Mancato appuramento del transito: e differenze di quantita’, qualita’ ed alterazione dei colli – art. 305, 306 e 307 T.u.l.d.

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                  Le differenze inerenti la quantità e qualità delle merci spedite in transito comune / comunitario da un punto all’altro dell’Unione Europea – indipendentemente dal documento dal quale sono scortate (sia esso un T1, T2 o carnet T.I.R. o A.T.A.) – possono essere, come visto, riscontrate direttamente al momento della partenza con applicazione della sanzione di cui all’art. 303 T.U.L.D..
 
                  I casi in cui ciò accade sono, invero, limitati e si basano sull’effettuazione di una visita o di un controllo documentale, da parte dell’ufficio doganale di partenza o di ingresso nell’Unione Europea, sulla dichiarazione di vincolo al regime del transito prima del rilascio delle merci.
 
                  Ma è anche possibile che le differenze de quibus non siano riscontrate direttamente da tale ufficio in quanto:
 
·               la dichiarazione è stata trattata con la procedura del “canale verde”;
 
·               o non è stata effettuata una visita fisica particolarmente accurata;
 
·               o è stato effettuato un mero controllo documentale a seguito del quale non sono emerse difformità.
 
                  In tutti questi casi, le eventuali discrasie tra il reale ed il dichiarato non possono essere scoperte se non grazie ai controlli operati dall’ufficio di destinazione o di uscita dall’Unione Europea a seguito dell’arrivo delle merci (o del loro mancato arrivo).
 
                  Ciò, peraltro, non significa che competente al recupero dei diritti di confine evasi ed a constatare le eventuali violazioni amministrative previste sia sempre l’ufficio di destinazione.
 
                  Per determinare tale competenza è necessario operare un excursus sul funzionamento del regime di transito. Come noto, l’art. 340-ter D.A.C. definisce:
 
·               ufficio di partenza, l’ufficio doganale presso il quale viene accettata la dichiarazione di vincolo al regime di transito comune / comunitario;
 
·               ufficio di destinazione, quello presso il quale le merci vincolate a tale regime devono essere presentate;
 
·               ufficio di passaggio in uscita, quello per il tramite del quale le merci lasciano il territorio dell’Unione Europea, nel corso dell’operazione di transito con attraversamento della frontiera tra uno Stato membro ed un Paese terzo diverso da un Paese E.F.T.A.;
 
·               ufficio di passaggio in ingresso, quello presso il quale le merci entrano nel territorio doganale dell’Unione Europea, proveniendo dal territorio di un Paese terzo, nel corso dell’operazione di transito comune / comunitario.
 
                  Presso l’ufficio di destinazione (cfr. art. 361 D.A.C.) , a cura del titolare del regime, le merci devono essere presentate scortate:
 
·               dalle copie 4 e 5 del documento di transito, in caso di procedura non informatizzata;
 
·               dall’originale del D.A.T. emesso dall’Ufficio delle Dogane di partenza, in caso di procedura informatizzata;
 
·               dal carnet T.I.R. completo del volet n. 2;
 
·               dal carnet A.T.A. completo del secondo foglio della “volet de transit”.
 
                  L’ufficio di destinazione:
 
·               allibra sui propri registri – ed in particolare sul registro A-1bis, secondo quanto previsto dall’art. 5 D.M. 30 giugno 1938 – la documentazione consegnata a corredo delle merci;
 
·               previa eventuale verifica fisica delle stesse:
 
Þ          in caso di procedura non informatizzata, riporta sugli esemplari nn. 4 e 5 l’esito del controllo operato, trattiene l’esemplare n. 4 agli atti e ritrasmette l’esemplare n. 5 all’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione Europea con la massima celerità e, comunque, entro 1 mese dalla conclusione del regime, ossia dall’arrivo delle merci (cfr. art. 363 D.A.C.);
 
Þ          in caso di procedura informatizzata, trattiene agli atti l’originale del D.A.T. opportunamente annotato con gli esiti del controllo e trasmette apposita segnalazione informatica (c.d. “messaggio di arrivo”, contestuale all’arrivo delle merci, seguito dal c.d. “messaggio di risultato del controllo”, da inoltrare al più tardi entro il giorno successivo) all’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione Europea (cfr. art. 370 D.A.C.);
 
Þ          in caso di utilizzo del carnet T.I.R., riporta l’esito del controllo sul volet n. 2 avendo cura di compilare il certificato di discarico da rinviare, entro 1 mese dall’arrivo delle merci, all’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione Europea (cfr. art. 455 c. 1 D.A.C.)[1].
 
Il volet n. 2 resta depositato agli atti dell’ufficio di destinazione, per essere allegato al registro A/1-bis; il “certificato di discarico”, invece, sarà conservato, dopo l’annotazione dei suoi sul registro A/5 in corrispondenza dell’allibramento relativo al carnet A.T.A. cui il volet si riferisce, dall’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione Europea;
 
Þ          in caso di utilizzo del carnet A.T.A., riporta l’esito del controllo sul secondo foglio del “volet de transit” rimasto ancora attaccato al carnet e, entro 1 mese dall’arrivo delle merci, trasmette apposito certificato di discarico all’ufficio di ingresso nell’Unione Europea.
 
Per quanto riguarda gli adempimenti “scritturali” a carico dell’ufficio di destinazione, questo annoterà la data di arrivo delle merci a destinazione in corrispondenza dell’allibramento effettuato sul registro A/5 del carnet A.T.A. presentato al momento dell’ingresso nel territorio doganale europeo. Il certificato, poi, dovrà essere trattenuto a corredo di detto registro.
 
In ogni caso, degli esiti del controllo deve essere fatta specifica menzione sul registro A-1bis (in corrispondenza dell’allibramento di riferimento).
 
