Mobbing dossier

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1.       Che cos’è il mobbing da lavoro
Il termine mobbing è stato coniato nel settanta dall’etologo[1]. Lorenz per descrivere il comportamento di alcuni animali che circondano un proprio simile e lo assalgono per allontanarlo dal branco, in particolare in etologia mobbing indica il comportamento degli uccelli di piccola taglia nell’atto di respingere un loro predatore. Mobbing deriva dall’inglese "mob", dal latino "mobile vulgus", che significa "folla dedita al vandalismo". Da qui il significato assunse presso le classi più elevate anche una connotazione spregiativa, per cui "mob" era equivalente all’italiano "plebaglia"
Il termine ha acquistato potenza metaforica per esprimere l’immagine dell’assalto di un gruppo, la situazione di terrore dovuta all’isolamento della vittima di fronte al gruppo, alla parola è correlato anche il lemma mobster, che indica chi appartiene alla malavita.
Negli anni Ottanta il termine venne ripreso dallo psicologo del lavoro Heinz Leymann[2], il quale lo applicò ad un nuovo disturbo che aveva osservato in alcuni operai e impiegati svedesi sottoposti ad una serie di traumi psicologici sul lavoro.
Per mobbing quindi s’intendono tutti quei comportamenti[3] violenti che si verificano sul posto di lavoro attraverso atti vessatori[4] lesivi dei valori di dignità e che nascono da una frustrazione del mobbizzante[5]. Comunque data la natura di questo fenomeno non esiste ancora un’universalità di terminologia a livello mondiale[6].
Posto che non esiste un reato di mobbing[7], questo ha assunto di volta in volta connotazioni diverse, può essere elemento costitutivo di reato, dalle lesioni alla violenza privata, estorsione, abuso di ufficio, maltrattamenti. Il mobbing può essere anche un movente d’ispirazione del disegno criminoso del mobber oppure può trattarsi di circostanza aggravante di reato es motivo abietto, futile, crudeltà verso le persone.
Dal punto di vista legislativo la Regione Lazio con legge del 2001 ha definito il "mobbing" come il complesso di atti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti, pubblici o privati, da parte di un datore o da soggetti posti in posizione sovraordinata oppure da altri colleghi; analoghe definizioni si rinvengono nellaLegge Regionale Friuli Venezia Giulia dell’8 aprile 2005, n.7, nella Legge Regionale Umbria del 28 febbraio 2005 n.18 e ancora nella Legge Regionale Abruzzo dell’11 agosto 2004, n. 26.
Per quanto attiene le tipologie di mobbing, distinguiamo un tipo individuale qualora le condotte sono rivolte nei confronti di un unico soggetto ed un mobbing collettivo allorquando le condotte abbiano ad oggetto un gruppo di lavoratori. Il mobbing può essere ancora di tipo verticale ascendente se esercitato nei confronti di un capo (molto raro in Italia) o discendente se esercitato nei confronti di un sottoposto, oppure orizzontale se esercitato fra colleghi di pari grado. Esiste poi un mobbing emozionale che infierisce nelle relazioni interpersonali ed un mobbing strategico volto ad espellere il lavoratore dall’azienda. Anche l’intensità e le manifestazioni del mobbing sono molteplici, il fenomeno può essere diretto, indiretto volto cioè contro i famigliari[8] del lavoratore, leggero se caratterizzato da continue illazioni o pesante se si palesa con eventi plateali.
Il mobbing può palesarsi con forme diverse: aggressioni fisiche o verbali, richiami disciplinari, isolamento, demansionamento, compiti inutili e paradossali. In ogni caso l’evento si traduce in un attacco alla possibilità di comunicare, alle relazioni sociali, all’immagine, alla professionalità, alla salute.
 
Quanto alla durata perché ci sia mobbing, il conflitto deve durare almeno sei mesi, con una frequenza settimanale, ma la di là della durata, ciò che è evidente è la volontà dell’aggressore, un preciso disegno distruttivo volto all’annientamento del mobbizzato. Per questo, con l’espressione "tempo del mobbing" si indicherà il periodo che il soggetto, trascorsa la fase di analisi dei comportamenti e percepito il suo status di vittima, dedicherà al recupero di prove per dimostrare l’attendibilità delle sue accuse e intentare un’eventuale azione legale[9].
Accanto al mobbing da lavoro, esiste poi un mobbing famigliare  che è riconducibile a quattro casi: sabotaggi delle frequentazioni con il figlio, emarginazione dai processi decisionali tipici dei genitori[10], minacce, denigrazione e delegittimazione familiare.
