Matrimonio, unioni civili e coppie di fatto nell’ anagrafe condominiale

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Ai sensi dell’art.1130, comma 1, n.6 c.c., come modificato dalla Legge n.220/2012, l’amministratore del condominio deve “curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento”.

Tale compito è inserito nell’articolo rubricato “attribuzioni dell’amministratore” perché al corretto svolgimento di esse (es. convocazione delle assemblee e recupero crediti) è preordinata la regolare tenuta del registro di anagrafe condominiale (appresso anche semplicemente “Registro”).

Nel Registro vanno censiti i titolari del diritto di proprietà e dei diritti reali e/o personali di godimento gravanti sull’unità immobiliare (appresso anche semplicemente “unità”) facente parte dell’edificio in condominio.

Difatti la specificazione “di godimento” va riferita oltre che ai diritti personali anche ai diritti reali c.d. limitati (in re aliena), restando invece sicuramente esclusi i diritti reali di garanzia (es. ipoteca).

Nel Registro vanno inclusi anche i dati dei titolari (contitolari) di tali diritti in comunione con altri soggetti, come, ad esempio, i coeredi del proprietario defunto dell’unità.

La contitolarità in comunione della proprietà o di un diritto reale di godimento può discendere – ope legis dal regime patrimoniale di comunione legale, se vigente al momento dell’acquisto del diritto sull’unità, da parte dei coniugi o di coppie ad essi assimilati dalla Legge n.76/2016[1].

Infatti, i coniugi possono scegliere, al momento della celebrazione del matrimonio, il regime patrimoniale della comunione o quello della separazione dei beni acquistati successivamente, con facoltà di cambiarlo in seguito mediante la stipula di apposita convenzione tra essi.

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Il regime patrimoniale della comunione dei beni tra i coniugi comporta la contitolarità automatica dei beni acquistati, anche separatamente, in costanza di matrimonio, tranne quelli personali elencati all’art.179 c.c., mentre in quello della separazione dei beni, questi non diventano comuni alla coppia ma esclusivamente di colui che li ha acquistati personalmente (tranne – ovviamente – nel diverso caso di cointestazione dei beni).

Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, il regime patrimoniale legale tra i coniugi era quello della separazione dei beni, secondo cui ciascuno era titolare esclusivo dei beni da lui acquistati separatamente durante il matrimonio.

Per i matrimoni celebrati prima del 20 settembre 1975, data di entrata in vigore della riforma, venne previsto un regime transitorio biennale (prorogato al 16 gennaio 1978), durante il quale ciascun coniuge poteva dichiarare[2] di mantenere il regime patrimoniale della separazione legale vincolando l’altro ovvero entrambi i coniugi potevano scegliere di assoggettare alla comunione legale anche tutti o soltanto alcuni dei beni acquistati separatamente in precedenza oppure ancora potevano decidere di non formalizzare alcuna scelta nel termine, col conseguente automatico assoggettamento (ex nunc) di entrambi al regime patrimoniale della comunione legale.

Dopo la riforma operata con la Legge n.151 del 1975, “Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’art.162, è costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo.” (art.159 c.c.).

Per ciò che interessa in questa sede, con riferimento alle unità facenti parte dell’edificio condominiale ed al Registro in commento, ai sensi dell’art.177 c.c., “Costituiscono oggetto della comunione (…) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio”, tranne quelli “relativi ai beni personali”.

I beni personali che “Non costituiscono oggetto della comunione” tra coniugi in regime di comunione legale sono elencati all’art.179 c.c. e tra essi – ai nostri fini – ricordiamo (a) i diritti reali acquistati da uno dei due prima del matrimonio, (b) quelli acquisiti per donazione o successione[3] dopo il matrimonio, nonché (ultimo comma) quelli che risultano esclusi dalla  comunione “dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge” e sempre che siano “di uso strettamente personale” o (d) “che servono all’esercizio della professione” del coniuge acquirente o (f) che vengano da quest’ultimo acquisiti col prezzo del loro trasferimento o col loro scambio.