Quello sopra descritto è l’iter seguito allorché le merci siano effettivamente presentate all’ufficio di destinazione (o di passaggio in uscita); in caso contrario, detto ufficio, non avendo ricevuto né le merci né gli esemplari nn. 4 e 5 della dichiarazione o l’originale del D.A.T. o i carnet T.I.R. o A.T.A., non potrà trasmettere la documentazione sopra indicata.
 
Ricorrendo tale ipotesi, l’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione Europea (cfr. art. 365 c. 1 D.A.C.):
 
·               in caso di utilizzo della procedura non informatizzata, allo scadere del termine di 2 mesi dall’accettazione della dichiarazione di transito;
 
·               in caso di utilizzo della procedura informatizzata, immediatamente a seguito della scadenza del termine di presentazione delle merci;
 
informa l’obbligato principale della mancata conclusione del regime invitandolo a fornire una prova alternativa a suo favore.
 
                  In caso di utilizzo di un carnet T.I.R., la procedura è leggermente diversa, in quanto l’avviso deve essere dato, sempre decorso il termine di 2 mesi dall’accettazione del carnet, sia al suo titolare sia all’associazione garante interessata (cfr. art. 455 c. 2 D.A.C.).
 
In caso di utilizzo di un carnet A.T.A., l’ufficio doganale non deve dare alcuna comunicazione, essendo il contraddittorio differito in un momento successivo alla richiesta di pagamento.
 
                  Se soggetto obbligato non fornisce, contrariamente a quanto in suo interesse, una valida prova alternativa dell’avvenuta conclusione del regime, l’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione:
 
·               in caso di utilizzo della procedura non informatizzata, decorso il termine di 4 mesi dall’accettazione della dichiarazione di transito (cfr. art. 366 c. 1 D.A.C.);
 
·               in caso di utilizzo della procedura informatizzata, immediatamente a seguito della scadenza del termine di presentazione delle merci, e pertanto contestualmente all’avviso dato all’obbligato principale (cfr. art. 366 c. 1.3 D.A.C.);
 
·               in caso di utilizzo del carnet T.I.R., allo scadere del termine di 4 mesi dalla data di accettazione del carnet (cfr. art. 455-bis c. 1 D.A.C.).
 
dà il via alla procedura di ricerca.
 
                  Anche in questo caso, allorché venga utilizzato un carnet A.T.A. l’ufficio doganale non dovrà fare alcunché (vedi infra).
 
La procedura non dura all’infinito. Come risulta infatti dal combinato disposto degli artt.:
 
·               215 c. 1 D.AC., per il quale “l’obbligazione doganale sorge: …omissis… — qualora la merce sia stata vincolata ad un regime doganale che non è appurato e qualora il luogo non possa essere determinato a norma del primo o del secondo trattino entro un termine stabilito, all’occorrenza, secondo la procedura del comitato, nel luogo in cui la merce è stata introdotta nel territorio doganale della Comunità nel regime in questione”;
 
·               450-bis D.A.C., con cui è disposto che “il termine di cui all’art. 215 paragrafo 1 terzo trattino del codice è di 10 mesi a partire dall’accettazione della dichiarazione di transito”;
 
il regime si intende ex lege non concluso (ovviamente in modo negativo) allorché, decorsi 10 mesi a decorrere dalla data di accettazione della dichiarazione o del carnet non venga fornita la prova dell’arrivo delle merci a destinazione.
 
Dall’inutile decorso di detto termine consegue l’impossibilità di effettuare l’appuramento del regime e, pertanto, l’inizio dell’azione di recupero dei diritti dovuti (previa escussione dell’eventuale garanzia) nonché l’eventuale irrogazione delle sanzioni previste.
 
            Del mancato appuramento deve essere dato avviso al soggetto garante entro 12 mesi dalla data di accettazione della dichiarazione di transito. Il rispetto di questo termine (perentorio) è di fondamentale importanza visto che, expressis verbis, il suo mancato rispetto determina la decadenza dell’azione diretta riconosciuta all’amministrazione nei confronti del soggetto garante[2] (cfr. art. 450-quater c. 3 D.A.C.); nessun pregiudizio subisce, invece, l’azione nei confronti dell’obbligato principale da individuare, secondo quanto prescritto dagli agli artt. 96 e 163 c. 3 C.D.C., nel “titolare del regime di transito comunitario” ossia nel soggetto che ha presentato direttamente o nel cui interesse è stata presentata la dichiarazione di transito.
 
            Le cose cambiano leggermente allorché il transito avvenga sulla base della convenzione T.I.R. o A.T.A..
 
            Per quanto riguarda la prima di tali convenzioni è previsto che:
 
·               “gli articoli 450-bis, 450-ter e 450-quinquies si applicano, in quanto compatibili, nell’ambito della procedura di recupero relativa all’uso del carnet TIR” (cfr. art. 456 c. 2 D.A.C.);
 
·               “se un carnet T.I.R. non è stato scaricato o è stato scaricato con riserve, le autorità competenti possono esigere dall’associazione garante il pagamento delle somme ci cui all’art. 8 c. 1 e 2 soltanto se entro un termine di 1 anno, a decorrere dall’accettazione del carnet T.I.R. da parte delle autorità doganali, esse hanno notificato per iscritto all’associazione garante che il carnet non è stato scaricato o che è stato scaricato con riserve. Detta disposizione è applicabile allorché lo scarico è stato ottenuto abusivamente o fraudolentemente, ma in tal caso il termine per la notificazione è di due anni” (art. 11 c. 1 Convenzione doganale T.I.R.).
 
                  Da ciò consegue che, in tale ipotesi, all’inutile decorso del termine di 10 mesi di cui all’art. 450-bis D.A.C. non deriva alcuna presunzione di mancato appuramento del regime e che, in realtà, l’unico termine valido è quello di 1 anno – decorrente dall’accettazione del carnet T.I.R. – ma, anche in questo caso, con valenza limitata alla sola obbligazione solidale dell’associazione garante[3].
 