Nel mobbing di società invece lo scopo è quello di indurre un membro non gradito all’autoallontanamento dal gruppo o associazione, attraverso tutta una serie di pressioni e vessazioni. Vi è poi il mobbing a scuola che si identifica con il bullismo di gruppo organizzato ai danni di un compagno di classe.
2.       Esempi di comportamenti mobbizzanti sul posto di lavoro
 La pratica del mobbing consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o fisica. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali (fare fotocopie, ricevere telefonate, compiti insignificanti, dequalificanti o con scarsa autonomia decisionale) così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro.
Il mobbing può anche concretizzarsi con rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità; dotare il lavoratore di attrezzature obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati; interrompere il flusso di informazioni necessario per l’attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull’accesso a Internet)
Ulteriori manifestazioni del fenomeno sono date ad esempio da continue visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra oppure non la trova affatto). Insomma, un sistematico processo di "cancellazione" del lavoratore condotto con la progressiva preclusione di mezzi e relazioni interpersonali indispensabili allo svolgimento di una normale attività.
Altri elementi che fanno configurare il mobbing, possono essere "doppi sensi" o sottigliezze verbali quando si è in presenza del collega mobbizzato, cambio di tono nel parlare quando un superiore si rivolge al collega vittima, dare pratiche da eseguire in fretta l’ultimo giorno utile.
Secondo L’INAIL[11] che per prima in Italia ha definito il mobbing lavorativo qualificandolo come costrittività organizzativa, le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dalla attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti o degli strumenti, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale o di compiti esorbitanti anche in relazione a eventuali condizioni di handicap, l’impedimento dell’accesso a notizie, la inadeguatezza delle informazioni inerenti l’ordinaria attività, l’esclusione reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato ed eccessivo.
 Il mobbing può essere inquadrato dunque come una malattia professionale[12], esistono cioè situazioni di “costrittività organizzativa” che si identificano in una serie di attività poste in essere dall’azienda nei confronti del mobbizzato.
 
3.       Perché nasce il mobbing
 La migliore dottrina individua un approccio “culturale” come Harald Ege che vede nelle differenze culturali fra i vari paesi la causa del mobbing, oppure si assiste all’approccio "della violenza organizzativa" di Paul McCarthy che ritiene il mobbing frutto della competizione apportata dalla globalizzazione.
Fra le cause del mobbing si evidenziano fattori soggettivi[13] come stress, conflitti, tratti di personalità e relazioni interpersonali oppure fattori oggettivi legati all’organizzazione[14] aziendale. Perché ci si ammala?. Il mobbing per la vittima è fonte di stress, il soggetto può reagire attraverso la mobilitazione delle proprie energie per far fronte alla situazione fino a raggiungere l’omeostasi. Se lo stress persiste o se l’organismo non è in grado di mettere in atto risposte adeguate, subentra l’esaurimento dove l’organismo soffre danni irreversibili. Lo stress può essere causa di conflitti di tipo emotivo, se si verificano dei disaccordi fra i desideri del lavoratore oppure conflitti di tipo cognitivo, se si verificano dissonanze fra diversi aspetti conoscitivi del lavoro.
 
4.       Conseguenze del mobbing
 Il danno[15]. per la vittima è di tipo patrimoniale (lucro cessante e danno emergente) e non patrimoniale ovvero biologico/alla salute[16], esistenziale e morale
I disturbi fisici generalmente presenti sono l’ipertensione, l’ulcera, le malattie artrosiche, le malattie della pelle e perfino i tumori. Tristemente famoso è il caso dell’ILVA di Taranto, riconosciuto ufficialmente come mobbing da tutti i maggiori studiosi italiani: la famigerata palazzina LAF[17] (una palazzina che ospitava uffici per gli impianti di laminatoio a freddo, da cui deriva il nome), dismessa da anni, e nella quale i dirigenti dell’ILVA avevano messo settantanove dipendenti (tutti impiegati e laureati); solo dopo l’intervento del centro di salute mentale di Taranto, che inviò un esposto alla procura, dei mass media locali e nazionali e di Amnesty International la palazzina è stata chiusa. Questo caso, pur nella sua gravità, non è emblematico. Il mobbin[18]g, infatti, viene consumato in maniera isolata, sotto gli occhi di spettatori indifferenti, a loro volta ricattati dal mobber.
Quali le conseguenze per l’azienda?. In primis un calo dell’efficienza fra i dipendenti, conseguenze economiche, danno di immagine, infortuni, malattie stress correlate, danno erariale, aumento del contenzioso. Ma il mobbing non solo ha conseguenze per la vittima e per l’azienda, si registrano effetti anche a livello sociale come l’aumento della spesa sanitaria, l’aumento del carico fiscale per i dipendenti e il sistema previdenziale.
