Mediazione civile: il ruolo dell’avvocato

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Il ruolo primario dell’avvocato nell’ambito del procedimento di mediazione. (Estratto dal volume IL MEDIATORE PROFESSIONISTA  Maggioli Editore)

Una nuova offerta professionale al servizio del cliente

Con l’entrata in vigore il 20 marzo 2010 del decreto legislativo n. 28/2010, recante la disciplina della nuova mediazione delle controversie civili e commerciali, è stata conferita inaspettata risonanza ad un metodo di risoluzione stragiudiziale delle controversie esistente da tempo, ma fino ad oggi poco conosciuto nel nostro Paese ed utilizzato solamente da un esiguo numero di addetti ai lavori.

Il legislatore italiano, anche sulla scorta degli impegni comunitari ed in particolare della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE, istitutiva del ricorso alla mediazione per la risoluzione delle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale, ha inteso delineare un sistema complementare a quello giudiziario per la composizione dei conflitti, ispirato ad una logica differente da quella avversariale che tipicamente conduce all’attribuzione dei torti e delle ragioni.

Nei conflitti normalmente si tende a vedere le parti come contrapposte in una sorta di duello ove al termine devono necessariamente uscirne un vincitore ed un vinto. I litiganti sono degli avversari ed il loro difensori hanno il precipuo compito di legittimare ed enfatizzare le contrapposte pretese, difendendole ad oltranza sulla scorta delle norme di diritto sostanziale e processuale applicabili, al fine di convincere un terzo dotato di poteri autoritativi, il giudice, della bontà di una tesi piuttosto che dell’altra, in modo tale che questi statuisca con un proprio provvedimento chi risulti vittorioso.

L’atteggiamento normalmente tenuto dall’avvocato nell’ambito di un giudizio è di tipo puramente competitivo e del resto ciò che allo stesso viene richiesto dal cliente è di vincere la causa, confutando ogni affermazione della controparte e demolendone qualsiasi argomento di prova, in modo tale che questa soccomba.

Il conflitto, tuttavia, non è fatto solamente di posizioni antitetiche e tra di loro inconciliabili, le quali ne rappresentano semmai la parte apicale ed a chiunque manifesta, ma di componenti nascoste costituite da interessi, bisogni, paure, pregiudizi, emozioni, percezioni, incomprensioni, talvolta complementari e perfettamente contemperabili e che giocano un ruolo fondamentale nella risoluzione dello stesso; il più delle volte però i soggetti coinvolti non sono neanche in grado di identificarli o comunque preferiscono mascherarli dietro alle pretese ed alle posizioni di principio che inevitabilmente portano ad uno scontro diretto, ove le vere motivazioni delle parti spesso non trovano alcun riconoscimento e soddisfazione.

Il procedimento di mediazione, al contrario del giudizio, consente di far emergere proprio tali aspetti della disputa in modo tale che le parti medesime riescano, con l’assistenza del mediatore, ad acquisirne consapevolezza, comprendano il perché del dissidio ed il come poterlo dirimere, capiscano che cooperare sia più conveniente che competere al fine di risolvere il comune problema, per giungere conseguentemente ad un nuovo assetto dei rispettivi interessi che possa essere di reciproca soddisfazione.

In tale contesto deve certamente modificarsi anche il comportamento del legale che si trovi ad assistere il proprio cliente ed il suo ruolo, lungi dall’essere sminuito o in qualche modo pregiudicato dal ricorso ad una metodologia che si prefigge lo scopo di evitare che le dispute entrino nelle aule dei tribunali, considerate queste il luogo tipico in cui l’avvocato possa espletare appieno la propria funzione di difensore dei diritti, deve ritenersi di fondamentale rilevanza.

Si tratta senza dubbio di una nuova sfida professionale da affrontare con la necessaria competenza, al fine di garantire un apporto professionale al quale difficilmente le parti possano rinunciare, che richiede tuttavia un approccio culturale diverso da quello usuale.