                  Pertanto, anche in questo caso l’eventuale difetto di comunicazione del mancato scarico o dello scarico con riserve entro tale termine non sortirà alcun effetto impediente di un’eventuale azione dell’amministrazione nei confronti dell’obbligato principale.
 
                  Per quanto riguarda il transito effettuato con convenzione A.T.A.:
 
·               “quando si accerti che …omissis… è stata commessa un’infrazione o un’irregolarità, le autorità doganali ne danno notifica al titolare del carnet A.T.A. ed all’associazione garante entro il termine previsto dall’art. 6 c. 4 della convenzione A.T.A.” (cfr. art. 457-quinquies D.A.C.);
 
·               “le autorità doganali non possono esigere in nessun caso dall’associazione garante il pagamento delle somme di cui al paragrafo 1 del presente articolo se la richiesta non è stata fatta all’associazione stessa nel termine di 1 anno dalla data di scadenza del carnet” (art. 6 c. 4 convenzione A.T.A.);
 
·               “la prova della regolarità dell’operazione …omissis… deve essere fornita entro il termine previsto dall’ar. 7 c. 1 e 2 della convenzione A.T.A.” (cfr. art. 457-quinquies D.A.C.).
 
                  Come si nota, le differenze rispetto al caso precedente sono molteplici:
 
·               anzitutto, non è previsto alcun obbligo per il competente ufficio doganale di comunicare il mancato scarico o lo scarico con riserva del carnet;
 
·               ancora, l’adempimento da porre in essere entro il termine (perentorio) di 1 anno sopra visto è la richiesta di pagamento (rectius: escussione della garanzia);
 
·               in ultimo, il termine di cui si tratta non decorre dall’accettazione del carnet ma, bensì, dalla sua scadenza.
 
                  Ma le differenze non finiscono qui. Negli altri casi di transito comune / comuntiario, abbiamo visto che prima della richiesta di pagamento l’obbligato principale e l’associazione garante (in caso di convenzione T.I.R.) vengono invitati a fornire la prova alternativa dell’avvenuto arrivo a destinazione delle merci.
 
                  Qui, la consecutio temporum è invertiva: l’art. 7 della convenzione A.T.A., infatti, prevede che, a seguito della richiesta di pagamento di cui sopra, l’associazione garante disponga di 6 mesi di tempo per fornire la prova dell’avvenuto scarico del carnet ovvero della riesportazione delle merci nonché di un ulteriore termine di 3 mesi per fornire la prova tardiva (depositando, però, in tal caso la somma garantita a titolo provvisorio).
 
                  In sostanza, in caso di utilizzo della convenzione A.T.A. l’ufficio doganale di partenza o di ingresso nell’Unione Europea non sarà tenuto a dare alcuna comunicazione preventiva né all’obbligato principale né all’associazione garante, i quali, peraltro, potranno fornire la prova della propria “innocenza” in un momento successivo al ricevimento della richiesta di pagamento.
 
Le diverse fattispecie sanzionatorie previste.
 
                  Anche in questa sede il legislatore, anziché disciplinare un’unica fattispecie sanzionatoria, ha preferito perseguire un modus operandi incentrato sulla “frammentarizzazione” dei comportamenti costituenti violazione, come del resto ha fatto in relazione al delitto di contrabbando: le fattispecie sanzionatorie sono infatti tre, alcune delle quali a loro volta sottodistinte a seconda dell’elemento materiale concretamente riscontrabile:
 
1.            mancato appuramento per riscontrata differenza di quantità (art. 305 T.U.L.D.).
 
La violazione è integrata allorché le merci in transito comune / comunitario:
 
·               non vengano presentate, in tutto o in parte, all’ufficio di destinazione;
 
·               ovvero vengano presentate in quantitativi maggiori rispetto a quelli spediti.
 
         Elemento materiale (il primo) è la presenza di una differenza di quantità fra le merci spedite e quelle effettivamente giunte a destinazione.
 
         In entrambe i casi sopra visti, la sanzione[4] pecuniaria[5] è determinata in misura compresa fra 1/10 e l’intero ammontare:
 
·               dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuti sulle merci mai giunte a destinazione, de iure presunte conformi (in fatto di qualità) a quanto indicato nel documento di transito ed immesse in consumo ex art. 36 c. 5 T.U.L.D.;
 
·               del maggiore importo dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuti sulle merci giunte a destinazione rispetto a quelle inviate, qualora le prime siano in quantitativo superiore alle seconde.
 
         Come si può facilmente vedere, l’elemento oggettivo della violazione è integrato nel solo caso in cui si tratti di merci non ancora immesse in libera pratica e, come tali, vincolate al regime di transito comune / comunitario “esterno” (secondo elemento materiale).
 
Qualora, invece, si tratti di merci comunitarie o immesse in libera pratica (e pertanto il regime di transito comune / comunitario sia di tipo “interno”), non essendo queste normalmente assoggettate a dazi di esportazione, un loro eventuale mancato arrivo o una deficienza quantitativa non determina la debenza di alcun diritto di confine e, conseguentemente, impedisce il concretarsi della fattispecie tipica della violazione di cui all’art. 305 cit..
 
         Tale conclusione non è però perseguibile allorché si tratti di merci comunitarie o di libera pratica:
 
Þ          destinate a quei particolari territori in cui non trovano applicazione le disposizioni di cui alla direttiva 77/388/CEE (i c.d. territori a “fiscalità differenziata”).
 
Il movimento di merci da e per detti territori non è, di regola, soggetto a dazi di importazione o di esportazione e, pertanto, non si ha, in caso di mancato arrivo a destinazione delle merci, alcuna differenza di diritti di confine.
 