Sembra comunque opportuno rammentare che la comunione in questione non riguarda i diritti di credito. “È stato infatti precisato che la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione” (cfr. da ultimo Cass., sentenza n.11504/2016, Presidente Bianchini), come nel caso di contratto preliminare di compravendita, che non ha effetti reali (traslativi), bensì obbligatori.

Ai fini della regolare tenuta del Registro de quo, con riferimento alle persone dello stesso sesso costituenti una unione civile e le coppie di fatto, è poi necessario analizzare la Legge n.76/2016 (appresso anche semplicemente “Legge Cirinnà”), che disciplina i rapporti di convivenza, individuando le seguenti tre tipologie: A) “unioni civili tra persone dello stesso sesso”; B) convivenze regolate con un “contratto di convivenza”; C) convivenze di fatto prive di un “contratto di convivenza”.

Leggi anche:”Differenza tra unioni civili e convivenze di fatto”

Unioni civili tra persone dello stesso sesso

Il rapporto di convivenza tra maggiorenni dello stesso sesso viene costituito mediante unione civile registrata nell’archivio dello stato civile comunale (art.1, commi 1 e 2) e dà luogo, “in mancanza di  diversa  convenzione  patrimoniale”,  al regime patrimoniale della comunione dei beni tra essi (art.1, comma 13).

Pertanto, in una unione civile registrata, oggetto della comunione legale tra i conviventi sono i beni di cui agli artt.177 e 178 c.c., con esclusione dei beni personali elencati all’art.179 c.c..

Dunque, se l’acquisto del diritto reale sull’unità in condominio è stato effettuato dopo la costituzione dell’unione civile registrata, senza opzione per il regime patrimoniale di separazione di beni, il Registro previsto dall’art.1130 c.c. deve contenere i dati di entrambi gli uniti civilmente in questione, salvo che si tratti di “beni personali” di uno solo dei due ex art.179 c.c..

Convivenze di fatto, regolate pattiziamente con un “contratto di convivenza

“si intendono per «conviventi di fatto»  due  persone  maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di  reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”; “per l’accertamento della stabile  convivenza  si  fa  riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui  al  decreto  del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223” (art.1, comma 36).

“I conviventi  di  fatto  possono  disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la  sottoscrizione di un contratto di convivenza”, redatto “in forma scritta, a pena  di  nullità,  con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione  autenticata  da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico”; ai “fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista  che  ha ricevuto l’atto  in  forma  pubblica  o  che  ne  ha  autenticato  la sottoscrizione  ai  sensi  del  comma  51  deve  provvedere  entro  i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune  di  residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli  articoli 5 e 7  del  regolamento  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223” (art.1, commi 50, 51 e 52).

“Il  contratto (…) può contenere” “il regime patrimoniale della comunione dei  beni,  di  cui  alla sezione III del capo VI del titolo VI  del  libro  primo  del  codice civile”, che “può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51 (art.1, comma 53).

Dunque la scelta condivisa del regime patrimoniale di comunione legale, se consacrata nel “contratto di convivenza” ed iscritta nei registri dello stato civile, determina effetti eguali a quelli che prevede l’art.177 e ss. c.c. fra i coniugi, pure ai fini di cui al Registro in commento.

Convivenze di fatto, regolate pattiziamente con un “contratto di convivenza

In mancanza di “un contratto di convivenza” (art.1, comma 50) contenente la scelta “del regime patrimoniale della comunione dei beni” (art.1, comma 53) e sempre che la contitolarità dell’unità non derivi da altro diverso titolo (es. contestazione volontaria) espressione dell’autonomia negoziale, verrà censito nel Registro esclusivamente il titolare del diritto reale su essa. L’altro convivente di fatto, se è non titolare di diritti reali sull’unità, dovrà però esser incluso nel Registro nei casi previsti dall’337 sexies c.c. e dall’art.1, commi 42 e 44, della Legge n.76/2016 (diritto di continuare ad abitare la casa dopo il decesso del proprietario o di proseguire la locazione conclusa con il convivente receduto da essa ovvero deceduto), come appresso.