Già al momento del primo contatto con il cliente il consulente ha la possibilità di valutare se l’opzione della mediazione possa essere la strada migliore da seguire, sia allorché la controversia abbia avuto inizio ed il conflitto sia pressoché manifesto, che precedentemente all’insorgere dello stesso, nella fase di definizione delle reciproche obbligazioni contrattuali.

In quest’ultimo caso la consulenza prestata può infatti avere ad oggetto anche l’inserimento e la stesura di apposite clausole di mediazione, ovvero di mediazione ed arbitrato, al fine di suggellare l’impegno di avvalersi di strumenti flessibili, rapidi ed efficaci per la risoluzione delle eventuali controversie. Eventualmente nella stessa clausola si può addirittura indicare l’Organismo presso il quale ci si impegni ad attivare la relativa procedura.

Nella prima ipotesi invece l’avvocato ha il compito di scegliere e consigliare il sistema più adeguato per la risoluzione della controversia, valutando tutta una serie di elementi, quali le contrapposte posizioni delle parti in fatto ed in diritto, i precedenti giurisprudenziali, le prove a disposizione e le possibilità di assolvere al relativo onere probatorio, il rapporto costi-benefici delle diverse iniziative possibili, le esigenze di riservatezza, l’interesse dei contendenti a mantenere i rapporti commerciali e/o personali per il futuro, le diverse questioni emotive e le percezioni dei valori in gioco, l’eventualità che siano proprio soluzioni in sé non giuridiche le migliori per superare quella disputa.

Del resto proprio l’importanza di suddetta analisi deve aver tenuto presente il legislatore allorché all’articolo 4 comma 3 del decreto legislativo n. 28/2010 ha inserito la espressa previsione del dovere di informativa a carico dell’avvocato in merito alla possibilità, ovvero all’obbligo nei casi indicati, di avvalersi del procedimento di mediazione (“All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto ad informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.”). Informativa che naturalmente deve essere fornita in modo concreto, procedendo per l’appunto ad una effettiva disamina di tutte le ragioni che potrebbero indurre a scegliere la metodologia della mediazione nel caso concreto.

A ben vedere il predetto dovere non è una novità assoluta della recente normativa, posto che lo stesso codice deontologico forense all’articolo 40, rubricato “Obbligo di informazione”, impone di “… informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. …I. Se richiesto, è obbligo dell’avvocato informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

II. È obbligo dell’avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione. III. Il difensore ha l’obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi.” e pertanto rientra senza dubbio tra i normali compiti del legale quello di indirizzare la parte verso la conciliazione quando la tipologia di controversia ne giustifichi o addirittura ne richieda l’utilizzo, spiegandole in cosa consista la procedura, quale sia il ruolo del mediatore ed il valore del provvedimento conclusivo.

Una volta scelta con il proprio assistito l’ipotesi della mediazione, deve approfondirsi l’esame dei veri interessi e bisogni (es. di sopravvivenza, di sicurezza, associativi, di stima e di autorealizzazione) da soddisfare che sono alla base delle pretese prospettate, cercando di immaginare pure quelli dell’altra parte, identificando le migliori e le peggiori alternative rispetto all’accordo negoziato (cd. BATNA – Best Alternative to a Negotiated Agreement e WATNA – Worst Alternative to a Negotiated Agreement), nonché quei criteri ed elementi oggettivi che devono essere tenuti presenti al fine di giungere ad un accordo ragionevole e che possa essere accettato da tutti.

Dopo aver sviscerato il problema dai diversi punti di vista, condividendo anche le emozioni del cliente, l’avvocato ha il compito di fornire consulenza sulla strategia negoziale da adottare, individuando con la parte anche il cd. “punto di indifferenza” oltre il quale diviene conveniente rinunciare all’accordo e lo spazio di possibile trattativa, cominciando quindi a preparare pure le varie opzioni negoziali.