5.       Come affrontare il mobbing: l’importanza della denuncia
La vittima deve denunciare il mobbing, può fare un discorso davanti ai colleghi, oppure può appendere un foglio in bacheca o distribuirlo, può intervenire in un’assemblea sindacale o inoltrare protesta formale presso i superiori, seguendo i regolamenti dell’azienda. Ancora: può chiedere ai giornali di pubblicare la sua storia, rivolgersi ai sindacati per aprire una vertenza, fare appello alle autorità per un ricorso o una querela contro i suoi persecutori. L’importante è che la denuncia abbia queste caratteristiche: deve avere pubblicità sul luogo di lavoro, deve essere trasparente, una rivendicazione di dignità. Il fenomeno può essere combattuto con l’aiuto del sindacato, psicologi, associazioni e centri di ascolto, avvocati, medici di base che diagnosticheranno gli effetti estremi del mobbing. Non solo ma c’è poi un mobbing d’ascolto che è quello che il mobbizzato riversa sui parenti e famigliari e che può portare anche a separazioni o crisi all’interno delle famiglie. Fra le soluzioni transitorie che possono apportare un breve sollievo al mobbizzato: il periodo di malattia o il distacco, soluzioni definitive sono invece il trasferimento o le dimissioni che vanno sempre lette però come una sconfitta e un conseguente crollo dell’autostima. Ma prima di difendersi dal mobbing, è doveroso effettuare un’efficace azioni preventiva, questa si può fare attraverso la formazione, i contratti, un codice di comportamento, interventi sindacali e comitati aziendali. I codici di comportamento prevedono una procedura informale per i casi di mobbing dove il lavoratore denuncia al consigliere di fiducia che assume ogni utile iniziativa per la soluzione del problema, mentre nella procedura formale il lavoratore presenta un’istanza al comitato che ascolta il lavoratore e propone interventi utili.
6.       Tutela giuridica
Un mobbizzato, quando vuole intentare una causa contro il proprio persecutore[19][20], quanto alla giurisprudenza civile e penale. Il lavoratore che lamenti di aver subito comportamenti mobbizzanti e che intenda chiedere in giudizio il risarcimento[21] è gravato dall’onere di dare la prova delle condotte realizzate in suo danno, del danno patrimoniale o esistenziale subito, dell’eventuale incidenza di tale danno sulla sua integrità psico-fisica. A livello europeo, un libro verde del Parlamento, "Il mobbing sul posto di lavoro", del 16 luglio 2001, introduceva il dibattito in sede comunitaria. La successiva risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing[22] è uno dei primi riferimenti normativi in materia, non recepito nell’ordinamento italiano. In Italia non esiste una legge in materia di mobbing e quindi il fenomeno non è configurato come specifico reato a sé stante. Gli atti di mobbing possono però rientrare in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale, quali le lesioni personali gravi o gravissime, anche colpose che sono perseguibili di ufficio e si ritengono di fatto sussistenti nel caso di riconoscimento dell’origine professionale della malattia. , può fare appello tanto al diritto del lavoro con lo Statuto dei lavoratori
Un successiva sentenza della Corte di Cassazione[23], stabilisce che un periodo di malattia eccedente i limiti previsti nel CCN non è giustificato motivo soggettivo di licenziamento se la malattia o ha causa prevalente nell’attività lavorativa, oppure se trova nell’attività lavorativa una concausa aggravante e il datore non adibisce il lavoratore ad altre mansioni. L’INPS può però esercitare diritto di rivalsa su chi ha determinato la malattia/invalidità e il pagamento della relativa indennità.
Secondo l’avviso della Corte Costituzionale, gli atti posti in essere possono risultare "se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico", assumendo, pur tuttavia, "rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall’effetto"e risolvendosi, normalmente, in "disturbi di vario tipo e, a volte, patologie psicotiche, complessivamente indicati come sindrome da stress postraumatico".
In effetti, il mobbing può realizzarsi con comportamenti datoriali indipendentemente dall’inadempimento di specifichi obblighi o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. Quindi l’esistenza della lesione del bene protetto e delle conseguenze deve essere valutata nel complesso degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa[24]
La più frequente azione da mobbing consiste nel dequalificare il lavoratore per demotivarlo, farlo ammalare e costringerlo alle dimissioni, considerando che, sul piano giuridico, il demansionamento é vietato perché costituisce sempre lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, tutelato dagli artt. 1 e 2 della Costituzione; il danno che ne deriva è suscettibile di per sé, di risarcimento[25].