Accanto alla fattispecie più diffusa, relativa alla proprietà in comunione legale, possono sussistere altri diritti reali minori in comunione ex art.177 c.c. su unità facenti parte del condominio, i cui titolari (o contitolari) vanno tutti censiti nel Registro che ci occupa.

I più frequenti sono riferiti all’usufrutto ed al diritto di abitazione.

Il diritto reale di usufrutto (art.978 e ss. c.c.) consiste nel diritto di godere ad tempus della cosa altrui, cioè del nudo proprietario, con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica.

Il nudo proprietario e l’usufruttuario sono espressamente menzionati all’art.67 disp. att., c.c.. “L’usufruttuario di un piano o porzione di piano dell’edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. Nelle altre deliberazioni, il diritto di voto spetta ai proprietari, salvi i casi in cui l’usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all’articolo 1006[4] del codice ovvero si tratti di lavori od opere ai sensi degli articoli 985 e 986[5] del codice. In tutti questi casi l’avviso di convocazione deve essere comunicato sia all’usufruttuario sia al nudo proprietario.

Il nudo proprietario e l’usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale”.

Altro diritto reale che può rilevare nell’ambito della vita condominiale (cfr. Cass., sentenza n.23669/2016[6]) è quello d’uso di cui all’art.1021 c.c., che “non è limitato a soddisfare i bisogni personali del titolare, ma si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l’usuario — non diversamente dall’usufruttuario — servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di essa.” (Cass., sentenza n.7811/2006).

Ai sensi dell’art.1022 c.c., invece, “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.” Tale diritto reale, a differenza di quello d’uso (dove ne è ammessa la c.d. modica perceptio) non attribuisce al titolare di esso alcuna prerogativa sui frutti, perché soddisfa soltanto i bisogni abitativi “suoi e della sua famiglia”.

Il diritto di abitazione specificamente previsto dall’art.540, comma 2[7], c.c. in favore del coniuge superstite è un vero e proprio diritto reale[8] su res aliena, che viene acquistato immediatamente[9] per effetto e nel momento del decesso dell’altro (cioè dell’apertura della successione).

Secondo alcuni[10], il diritto reale di abitazione (e forse pure quello d’uso) può assimilarsi al diritto reale di usufrutto sull’unità in condominio e, pertanto, attribuisce al titolare anche il diritto di voto ed alla convocazione di cui al sopracitato art.67 disp. att. c.c.,  per analogia legis, a norma dell’art.12 delle preleggi.

A parte il diritto reale “di abitazione della casa adibita a residenza familiare” attribuito al coniuge sopravissuto dall’art.540, comma 2, c.c., possono configurarsi diritti personali di godimento immobiliare in favore del partner superstite del proprietario esclusivo, per effetto delle differenti disposizioni  che seguono.

A norma dell’art.6 della Legge n.392/1978 (c.d. Legge sull’Equo Canone), “In caso di morte del conduttore, gli succedono[11] nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi. In caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo. In caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così convenuto”.[12]

L’art.337-sexies c.c. regola l’attribuzione del diritto personale (non reale, secondo Cass., sentenza n.1744/2018[13]) di godimento della casa di residenza comune al coniuge separato o divorziato ovvero al convivente more uxorio, se collocatari di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, ed all’uopo stabilisce che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli (…). Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 (…)”.