L’assistenza preventiva può inoltre riguardare la scelta dell’Organismo cui presentare l’istanza di mediazione, eventualmente anche congiuntamente con il legale avversario, ove si sia raggiunto con lo stesso un accordo sul punto, ed altresì la scelta del mediatore tra i nominativi inseriti nell’elenco dell’Organismo medesimo.

Anche la domanda di mediazione, seppure non possa assimilarsi all’atto introduttivo del giudizio quanto al contenuto, rispetto al quale deve senz’altro essere più concisa, oltre che priva di argomentazioni tendenziose o prettamente giuridiche, necessita della giusta preparazione per poter spiegare appieno gli effetti interruttivi e sospensivi della prescrizione ed impeditivi della decadenza che alla medesima ricollega il comma 6 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010; e pure la scelta dei documenti da depositare, ovvero da tenere riservati e comunicare soltanto al mediatore durante le sessioni separate, richiede attenta disamina.

Terminata tutta l’attività preparatoria il consulente, previa verifica che il suo cliente abbia tutti i necessari poteri per disporre del diritto controverso e sia comunque munito di idonea procura, ha il fondamentale compito di partecipare insieme allo stesso all’incontro di mediazione.

In detta fase l’avvocato, ben conscio della peculiarità del suo incarico, che non consiste affatto nel dover convincere un terzo dotato di poteri decisori della bontà e fondatezza dei propri assunti, deve mettere a disposizione del proprio assistito una serie di competenze trasversali, aiutandolo a gestire la comunicazione con il mediatore e l’altra parte e l’emotività, a valutare le proposte formulate, ad elaborare alternative e suggerire soluzioni, cooperando altresì con il mediatore nella formulazione di proposte condivisibili, specialmente durante le sessioni separate; il tutto naturalmente senza cedere a smanie di protagonismo che lo potrebbero indurre a non tenere conto dei reali interessi del cliente.

Nessuno meglio dell’avvocato è in grado inoltre di controllare l’imparzialità e la riservatezza del mediatore ed infine di fornire consulenza sui parametri oggettivi, sui diversi punti da includere nell’eventuale accordo, nonché sulla proposta di conciliazione in ipotesi formulata dal mediatore.

Pressoché imprescindibile si appalesa da ultimo la consulenza del legale al momento della stesura per iscritto dell’accordo raggiunto, che deve essere trasposto in un testo giuridicamente strutturato e privo di nullità sia formali che sostanziali.

Peraltro in suddetto delicato momento, oltre ad assicurarsi che non ci siano state incomprensioni tra le parti in merito al contenuto dell’accordo, sempre gli avvocati possono decidere anche l’eventuale inserimento nel contratto di specifiche clausole di risoluzione alternativa delle eventuali controversie future, nonché di penali “per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento” (articolo 11, comma 3 del decreto legislativo n. 28/2010).

Nel caso in cui invece il procedimento di mediazione non si concluda positivamente, lo stesso consulente è certamente in grado di valutare in modo più approfondito e realistico la situazione del cliente, proprio sulla scorta degli approfondimenti e, perché no, degli interessi e delle alternative emerse durante l’incontro, che magari potranno essere rivalutate al fine di addivenire comunque ad un accordo a seguito di una successiva trattativa diretta.

Come si evince chiaramente da quanto appena prospettato, l’avvocato non deve sicuramente avere timore di essere espropriato della sua funzione di tutore dei diritti delle persone, ma anzi ha l’opportunità di divenire anche effettivo difensore degli interessi e dei bisogni delle stesse, conformando pienamente il proprio operato a quanto previsto nello stesso preambolo del già richiamato codice deontologico, secondo cui “L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia. …”.

Inutile a dirsi poi che per tutte le menzionate attività l’avvocato merita adeguati compensi, da non confondersi con l’indennità dovuta all’Organismo di mediazione, eventualmente da calcolarsi sulla scorta della tariffa professionale applicabile alla materia stragiudiziale.

Elisabetta Mazzoli

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