Discorso diverso, invece, deve essere fatto per quanto riguarda l’I.V.A.. Se, infatti, una merce viene inviata, in transito comunitario “interno” (scortata dal documento T2LF), per esempio dall’Italia ad uno di questi particolari territori, la fattura dell’operatore nazionale è emessa senza applicazione dell’I.V.A. in quanto parificata ad un’esportazione. Il mancato arrivo a destino delle merci determina l’insorgere di una presunzione di immissione in consumo ex art. 36 T.U.L.D. con conseguente applicazione della sanzione di cui all’art. 305 cit. limitatamente alla sola imposta nazionale;
 
Þ          destinate ad essere trasportate da una parte all’altra del territorio dell’Unione Europea con attraversamento del territorio di uno Stato terzo e classificabili in voci doganali per le quali è previsto un dazio all’esportazione.
 
In tali casi, il mancato arrivo determina l’applicazione della presunzione di cui all’art. 36 c. 1 T.U.L.D. per il quale “per le merci soggette a diritti di confine, il presupposto dell’obbligazione tributaria è costituito …omissis… relativamente alle merci nazionali o nazionalizzate, dalla loro destinazione al consumo fuori del territorio stesso”, ossia dalla loro indebita sottrazione ai vincoli doganali o la loro mancata presentazione alle verifiche previste.
 
Presumendosi immessa in consumo al di fuori del territorio [comunitario], l’obbligato principale è tenuto alla corresponsione del dazio di esportazione con la conseguenza che, generandosi materia imponibile, è applicabile anche la sanzione di cui all’art. 305 c. 1 cit. (in questo caso, limitatamente al solo dazio di esportazione, non potendo essere considerata dovuta l’I.V.A. in quanto operazione non imponibile ex art. 8 d.P.R. 633/1972).
 
2.            mancato appuramento per riscontrata differenza di qualità (art. 306 T.U.L.D.).
 
Questa disposizione punisce le diversità riscontrate nella qualità delle merci giunte a destinazione rispetto a quelle partite.
 
La sanzione è stabilita in misura compresa fra 1 e 3 volte l’ammontare dei diritti di confine e dell’I.V.A.[6] afferente le merci non rispondenti alle qualità accertate (o presunte conformi a quanto dichiarato) da parte dell’ufficio di partenza.
 
E’ importante notare come, a differenza dell’ipotesi precedente (dove la base di calcolo è data dalla differenza tra i diritti di confine e l’I.V.A. dovuti sulle merci giunte a destinazione rispetto a quelle spedite o dal loro maggiore importo, a seconda dei casi), qui è determinata sic et simpliciter da quanto si sarebbe dovuto corrispondere ai fini dell’immissione in libera pratica delle merci riscontrate qualitativamente difformi rispetto a quanto indicato nel documento di transito: il procedimento per stabilire detta base di calcolo è quindi semplificato in quanto, dopo aver calcolato i diritti di confine e l’I.V.A. afferente le merci “difformi”, non bisognerà procedere alla sottrazione di quanto avrebbe dovuto essere corrisposto sulle merci dichiarate.
 
         Va da sé, come si può immaginare, che la violazione non sia integrata allorché le merci siano comunitarie o immesse in libera pratica e, pertanto, viaggino scortate da T2L in quanto destinate ad essere trasportate da una parte all’altra del territorio doganale dell’Unione Europea fuoriuscendo temporaneamente da questo per passare attraverso uno Stato terzo: in questa ipotesi, infatti, le merci hanno già assolto gli obblighi concernenti la fiscalità comunitaria e (se del caso) nazionale e, pertanto, eventuali differenze di quantità o qualità o il loro mancato arrivo non integrano alcuna violazione amministrativa per il semplice fatto che – non essendo normalmente istituiti dazi di esportazione – non si deve procedere al recupero di alcun diritto.
 
         Nondimeno, qualora, effettuando i controlli di rito, l’ufficio di passaggio in uscita (non dunque l’ufficio doganale di destinazione, ma quello attraverso il quale le merci attraversano la frontiera dell’Unione Europea) riscontri, in luogo di quanto dichiarato nel T2L, la presenza di merci soggette a dazio di esportazione, trova applicazione l’art. 36 c. 1 T.U.L.D. per il quale “per le merci soggette a diritti di confine, il presupposto dell’obbligazione tributaria è costituito …omissis… relativamente alle merci nazionali o nazionalizzate, dalla loro destinazione al consumo fuori del territorio stesso”.
 
         Tale destinazione, a sua volta, si presume (cfr. art. 36 c. 5 cit.) allorché le merci siano state indebitamente sottratte ai vincoli doganali o non siano state presentate alle verifiche ed ai controlli previsti.
 
         E’ chiaro che la presentazione di una dichiarazione infedele comporta, in caso di rinvenimento di merci soggette a dazio di esportazione al momento della loro uscita dal territorio doganale dell’Unione Europea, una evidente sottrazione delle stesse al sistema dei controlli doganali. Ricorrendo tale ipotesi sarà applicazione una sanzione (cfr. art. 306 c. 2 T.U.L.D.) di importo compreso fra 1 e 3 volte l’importo del dazio di esportazione dovuto.
 
         Detta sanzione concorre – e pertanto deve essere applicata congiuntamente – a quella di cui al c. 1 dello stesso articolo prevista per la mera differenza di qualità delle merci vincolate al regime di transito.
 
3.            mancato appuramento per alterazione dei colli spediti in esenzione da visita (art. 307 T.U.L.D.)..
 
Tale disposizione, più che integrare una fattispecie sanzionatoria autonoma, costituisce circostanza aggravante della violazione di cui all’art. 305 T.U.L.D..
 
E’ infatti previsto che qualora la differenza di quantità sia dovuta all’avvenuta alterazione dei colli “spediti in esenzione da accertamento”[7], debba essere applicata non la (tutto sommato mite) sanzione di cui all’art. 305 cit. ma, bensì, quella (ben più dura) di importo compreso fra € 103,00 e 516,00 per ogni collo alterato.
 