Alcuni[14] hanno individuato una possibile lacuna normativa per quanto concerne le unioni civili, ipotizzando un’eventuale incompatibilità con l’istituto della separazione tra i coniugi, ai sensi del combinato disposto dei commi 24 e 25 dell’art.1 della c.d. Legge Cirinnà, considerato che il (rapidissimo) procedimento di scioglimento volontario dell’unione civile non sembra contemplare la fase della separazione. Tale incompatibilità, ove sussistente, potrebbe precludere l’assegnazione della casa ex art.337-sexies c.c. nel pur brevissimo lasso di tempo antecedente lo scioglimento dell’unione civile stessa. Altri[15] affermano che “L’assegnazione della casa familiare in caso di una coppia omosessuale che chiede lo scioglimento dell’unione civile non è un diritto proprio dei partner. Se la coppia non ha figli comune è molto difficile che venga concessa l’assegnazione alla parte non proprietaria”, ma la questione potrebbe formare oggetto di ulteriore approfondimento anche con riferimento all’adozione “in casi particolari”.

L’art.1, comma 42, della Legge Cirinnà prevede poi un diritto personale[16] di abitazione a tempo determinato della casa comune in favore del convivente di fatto superstite, statuendo che, “Salvo  quanto  previsto  dall’articolo  337-sexies del  codice civile, in caso di  morte  del  proprietario  della  casa  di  comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di  continuare ad abitare nella stessa per due anni  o  per  un  periodo  pari  alla convivenza se superiore a due anni e  comunque  non  oltre  i  cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o  figli  disabili  del convivente superstite,  il  medesimo  ha  diritto  di  continuare  ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni”, a meno che “il convivente superstite cessi di  abitare  stabilmente  nella  casa  di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto”, a mente dell’art.1 comma 43.

Infine, l’art.1, comma 44, della Legge Cirinnà prevede che, “Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente  di  fatto ha facoltà di succedergli nel contratto”.

I titolari (o dei contitolari) di tali diritti personali di godimento andrebbero tutti indicati nel Registro di anagrafe condominiale ed andrebbero invitati alle assemblee convocate sugli argomenti di cui all’art.10 della Legge n.392/1978.

Quanto all’opponibilità, va evidenziato che il regime patrimoniale dei coniugi risulta dagli atti pubblici dello stato civile tenuti dal comune di loro residenza, che assolvono alla funzione di pubblicità-notizia. A margine dell’atto di matrimonio viene annotato il regime patrimoniale e le eventuali convenzioni modificative, annotazioni che risulteranno nel certificato rilasciato dal municipio.

Lo stesso avviene, a norma dell’art.1, commi 3, 9, 52, 53 e 54 della Legge Cirinnà, per le unioni civili e per le coppie di fatto iscritte all’anagrafe comunale, nonché per il contratto di convivenza stipulato da queste ultime, se parimenti iscritto.

Pertanto, chiedendo il rilascio di un certificato presso il municipio della comune residenza dei coniugi o soggetti ad essi assimilati, chiunque è in grado di verificare se un immobile acquistato, anche separatamente, da un soggetto coniugato (unito civilmente o partner di coppia di fatto con un contratto di convivenza) in regime di comunione, ricade in tale regime di contitolarità solidale e senza quote; ciò anche se dai registri immobiliari l’acquisto risultasse trascritto soltanto in favore di uno e non di entrambi i soggetti in regime di comunione legale.

E’ dunque possibile acquisire tali notizie mediante l’incrocio dei dati del registro dello stato civile e dei registri immobiliari; quindi, esse possono ritenersi opponibili al Condominio, anche per quanto concerne il Registro in questione e le conseguenze della sua tenuta regolare o meno, essendo tramontata ogni remota rilevanza dell’ipotesi di “condomino apparente” a seguito della nota sentenza n.5035/2002 delle SS.UU. della Cassazione (nonché dell’ancora più recente ordinanza n.23621/2017 degli stessi Ermellini).

L’acquisto che, invece, derivi da un comportamento non verificabile tramite la consultazione di tali registri pubblici, non sembra possa esser opposto al Condominio.