Un primo disegno di legge del 21 marzo 2002, presentato da senatori di Rifondazione Comunista, definiva un protocollo medico oggettivo del quale il giudice del lavoro poteva avvalersi per accertare le cause di mobbing. Il disegno di legge, poi bloccato, conteneva la proposta di spostare la competenza delle cause di mobbing dai tribunali ordinari al giudice del lavoro, riportando le cause di mobbing dai tempi di una causa civili alla celerità dei contenziosi in materia di diritto del lavoro.
In giurisprudenza le sentenze sul mobbing si moltiplicano alla fine degli anni ’90, il leading case è la sentenza della Sezione lavoro della Cassazione[26] avente ad oggetto il caso di tre lavoratrici costrette a dimettersi per essere state oggetto durante l’orario di lavoro di molestie sessuali e di veri e propri atti di libidine violenti da parte del datore[27]
In tema di responsabilità del datore, ricordiamo la sentenza della Corte di Cassazione n. 8267/97 che ha statuito che il datore è responsabile ex art. 2087 c.c. ove i lavoratori subiscano una compromissione della salute a causa di un eccessivo impegno sul lavoro, dal momento che la ricerca di maggiori livelli di competitività produttiva non può compromettere l’integrità psico-fisica dei lavoratori. Di conseguenza il datore di lavoro ha il dovere di adottare un organico di personale adeguato al volume produttivo della sua azienda. Si tratta di una sentenza molto importante perché sancisce l’illegittimità dei sovraccarichi di lavoro e tutela l’incolumità fisica del lavoratore.
Nel 1999 la Corte di Cassazione con sentenza n. 475ha statuito che un comportamento, anche astrattamente lecito, del datore di lavoro diventa illegale, e quindi risarcibile, ove nasconda un intento persecutorio. Nello stesso anno la Corte ha poi ricordato[28] che il lavoratore che abbia subito un licenziamento ingiusto, per esempio con accuse false sul suo comportamento, ha diritto non solo alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma anche ad un risarcimento per il danno arrecato alla sua reputazione. Vengono quindi sanzionati due comportamenti ritenuti illegittimi da parte del datore ovvero il comportamento persecutorio e le false accuse a carico del lavoratore, trattasi di due azioni che però non definiscono ancora il concetto di mobbing.
La Corte di Cassazione sent. n. 5491/00 ha ribadito che, ove si controverta in materia di danno biologico, la norma di riferimento deve essere l’art. 2087 c.c. confermando così che è comunque il dipendente ad avere l’onere di provare l’esistenza di un nesso causale tra il comportamento del datore e l’insorgere di un pregiudizio alla sua salute. Nello stesso anno la Suprema Corte[29] ha statuito che rientrano nella responsabilità del datore tutte le lesioni arrecate all’integrità psico-fisica dei lavoratori da un eccessivo carico di lavoro straordinario.
Nelle sentenze di merito iniziano anche a comparire le prime definizioni di "mobbing" che viene caratterizzato da diversi elementi essenziali quali: l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico[30]. Caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralita’ di atti[31], la volontà che lo sorregge e la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico.
Solo nel 2003 la Corte di Cassazione[32] definisce compiutamente l’oggetto del mobbing, la normativa in materia può infatti avere un triplice oggetto, in quanto può riguardare la prevenzione e repressione dei comportamenti dei soggetti attivi del fenomeno, le misure di sostegno psicologico e, se del caso, l’individuazione delle procedure per accedere alle terapie di tipo medico di cui la vittima può avere bisogno ed il regime degli atti o comportamenti posti in essere da quest’ultima come reazione a quanto patito.
Nel 2004 la giurisprudenza di merito definisce il mobbing come un comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a isolarla e a respingerla dall’ambiente di lavoro, con conseguenze negative dal punto di vista sia psichico sia fisico. In particolare, i comportamenti vessatori devono essersi ripetuti con continuità per un periodo minimo di almeno sei mesi.
La Corte interviene nello stesso anno[33] tutelando la capacità professionale del lavoratore e statuendo che il termine "mobbing" può essere riferito ad ogni ipotesi di pratica vessatoria, nell’ipotesi in cui la tutela invocata attenga a diritti lesi da comportamenti che rappresentano l’esercizio di poteri datoriali, in violazione non solo del principio di protezione delle condizioni di lavoro, ma anche della tutela della professionalità prevista dall’art. 2103 c.c..
Sempre nel 2004 intervengono addirittura le Sezioni Unite della Cassazione[34] che definiscono il mobbing come quella pratica vessatoria posta in essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro.