Bisogna comunque dire che, trattandosi di circostanza aggravante, dalla sua applicazione non potrà mai derivare l’irrogazione di una sanzione di importo inferiore rispetto a quanto indicato nel precitato art. 305 cit.: pertanto, qualora oggetto di spedizione siano pochi colli ma di alto valore, il funzionario accertatore dovrà procedere con particolare cautela al fine di determinare l’importo dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuti sulle merci (eventualmente in forma differenziale, nel caso in cui a destinazione sia giunto un quantitativo superiore rispetto a quanto indicato nella dichiarazione di transito comune / comunitario) e, una volta determinata tale base di calcolo, dovrà calcolare l’importo della sanzione prevista per la violazione base e per quella aggravata, constatando solo quella da cui deriva la sanzione di importo maggiore
 
Individuazione dell’ufficio competente alla constatazione della violazione ed all’irrogazione della sanzione pecuniaria.
 
Come abbiamo visto sopra, la mera conclusione del regime – ossia il materiale arrivo a destinazione delle merci – non determina automaticamente la “chiusura” del relativo procedimento, in quanto occorre un adempimento ulteriore, il c.d. appuramento (cfr. art. 92 c. 2 C.D.C.)[8], di competenza dell’ufficio di partenza o di ingresso nell’Unione Europea.
 
Il controllo operato a destinazione (o in uscita), infatti, potrebbe dimostrare la presenza di anomalie (differenze di qualità e quantità o alterazioni di colli) tali da impedire l’appuramento o di una situazione di fatto che, seppur non tale da impedire la conclusione del regime, sia comunque suscettibile di integrare una violazione amministrativa (come, per esempio, la tardiva presentazione delle merci a destino).
 
Non è dunque detto che alla conclusione del regime corrisponda sempre l’appuramento. Bisogna distinguere, infatti, tre diverse ipotesi:
 
·               arrivo a destinazione delle merci senza che le stesse presentino difformità rispetto a quanto risultante dalla documentazione di scorta né alterazioni dei colli.
 
In tale caso, l’ufficio di destinazione si limita a certificare l’avvenuto arrivo delle merci con le modalità sopra indicata (cfr. artt. 145 c. 2 e 146 T.U.L.D.), restando di competenza dell’ufficio di partenza l’appuramento del documento di transito e la liberazione della garanzia eventualmente prestata (cfr. artt. 145 c. 6 cit.);
 
·               arrivo a destinazione di merci presentanti differenze di qualità o quantità o alterazione dei colli.
 
In tale caso, l’ufficio di destinazione:
 
Þ          certifica l’avvenuto arrivo delle merci curando di indicare le difformità riscontrate, in modo tale che l’ufficio di partenza possa, sulla base della comunicazione indirizzatagli, appurare parzialmente il documento di trasporto e procedere così o all’escussione (parziale o totale, a seconda dei casi) della garanzia e/o al recupero dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuta sulla merce mancante o difforme (in quanto presuntivamente immessa in consumo ex art. 36 c. 5 T.U.L.D.);
 
Þ          redige processo verbale di constatazione delle violazioni di cui agli artt. 305, 306 o 307 T.U.L.D. (a seconda dei casi) provvedendo altresì, con il rispetto delle modalità di cui al D. Lgs. 472/1997 e ss.mm.ii., all’irrogazione delle relative sanzioni pecuniarie.
 
La competenza dell’ufficio di destinazione è, in questo caso, stabilita dall’art. 145 c. 3 T.U.L.D. (applicabile al transito comune / comunitario giusta il richiamo ad esso operato dal successivo art. 146), in virtù del quale “quando …omissis… si rilevano differenze in confronto alla bolletta di cauzione [ora documento di transito comune / comunitario] si sospende il rilascio del certificato di scarico o lo si limita ai soli colli per i quali non sono state riscontrate irregolarità. In tali casi è redatto apposito processo verbale anche agli affetti degli artt. 305, 306 e 307”.
 
·               le merci non siano, nemmeno in parte, giunte all’ufficio di destinazione.
 
In tale ipotesi, la dogana di destino non può effettuare alcun controllo delle merci e, pertanto, non può trasmettere alcuna comunicazione in relazione agli esiti del controllo stesso. Per tale ragione, l’art. 145 c. 7 T.U.L.D. dispone che sia l’ufficio di partenza (o di entrata nell’Unione Europea) a procedere, oltre che al recupero dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuta, anche alla constatazione della violazione di cui all’art. 305 c. 1 T.U.L.D..
 
La competenza dell’ufficio di partenza, ovviamente, non è limitata alla sola constatazione, ma comprende anche l’irrogazione della sanzione pecuniaria ad essa conseguente[9].
 
Mancato o parziale arrivo di merci a destinazione per fatto doloso o colposo di terzi: ripercussioni sul potere sanzionatorio ed indifferenza ai fini della debenza dei diritti di confine e dell’I.V.A..
 
                  Nella pratica applicativa di tutti i giorni, spesso accade che la differenza di quantità fra merci spedite ed arrivate – differenza ovviamente “in negativo”, ossia caratterizzata dal mancato arrivo, totale o parziale, delle merci – sia dovuta non ad un fatto doloso o colposo del responsabile del regime ma, all’opposto, ad un fatto ascrivibile a responsabilità di terzi.
 
                  In questi casi, gli uffici doganali competenti possono constatare le violazioni sopra viste (irrogando le relative sanzioni) e procedere al recupero dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuti ovvero tali azioni non sono più perseguibili?
 
                  La risposta è diversa, a seconda che si tratti:
 
·               dell’esercizio del potere sanzionatorio.
 
Per giungere alla soluzione del quesito, è importante rammentare come:
 
Þ        “nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione o omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa” (cfr. art. 5 c. 1 D. Lgs. 472/1997);
 
Þ        “il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non [siamo] punibili quando dimostrano che il mancato pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed addebitabile esclusivamente a terzi” (cfr. art. 6 c. 3 D. Lgs. 472/1997).
 
