reti interaziendali e Corporate Governance, in “Economia & Management”, 99 – 110, 2/2004;
·        D. Cristofoli – F. Zerbini, Privatizzazioni e Corporate Governance. Il caso delle imprese pubbliche locali quotate, in “Economia & Management”, 61-72, 6/2002.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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