Parte della giurisprudenza di merito precisa che[35] il mobbing va comunque distinto da altri comportamenti discriminatori posti in essere sul luogo di lavoro quali, ad esempio, le molestie[36] sessuali o il demansionamento. Comportamenti, questi ultimi, che possono essere ricompresi tra le condotte mobbizzanti ma non le esauriscono.
Nel 2005 si assiste ad una proliferazione delle sentenze sul mobbing, in particolare si afferma[37] che il lavoratore vittima del mobbing che provi che le conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le attività persecutorie compiute per nuocerlo, ha diritto alla riparazione di tutti gli aspetti non patrimoniali di danno sofferti, anche se per la liquidazione non potrà che farsi ricorso al criterio dell’equità, trattandosi di riparare la lesione di valori inerenti alla persona. Il mobbing cui sia sottoposto il lavoratore, oltre a potere causare sia un danno patrimoniale che biologico, ovviamente risarcibili, genera necessariamente tanto un danno morale, quanto un danno esistenziale, cioè di natura dinamico-relazionale, autonomamente e cumulativamente risarcibili ex art. 2059 c.c., anche se l’illecito non costituisca reato.
 Il mobbing è dunque un fatto illecito consistente[38] nella sottoposizione del lavoratore ad azioni che risultano moleste e attuate con finalità persecutorie, tali da rendere penosa per il lavoratore la prosecuzione del rapporto di lavoro. Del danno da mobbing risponde il datore di lavoro, per "culpa in vigilando", anche quando sia stato causato dai colleghi di lavoro della vittima.
Sempre nel 2005 è intervenuta in materia anche la Corte di Cassazione[39]statuendo la responsabilita’ del datore anche ove il comportamento materiale sia posto in essere da altro dipendente. Anche se il diretto comportamento in esame e’ caratterizzato da uno specifico intento lesivo, la responsabilita’ del datore puo’ discendere, attraverso l’art. 2049 cod. civ., da colpevole inerzia nella rimozione del fatto lesivo. In particolare[40] il datore di lavoro risponde del danno da mobbing (vale a dire l’aggressione alla sfera psichica del lavoratore) ex art. 2087 c.c., a nulla rilevando che le condotte materiali siano state poste in essere da colleghi pari grado della vittima, in quanto quel che rileva unicamente è che il datore sapesse – ovvero potesse sapere – di quanto stava accadendo.
Nel 2007 vengono ribaditi dalla Suprema Corte[41] gli elementi identificatori di questo fenomeno, ovvero la reiterazione delle condotte per un periodo di tempo apprezzabile (almeno 6 mesi), visite mediche fiscali continue, attribuzione di note di qualifica di insufficiente o anche la semplice privazione della abilitazione necessaria per operare al terminale. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa. 
Il lavoratore la cui patologia è stata riconosciuta come l’effetto complessivo di una molteplicità di fattori (mobbing e preesistente depressione, aggravatasi) è indennizzabile per il solo danno differenziale[42].
In ogni caso il datore[43] deve vigilare per impedire il mobbing e la prescrizione decorre da quando si è manifestato il danno e non dal giorno in cui sono iniziate le vessazioni[44].
Il datore[45] di lavoro è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente a una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi di lavoro, ove venga accertato che il superiore gerarchico, pur essendo a conoscenza dei comportamenti scorretti posti in essere da questi ultimi, non si sia attivato per farli cessare.
Nel 2008 la Cassazione[46] fissa i confini del mobbing e precisa che il mobbing e’ costituito da una condotta protratta nel tempo con l’obiettivo di danneggiare il dipendente. Non serve pero’ un ampio periodo di tempo perche’ l’illecito possa essere contestato (bastano 6 mesi); inoltre il datore di lavoro e’ sempre responsabile della condotta del dipendente in posizione di supremazia gerarchica e non puo’ sottrarsi alla sanzione tentando una riparazione senza atti di pacificazione e vigilanza concreti.
 
Da ultimo il Consiglio di Stato con una recentissima sentenza[47] ha statuito che la condotta di mobbing del datore, ravvisabile in ipotesi di comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali, deve essere provata dal lavoratore. A tal fine valenza decisiva è assunta dall’accertamento dell’elemento soggettivo e, cioè, dalla prova dell’intento persecutorio.
Ad ogni modo rimangono parecchi dubbi in tema di mobbing. Difatti se, da un lato, le Sezioni civili della Corte di Cassazione hanno più volte ribadito che il mobbing rappresenta, sul piano civilistico, una condotta ingiusta ed illegittima, dall’altro lato, le Sezioni penali dello stesso Supremo Organo hanno stabilito a partire dal 2007, inaspettatamente, che il mobbing non costituisce reato in quanto si tratterebbe di una fattispecie non prevista dal nostro Codice Penale e, quindi, non punibile penalmente in virtù del principio “nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali” previsto dall’art. 1 del Codice Penale italiano.