Affinché non si determini l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’amministrazione occorre, pertanto, il contemporeaneo realizzarsi di tre distinte condizioni:
 
Þ          anzitutto, il mancato (o parziale) arrivo delle merci vincolate al regime di transito comune / comunitario deve essere conseguenza immediata, diretta ed esclusiva di un fatto ascrivibile ad un soggetto terzo, dovendosi intendere per tale una persona (fisica o giuridica che sia) con la quale l’obbligato principale non abbia alcun tipo di rapporto.
 
In particolare, se il mancato (o parziale) arrivo è determinato dal comportamento di un dipendente dell’obbligato principale ovvero di un suo appaltatore (per esempio di un trasportatore) non si ha alcuna elisione del potere sanzionatorio del competente Ufficio delle Dogane. In virtù di quanto disposto dall’art. 1228 c.c., infatti, “il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”.
 
Risulta pertanto chiaro come il comportamento idoneo a bloccare l’esercizio dello ius puniendi debba potersi ascrivere ad un soggetto non solo diverso rispetto all’obbligato principale, ma con il quale questi non abbia alcun tipo di rapporto (né di immedesimazione organica, né di dipendenza lavorativa o di collaborazione professionale né di cooperazione contrattuale nell’adempimento della specifica obbligazione del trasporto);
 
Þ          inoltre, tale fatto deve essere stato denunciato all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria;
 
Þ          in ultimo, in capo all’obbligato principale non deve poter essere mosso alcun giudizio nemmeno di lieve colpevolezza[10].
 
La mancata ricorrenza anche di uno solo di tali presupposti, pertanto, legittima il competente Ufficio delle Dogane a constatare le violazioni sopra viste e ad irrogare le relative sanzioni pecuniarie;
 
·               dell’esercizio del potere impositivo.
 
Anche in questo caso, prima di affrontare il problema è opportuno fare un breve excursus normativo.
 
Ai sensi dell’art. 37 c. 1 T.U.L.D. “non si considera avverato il presupposto dell’obbligazione tributaria quando il soggetto passivo dimostri che l’inosservanza dei vincoli doganali o la mancanza in tutto o in parte delle merci all’atto della presentazione, della verifica o dei controlli doganali, anche successivi all’accettazione della dichiarazione, dipenda dalla perdita o distruzione della merce per caso fortuito o forza maggiore o per fatti imputabili a titolo di colpa non grave a terzi o allo stesso soggetto passivo. In tali casi, la perdita o distruzione deve essere denunciata agli organi doganali entro 10 giorni da quello in cui si è verificata o da quello in cui il soggetto passivo ne è venuto a conoscenza e deve essere comprovata, quando possibile, mediante attestazione di un pubblico ufficiale”.
 
L’art. 22-ter D.L. 693/1980, interpretando in via autentica la sopra citata disposizione, ha statuito che “la parola prevista …omissis… dall’articolo 37 T.U.L.D. va intesa nel significato di dispersione e non di sottrazione della disponibilità del prodotto”
 
La possibilità di procedere al recupero dei diritti di confine e dell’I.V.A. dovuta sulle merci non giunte a destinazione, pertanto, viene meno allorché le stesse:
 
·               siano andate distrutte;
 
·               siano andate perse, nel senso di “disperse” e non nel diverso senso di non più materialmente disponibili da parte dell’obbligato principale;
 
il tutto all’ulteriore condizione che di tale fatto venga data comunicazione all’ufficio doganale entro 10 giorni dalla data di accadimento ovvero da quella in cui l’obbligato ne ha avuto conoscenza (in questo caso, l’onus probandi in relazione al momento di tale avvenuta conoscenza è a suo carico).
 
In mancanza del verificarsi di tali presupposti, opera una presunzione assoluta di immissione in consumo e, dunque, il mancato arrivo delle merci viene equiparato ad un’importazione, con tutte le ovvie conseguenze del caso[11].
 
La distinzione fra la perdita comportante dispersione e quella comportante indisponibilità è – quindi – di cruciale importanza per la sopravvivenza dell’obbligazione tributaria dato che, nel secondo caso, questa non viene meno.
 
Nel caso specifico di furto, è chiaro che l’obbligato principale ha effettivamente perso le merci vincolate al regime di transito, ma è altrettanto chiaro come le stesse non possano considerarsi “disperse” ma solo non più materialmente nella sua disponibilità (sono infatti nella disponibilità del ladro!). E’ quindi di tutta evidenza come il dichiarante resti obbligato al pagamento dei diritti di confine e dell’I.V.A., anche in assenza di colpa da parte sua (per esempio inerente una non perfetta custodia del carico o la mancata predisposizione dei mezzi necessari ad una concreta e fattiva opera di dissuasione nei confronti di eventuali malintenzionati[12]).
 
Il responsabile dell’illecita sottrazione delle merci, oltre a dover rispondere del reato di furto o rapina (a seconda dei casi), dovrà anche rispondere del delitto di contrabbando (ex art. 292 T.U.L.D.) in quanto, de facto, ha sottratto al controllo doganale ed al pagamento dei diritti di confine una merce non comunitaria. Ciò, ovviamente limitatamente ai soli casi:
 
Þ          di transito comune / comunitario esterno (ossia con documento T1);
 
Þ          di transito comune / comunitario interno verso Stati a c.d. “fiscalità differenziata” (ossia con documento T2LF);
 
Þ          di transito comune / comunitario interno con attraversamento di Stati terzi (ossia con documento T2L), ma solo in relazione alle merci per le quali sia previsto un dazio all’esportazione.
 
In caso di transito comune / comunitario interno di merci non soggette ad alcun dazio di esportazione, infatti, il loro furto non determina sottrazione al pagamento dei diritti di confine (visto che si tratta di merci originarie dell’Unione Europea o immesse in libera pratica) e, dunque, non risulta integrato il delitto di contrabbando.
 