Così, ad esempio, per quanto concerne il ripristino del regime di comunione legale preesistente tra coniugi separati e poi riconciliatisi. In tal caso, l’acquisto immobiliare avvenuto dopo la riconciliazione non dichiarata ex art.157 c.c., anche se effettuato da uno solo dei due, cade in comunione ex art.177 c.c., dato che “il comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione” fa cessare pure gli effetti dell’eventuale sentenza di separazione giudiziale ovvero di quella consensuale omologata.

Tuttavia, non sembra che la comunione dei coniugi in ordine a tale acquisto possa esser opposta al Condominio.

Analogamente non appare opponibile al condominio la condotta (corpus) e la susseguente usucapione – se non accertata giudizialmente con sentenza dichiarativa debitamente trascritta – di una o più unità di facenti parte dell’edificio, in danno di altri condomini, mentre potrebbe risultare opponibile al condominio l’acquisto – debitamente trascritto – da potere di colui che avesse dichiarato di avere già materialmente usucapito, pur se il titolo di acquisto (usucapione) non fosse stato previamente accertato giudizialmente. In tal caso sembra comunque prudente[17] convocarlo alle assemblee.

Inoltre, la materiale sopraelevazione costruita dai coniugi, in vigenza della comunione legale, su terrazzo di proprietà esclusiva di uno solo dei due non ricade nella comunione ex art.177 c.c., ma diviene di proprietà di quest’ultimo per accessione ex art.934 c.c. (in tal senso cfr. Cass. SS.UU. n.651/1996), a meno che la nuova costruzione non abbia formato oggetto di un distinto diritto reale di superficie ex art.952 e ss. c.c. in favore di entrambi, opponibile al Condominio soltanto se trascritto nei registri immobiliari.

Passando quindi ad esaminare gli obblighi a carico dei titolari dei dati da riportare nel Registro, non va dimenticato l’art.63, ultimo comma, disp. att. c.c., che stabilisce espressamente che “Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”, nonché l’art.1130, comma 1, n.6 c.c. che prevede che “Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili”.

In proposito, occorre però rimarcare le difficoltà troppo spesso frapposte in ragione della privacy (cfr., ad esempio, il provvedimento n.106/2015 del Garante, con interpretazione restrittiva dell’obbligo di trasmettere copia del titolo di proprietà all’amministratore), che possono risultare particolarmente gravose laddove i dati da acquisire (trattare) si configurino come dati sensibili perché relativi all’orientamento sessuale.

In ogni caso, il sistema normativo introdotto con la riforma del 2012, se da un lato impone all’amministratore onerosi adempimenti in ordine alla diligente (ex art.1176, comma 2, c.c.) tenuta del Registro, dall’altro lato prescrive specifici obblighi di collaborazione (secondo i canoni di lealtà e buona fede) ai condomini, con sanzione dell’addebito dei costi sostenuti dal primo in caso di inerzia ut supra dei secondi.

Per terminare e valorizzare la portata dello strumento de quo, va sottolineato che la regolare tenuta del Registro agevola la corretta convocazione delle assemblee nei confronti di tutti gli “aventi diritto” ex artt.1136 c.c. e 66 disp. att. c.c. (inclusi i coniugi acquirenti in comunione e coppie ad essi assimilati, prevenendo domande giudiziali di annullamento di delibere viziate per omessa o ritardata convocazione di taluno degli “aventi diritto”), nonché il recupero giudiziale dei contributi condominiali impagati nei confronti dei debitori effettivi, peraltro garantito dalla solidarietà passiva dei contitolari di ciascuna unità e dalla possibilità di far pignorare il canone di locazione dovuto dai conduttori, parimenti censiti ed individuati nel Registro in commento.