Quanto alla tutela penale, nel nostro ordinamento non vi sono norme penali che sanzionano atteggiamenti di vessazione[48] morale o di dequalificazione professionale in quanto tali. Proprio le difficoltà che l’interprete incontra nell’individuare un’efficace tutela penale a favore della vittima di mobbing, hanno determinato il proliferare di nuove proposte anche in sede legislativa. Pur nella consapevolezza della difficoltà di stabilire con precisione le fattispecie concrete degli atti e dei comportamenti attraverso i quali si verificherebbero la violenza e la persecuzione psicologica ai danni dei lavoratori, è evidente che il mobbing in quanto tale, può e deve avere autonoma rilevanza penale e trovare sanzione nell’ambito di una normativa non limitata al risarcimento del danno davanti al giudica del lavoro.
A parte i casi di ingiuria (offesa all’onore e al decoro) o di diffamazione (offesa della reputazione resa pubblica) previsti dal codice penale e sanzionati come delitti contro l’onore, l’individuazione delle ipotesi di reato a carico del soggetto che pone in essere attività inquadrabili nel fenomeno del mobbing, si basa attualmente sugli effetti che tali azioni hanno sull’individuo che le subisce. Questo determina il fatto che la perseguibilità degli stessi (dagli abusi sessuali ai ricatti lavorativi qualificabili come vere e proprie estorsioni) passa solo attraverso l’attuale paradigma normativo delle specifiche figure di reati, prescindendo dal contesto lavorativo nel quale tali episodi si verifichino.
In base all’attuale normativa, fino a che non si dimostri in modo inequivocabile che il lavoratore mobbizzato si sia ammalato di mobbing, la tutela in ambito penalistico non ha concreta praticabilità. Ove fosse stabilito che è stata danneggiata la sua salute, il primo passo da compiere è accertare se la lesione sia stata causata dal mobbing, se cioè, esiste un nesso di casualità tra i comportamenti posti nell’ambiente di lavoro e gli effetti subiti. E’ poi indispensabile accertare se la volontà del soggetto agente (il datore di lavoro o il collega) sia frutto di un dolo (si basa sulla coscienza e volontà della condotta e dell’evento offensivo)o di una colpa (si basa sulla coscienza e volontà della condotta ma non dell’evento, che si realizza invece per negligenza, imprudenza, imperizia o violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline specifiche). Tale verifica si fonderà innanzitutto sulla condotta del soggetto, ma anche sulle circostanze del fatto che hanno concorso all’azione criminosa, oltre che su altri elementi, quali le motivazioni dichiarate dal lavoratore stesso. Il rapporto causale pertanto, così come lo intende la legge attuale è, in caso di mobbing, difficilmente dimostrabile. Anzitutto perché la malattia psichica, seppur verificatasi, è per sua stessa definizione plurietiologica e riflette senza dubbio condizioni ambientali pluriconcorsuali. Il fenomeno del mobbing dovrebbe allora essere perseguito "in sé", quale reato di pericolo a produrre l’evento, cioè, come reato di pura condotta, e non tanto per gli effetti prodotti.
 
7.       Il disegno di legge – Legislatura 16º – Disegno di legge n. 856
Una legge in materia è ormai indispensabile anche in Italia, e non solo per motivi etici: l’Unione europea ha più volte sanzionato l’Italia per la mancanza di una legge su questo fenomeno. Le malattie mentali e fisiche dovute al mobbing recano danni socioeconomici rilevanti alla società: costi per i ricoveri ospedalieri, costi per le cure e, infine, un lavoratore, costretto al prepensionamento a soli quaranta anni, determina un costo sociale notevolmente più elevato rispetto ad un lavoratore che va in quiescenza in età prevista. Un danno economico rilevante anche per la società e le aziende, sia pubbliche che private.