L’autore dell’illecita sottrazione delle merci, in ogni caso, rimane coobbligato solidale[13] con il responsabile del regime di transito nel pagamento dei diritti di confine e dell’I.V.A. sullo stesso dovuti con la conseguenza che, qualora il secondo non abbia già provveduto al saldo della propria posizione debitoria, l’Ufficio delle Dogane potrà agire anche nei suoi confronti.
 
Violazione amministrativa e fattispecie
penalmente rilevante: indici discriminatori.
 
                  Qualora sia accertato (rectius: vi sia il fondato sospetto) che la differenza di quantità o qualità delle merci giunte a destinazione o il loro mancato arrivo siano dipesi da un comportamento doloso dell’obbligato principale o di altro soggetto, nei suoi confronti è ipotizzabile il delitto di cui:
 
·               all’art. 289 T.U.L.D., nel caso in cui il trasporto sia avvenuto per mezzo di nave o aeromobile;
 
·               all’art. 292 T.U.L.D., nel caso di trasporto effettuato con altri mezzi;
 
                  Ai fini dell’integrazione dei reati de quibus – come del resto ai fini dell’integrazione della violazione amministrativa di cui agli artt. 305, 306 e 307 T.U.L.D. – poco importa che il regime di transito sia assistito, come accade normalmente, da una garanzia idonea a coprire i diritti di confine dovuti: il fatto, infatti, assume rilevanza ex se.
 
                  E’ possibile – come già visto – che con le violazioni amministrative appena viste a carico dell’obbligato principale possa concorrere l’imputazione per il delitto di cui sopra a carico di un soggetto terzo.
 
                  Ovviamente, anche in questo caso a carico dell’obbligato principale non potrà essere mossa alcuna imputazione allorché le merci in transito siano comunitarie o immesse in libera pratica, non destinate a territori con “fiscalità separata” e comunque non soggette a dazi di esportazione.
 


[1]           In caso di transito con carnet T.I.R., tali incombenti devono essere adempiuti anche dall’ufficio di passaggio in uscita, stante quanto previsto dall’art. 455 c. 1 D.A.C..
[2]           Tale disposizione non è ovviamente applicabile al caso del transito effettuato mediante utilizzo del carnet TIR e ciò in quanto, ai sensi della relativa convenzione, la c.d. “associazione garante” assume, più che veste di vero e proprio soggetto garante, ruolo di obbligato principale (cfr. art. 457 c. 3 D.A.C.) e, pertanto, nei suoi confronti l’azione di recupero potrà essere esperita nell’ordinario termine triennale senza pericolo di decadenza per la mancata effettuazione della comunicazione qui in esame.
[3]           Per procedere all’incameramento della garanzia è però necessario un ulteriore adempimento, anch’esso da porre in essere entro ben precisi termini perentorio stabiliti direttamente dalla convenzione T.I.R..
            L’art. 11 c. 2 di questa, infatti, dispone che “La richiesta di pagare le somme …omissis… deve essere inviata all’associazione garante al più presto 3 mesi ed al più tardi 2 anni dopo, a contare dal giorno in cui l’associazione è stata informata che il carnet non è stato scaricato o che è stato scaricato con riserve oppure che l’attestazione di scarico è stata ottenuta abusivamente o fraudolentemente”.
[4]           Da determinare separatamente per i “diritti di confine” veri e propri e l’I.V.A. afferente.
[5]           “In tema di trasporto internazionale di merci con carnet TIR, nella disciplina della convenzione di Ginevra del 15 gennaio 1959, ratificata con l. 12 agosto 1962 n. 1517, l’obbligazione dell’associazione garante, di cui all’art. 6/1 di detta convenzione, si estende alla pena comminata a carico dello "speditore" per la mancata presentazione delle merci alla dogana di destinazione, ai sensi dell’art. 305 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, atteso che lo speditore è compreso ex lege fra i soggetti partecipanti all’esecuzione del trasporto (indipendentemente dal fatto che sia o meno anche vettore) e che, inoltre, la norma della citata convenzione, ove si riferisce , include le sanzioni pecuniarie originariamente di carattere penale, successivamente depenalizzate” (Corte Cass., Sezione I, 15 marzo 1994, n. 2459, Ministero delle Finanze c. Unione Italiana delle Camere di Commercio, in Giust. civ. Mass. 1994, 315 solo massimata).
“In tema di trasporto internazionale di merci con carnet T.I.R., nella disciplina della convenzione di Ginevra del 15 gennaio 1959, ratificata con l. 12 agosto 1962 n. 1517, l’obbligazione della associazione garante, di cui all’art. 671 di detta convenzione, si estende alla pena comminata a carico dello "speditore" per la mancata presentazione delle merci alla dogana di destinazione, ai sensi dell’art. 305 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, tenendo conto che lo speditore è compreso ex lege fra i soggetti partecipanti o l’esecuzione del trasporto (indipendentemente dal fatto che sia o meno anche vettore) e che, inoltre, la citata norma convenzionale, ove si riferisce alle , include le sanzioni pecuniarie originariamente di carattere penale, successivamente depenalizzate” (Corte Cass., Sezione I, 23 gennaio 1993, n. 788, Ministero delle Finanze c. Unione Italiana delle Camere di Commercio, in Giust. civ. Mass. 1993, 112 solo massimata).
            “In tema di trasporto internazionale di merci con carnet TIR, nella disciplina della Convenzione di Ginevra del 15 gennaio 1959, ratificata con l. 12 agosto 1962 n. 1517, l’obbligazione della associazione garante, di cui all’art. 6/1 di detta Convenzione, si estende alla pena comminata a carico dello per la mancata presentazione delle merci alla dogana di destinazione, ai sensi dell’art. 305 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, tenendo conto che lo speditore è compreso ex lege fra i soggetti partecipanti all’esecuzione del trasporto (indipendentemente dal fatto che sia o meno anche vettore), e che, inoltre, la citata norma convenzionale, ove si riferisce alle , include le sanzioni pecuniarie originariamente di carattere penale, successivamente depenalizzate” (Corte Cass., Sezione I, 9 agosto 1990, n. 8119, Unioncamere c. Amministrazione finanze, in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 8).
 