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Note

[1] Gli uniti civilmente o i componenti di una coppia di fatto che abbiano stipulato un “patto di convivenza” con l’opzione del regime patrimoniale

[2] Davanti ad un notaio o all’ufficiale dello stato civile del luogo di celebrazione del matrimonio

[3] Purché nella donazione o nel testamento non risultino specificamente “attribuiti alla comunione”

[4] Art.1006 c.c. (Rifiuto del proprietario alle riparazioni): “Se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l’esecuzione senza giusto motivo, è in facoltà dell’usufruttuario di farle eseguire a proprie spese. Le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto senza interesse. A garanzia del rimborso l’usufruttuario ha diritto di ritenere l’immobile riparato.”

[5] “Miglioramenti” (art.985 c.c.) o “Addizioni” (art.986 c.c.)

[6] “Il diritto d’uso sulle aree a parcheggio, di cui all’art. 41 ‘sexies’ della l. n. 1150 del 1942, ha natura reale ed è, pertanto, soggetto a prescrizione ventennale, non rientrando tra i diritti indisponibili ex art. 2934, comma 2, c.c., senza che osti a tale conclusione il vincolo pubblicistico di destinazione che connota in via permanente dette aree, giacché, ai fini del corretto assetto urbanistico, è indifferente che di esse fruiscano i proprietari degli appartamenti in relazione ai quali furono calcolate ovvero altri soggetti. ”

[7] “Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (…), se di proprietà del defunto o comuni”

[8] “Ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano, attribuiti al coniuge superstite dall’art. 540, comma secondo, c.c. non si applicano gli artt.1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare” (Cass. n.2263/1999)

[9] “Il diritto di abitazione, riservato dall’art. 540, secondo comma, c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, si configura come un legato “ex lege“, che viene acquisito immediatamente da detto coniuge, secondo la regola di cui all’art. 649, secondo comma, c.c., al momento dell’apertura della successione” (Cass. n.6625/2012).

[10] Cfr. Rosario Dolce, “Registro anagrafe e sicurezza nel condominio”, Condominioweb 2019, pag.79

[11]  Ed il subentro va sempre comunicato al locatore (cfr. Cass., sentenza n.27441/2018)

[12] Con sentenza  n.404/1988, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale “dell’art. 6, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (‘Disciplina delle locazioni di immobili urbani’), nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio”; ha altresì dichiarato “la illegittimità costituzionale dell’art. 6, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto succeda al conduttore, se tra i due si sia così convenuto”; ha infine dichiarato “la illegittimità costituzionale dell’art. 6, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente quando vi sia prole naturale.”

[13] Contra: Cass., sentenza n.9998/2017, che invece riconduce il diritto personale di abitazione attribuito in sede di separazione “al diritto reale di abitazione di cui all’art.1022 c.c.”

[14] Cfr. Buffone, “Non è applicabile l’atto che autorizza a vivere separati”, in Guida al Diritto n.15 del 30 marzo 2019, pagg.16-20

[15] Cfr. Marzorati, “Scioglimento dell’unione civile ed assegnazione della casa familiare”, in www.marzorati.org, 30 settembre 2017

[16] Che non assurge a diritto reale di abitazione, ma resta un diritto personale di godimento (per un breve periodo)

[17] La giurisprudenza, infatti, si è spinta ad affermare che “non è nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell’usucapione, sebbene l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contradditorio con il precedente proprietario” con sentenza dichiarativa.

Conseguentemente, colui che ha maturato tutti i requisiti legalmente richiesti per perfezionare l’acquisto per usucapione è già diventato proprietario del bene a prescindere dalla pronuncia giudiziale; pertanto, egli può disporre del bene come meglio crede, anche senza esser fornito del titolo giudiziale dichiarativo dell’acquisto. Difatti, se si dovesse aderire alla tesi contraria, “si verificherebbe la strana situazione per cui chi ha usucapito sarebbe proprietario, ma non potrebbe disporre validamente del bene fino a quando il suo acquisto non fosse accertato giudizialmente” (Cass. Civ. n. 2485/2007).

 

Francesco Bianchini

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