L’articolo 1 individua il campo di applicazione del disegno di legge il cui fine è quello di tutelare i lavoratori nell’ambito dei rapporti di lavoro, nel settore pubblico e privato, e indipendentemente dalla natura degli stessi. L’articolo 2 definisce i concetti di molestie morali e violenza psicologica e le modalità attraverso le quali tali atti sono posti in essere, introducendo altresì il concetto di danno psicofisico provocato dai comportamenti precedentemente definiti. Con l’articolo 3 si prevede che i datori di lavoro, pubblici e privati, e le rispettive rappresentanze sindacali, in concorso con i centri regionali per la prevenzione, organizzino iniziative periodiche di informazione per i dipendenti, allo scopo di prevenire le situazioni di mobbing. Il datore di lavoro ha l’obbligo tempestivo di accertare i comportamenti denunciati e prendere provvedimenti per il loro superamento (articolo 4). L’azione di tutela giudiziaria (articolo 5) prevede un percorso attraverso il giudizio immediato del tribunale del lavoro al fine di salvaguardare i soggetti da danni psicofisici permanenti. L’articolo 6 disciplina la pubblicità del provvedimento di condanna emesso dal giudice; l’articolo 7 contiene previsioni in materia di sanzioni per coloro che pongono in essere comportamenti rilevanti ai fini della presente legge; l’articolo 8 prevede che tutti gli atti discriminatori assunti e riconducibili al mobbing siano nulli. Con l’articolo 9 si istituiscono centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo, quale organo tecnico di consulenza dei servizi di prevenzione delle Aziende unità sanitarie locali (AUSL).
 
 
a cura della dott.ssa Anna Rita Caruso
 ispettore del lavoro[49]
 


[1] Marie-France Hirigoyen: Le harcèlement moral, la violence perverse au quotidien, Syros, Paris, 1998. Nel suo libro «Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro», tradotto in italiano da Einaudi, la psicanalista francese Marie France Hirigoyen, esperta in vittimologia (disciplina per la quale è stata istituita in Francia una cattedra universitaria), parla del «narcisista perverso», di uno psicotico senza sintomi, che trova il suo equilibrio scaricando su un altro il dolore che non è capace di sentire. Questo transfert del dolore gli permette di valorizzarsi a spese di un altro.
[2] Secondo Heinz Leymann (1993), il mobbing è il terrore psicologico e consiste in una comunicazione ostile da parte di uno o più individui contro un singolo che è spinto in una posizione in cui è privo di difesa e lì costretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (almeno una alla settimana) e su un periodo di sei mesi.
[3] Marrie France Hirigoyen ritiene che il mobbing si definisce come comportamento abusivo (gesti, parole, comportamento, atteggiamento…) che minaccia, con la sua ripetizione o la sua sistematizzazione, la dignità o l’integrità psichica o fisica di una persona, mettendo in pericolo il suo posto di lavoro o degradando il clima di lavoro.
[4] Per Harald Ege, il mobbing è una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi, o superiori.
[5] Secondo Tim Field, il bullying è la manifestazione di una frustrazione (sociale, personale, relazionale, comportamentale, professionale) proiettata sugli altri attraverso il controllo, la sopraffazione, l’isolamento ecc. Il bullying viene alimentato dal rifiuto di ammettere la responsabilità e perpetuato in un clima di paura, ignoranza, silenzio, omertà perpetrato dal colpevole.
[6] Nei paesi anglofoni, per indicare la violenza psicologica sul posto di lavoro si utilizzano lemmi più specifici: harassment (utilizzato anche per molestie domestiche), abuse (maltrattamento), intimidation; in Norvegia e Giappone si usa ancora il termine bullismo, mentre in Francia è usato il termine molestie morali (harcèlement morale).
[7] Monateri-Bona-Oliva, Mobbing, vessazioni sul lavoro, Milano 2000.
[8] Ciccarello M. E., Il Mobbing in Famiglia, Centro Studi Bruner, Master in Med. Familiare, 2002.
[9] Alcuni contratti sindacali, come quello dei metalmeccanici tedeschi prevedono un risarcimento di circa 250.000 euro per i mobbizzati. I sindacalisti della Volkswagen furono i primi a introdurre nei contratti un capitolo sul mobbing con indennità e strumenti di prevenzione (i centri d’ascolto aziendali in particolare).
[10] Gaetano Giordano, Conflittualità nella separazione coniugale: il "mobbing" genitoriale, 2003, Psychomedia Telematic Review.
[11] L’INPS è intervenuta recentemente con circolare n. 95/bis del 2006 dove ha definito gli elementi essenziali del Mobbing quali: 1) l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico; 2) la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; 3) il suo andamento progressivo; 4) le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il lavoratore.
[12] Come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4) in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite Tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa.
[13] Secondo Leymann sono individuabili sei campi in cui possono svilupparsi dei conflitti dai quali può scaturire a sua volta il mobbing, i primi tre sono fattori esterni al gruppo di lavoro: organizzazione, mansioni, direzione, gli altri tre invece, più legati ad esso: dinamica del gruppo, personalità, funzione della psicologia nella società.
[15] Nel 2001, nel corso della Prima conferenza nazionale sulla salute mentale, l’allora Ministro della sanità, professor Veronesi, fornì alcuni dati ufficiali. Il mobbing è risultato al secondo posto tra i fattori di rischio per malattie mentali, con circa due milioni di vittime, cui fanno seguito circa quattro milioni di familiari coinvolti, anch’essi colpiti da questa grave patologia sociale. Gli effetti sulle vittime sono devastanti: dagli studi fatti in tutto il mondo le vittime risultano ammalarsi di sindrome post-traumatica da stress a cui si aggiunge un disturbo depressivo, in genere grave, tanto che in uno studio condotto da Leymann in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è risultato che tra il 20 ed il 15 per cento dei suicidi in Svezia era dovuto a situazioni di mobbing.
[16] Estrinsecazioni del danno alla salute sono traducibili come la perdita d’autostima, depressione, insonnia, isolamento. Il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono disturbi della socialità, quindi, nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi.
[17] Claudio Virtù – Palazzina LAF. Mobbing: la violenza del padrone – Edizioni Archita – Taranto, 2001.
[18] Ivano Spano, Pier Paolo Bottin, Massimo Mestroni "Anatomia del mobbing" Città Aperta Edizioni Troina (En) 2005.
[19] Giancarlo Trentini (a cura di) – Oltre il Mobbing. Le nuove frontiere della persecutività – FrancoAngeli – Milano, 2006.
[20] Legge n° 300 del 20.05.1970, in particolare art. 9: "tutela della salute e dell’integrità fisica"; art. 15: "atti discriminatori" per motivi politici o religiosi; art. 18: "reintegrazione nel posto di lavoro", nel caso di ingiusto licenziamento.
[21] Mario Meucci – Danni da mobbing e loro risarcibilità – Ediesse, Roma, 2006.
[22] La risoluzione non è stata seguita da una direttiva europea, che obbligasse gli Stati membri a legiferare in tema di mobbing.
[23] Corte di Cassazione, sentenza n. 572 del 2002. L’accertamento del danno da mobbing esige una valutazione unitaria degli episodi denunciati dal lavoratore, i quali raggiungono la soglia del mobbing ove assumano le caratteristiche di una persecuzione, per la loro sistematicità e la durata dell’azione nel tempo.
[24] Corte di Cassazione, sentenza n. 4774 del 6 marzo 2006, da Legge e Giustizia Lettera telematica di notizie – Direttore responsabile Domenico d’Amati.
[25] Cass. sez. lav. 12 nov. 2002, n. 15868; Corte d’Appello di Salerno, sez. lav., 17 aprile 2002.
[26] Cassazione n. 7768/1995.
[27] Dello stesso tenore anche le successive sentenze come Cass. Sez. III penale, n. 22927/2003; Cass. Sez. III penale n. 255/2001; sentenza del Tribunale di Modena n. 58/2001; Cass. Penale sez. III n. 11829/1999; Cass. Pen. Sez. VI n. 1423/1999.
[28] Corte di Cassazione sent. n. 3147/99.
[29] Corte di Cassazione sent. n.1307/00.
[30] Tribunale Milano 22 agosto 2002.
[31] Trattasi di atti giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi: Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla protrazione, il suo carattere di illecito permanente: Cass. Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537.
[32] Corte di Cassazione, sent. n. 359 del 2003.
[33] Cassazione civile sez. un. 4 maggio 2004, n. 8438.
[34] Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 8438/04.
[35] Tribunale di Ivrea, sentenza 17/11/2005, sentenza n. 94.
[36] Francesca De Fontaine – Anatomia di una molestia con delitti – Mef Firenze, 2007.
[37] Tribunale di Agrigento in funzione di Giudice del Lavoro, con sentenza del 1° febbraio 2005.
[38] Tribunale Forli’ 10 marzo 2005.
[39] Cass. 4 marzo 2005 n. 4742.
[40] Cassazione civile sez. lav. 23 marzo 2005, n. 6326.
[41] Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 4774/06.
[42] Cassazione Civile – Sezione Lavoro Sent. n.13400 del 08/07/2007.
[43] Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 20 luglio 2007, n. 16148.
[44] Cassazione, sez. v, sentenza 29 agosto 2007, n. 33624.
[45] Cassazione n. 18262/2007.
[46] Sentenza Corte di Cassazione n. 22858/2008 dell’11 settembre 2008.
[47] Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2008, n. 2515.
[48] Marcello Pedrazzoli (diretto da) – Vessazioni e angherie sul lavoro. Tutele, responsabilità e danni nel mobbing – Zanichelli, Bologna, 2007.
[49] Si precisa che le considerazioni contenute nel presente articolo sono da ricondursi esclusivamente al pensiero dell’autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza. 

Caruso Anna Rita

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