[6]           Da determinare separatamente per i “diritti di confine” veri e propri e l’I.V.A. afferente.
[7]           Ai sensi di quanto previsto dall’art. 143 T.U.L.D., possono essere spedite in esenzione da accertamento le merci “confezionate a macchina o comunque in modo tale da non fare temere manomissioni”.
            Ai fini dell’applicazione della disposizione sanzionatoria, peraltro, devono considerarsi a queste equiparate anche tutte le merci oggetto di dichiarazioni di transito non soggette a verifica fisica o controllo documentale da parte dell’ufficio doganale di partenza (e ciò per l’ovvia ragione che, anche in tale caso, non si è effettuato alcun puntuale riscontro della rispondenza delle indicazioni contenute sulla dichiarazione di transito con quanto effettivamente vincolato al relativo regime).
[8]        Con il termine appuramento l’insieme delle attività amministrative svolte dall’ufficio doganale di partenza con il quale, sulla base dei risultati del controllo delle merci operato dall’ufficio di destinazione, viene determinato l’effettivo buon fine dell’operazione di transito e, conseguentemente, liberate le garanzie o, in caso contrario, adottate tutte le misure necessarie ed utili ai fini della migliore tutela degli interessi erariali nazionali e comunitari.
[9]           “Per il recupero di diritti doganali in relazione a merce in transito con "carnet" TIR che non risulti pervenuta alla dogana di destinazione, la competenza ad emettere ingiunzione fiscale spetta inderogabilmente alla dogana di partenza, alla quale va assimilato a tutti gli effetti e quindi anche a quello della competenza ad emettere la predetta ingiunzione, l’ufficio doganale di passaggio in regime di transito comunitario a norma degli artt. 145 u.c., 238 c. 2 (operante nella specie nel suo testo originario), e 55 T.U.L.D., con disciplina che non subisce limiti da parte della normativa CEE, posto che l’art. 36 del regolamento CEE 77/1972 riserva alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dello Stato, in cui è commesso l’illecito, l’azione di recupero dei dazi e degli altri diritti e tributi” (Corte Cass., Sezione I, 5 agosto 1994, n. 7302, Ministero delle Finanze c. Soc. Berner Allgemeine Versicherungsgesellschaft, in Giust. civ. Mass. 1994, 1070 solo massimata).
            “La competenza ad emettere ingiunzione fiscale, per il recupero di diritti doganali afferenti merce in transito comunitario con carnet TIR che non risulti pervenuta alla dogana di destinazione, spetta inderogabilmente, a pena d’illegittimità dell’ingiunzione medesima, ai sensi dell’art. 146 T.U.L.D., reso applicabile dall’art. 36 del regolamento CEE 222/1977, alla dogana d’entrata della merce stessa nel territorio dello Stato, quale dogana di partenza, indipendentemente dal fatto che questa, rispetto all’operazione complessiva, svolga la funzione di mera dogana di passaggio” (Corte Cass., Sezione I, 9 luglio 1994, n. 6519, Soc. Berner Allgemeine c. Ministero delle Finanze, in Giust. civ. Mass. 1994, 947 solo massimata).
            “Con citazione notificata il 29 aprile 1982 l’Unione Italiana delle Camere di Commercio, industria, artigianato ed agricoltura (UnionCamere) conveniva, dinanzi al Tribunale di Genova, l’Amministrazione Finanziaria dello Stato, proponendo opposizione avverso l’ingiunzione fiscale del 15 aprile 1982, con cui la Dogana di Genova le aveva ingiunto il pagamento di lire 109.491.480, oltre interessi e penalità, per 12 carnet TIR passati dalla Dogana di Claviere e scaricati fraudolentemente eccependo che l’azione era prescritta, che la procedura ingiunzionale era inammissibile, che mancava la prova dello scarico dalla Dogana di destinazione (Genova) anziché da quella competente di entrata (Claviere), che la garanzia era venuto meno, per mancata esclusione dei debitori principali.
L’Amministrazione Finanziaria dello Stato si costituiva, chiedendo il rigetto dell’opposizione, che veniva accolta dal Tribunale con sentenza 20 dicembre 1985, confermata dalla Corte d’Appello di Genova con sentenza 30 novembre 1987 la quale (per quel che interessa il presente ricorso) osservava:
          che il privato ha interesse a che l’ingiunzione sia emanata dalla Dogana competente, a norma dell’art. 145 T.U.L.D. il quale dispone che, ove le merci spedite con bolletta di cauzione (o documento equipollente) non vengano presentate alla Dogana di destinazione, come era avvenuto nel caso, spetta alla Dogana di partenza provvedere al recupero dei diritti dovuti;
          che è innegabile il carattere funzionale dell’attribuzione alla Dogana di partenza del potere-dovere di recupero dei diritti evasi, a tale ufficio spettando ricevere il titolo (carnet TIR) che per effetto dell’art. 6 n. 3 della Convenzione di cui alla legge 12 agosto n. 1517 costituisce fonte dell’obbligazione tributaria;
          che non può ritenersi di competenza della Dogana di destinazione il recupero conseguente a fatti di contrabbando verificatisi nella circoscrizione di quest’ultima, sia perché l’accertamento della pena pecuniaria si pone come un compito ulteriore, sia perché non esiste, nella legge, alcuna distinzione fra ipotesi delittuosa e non, sia perché non esistevano elementi per far ritenere che l’immissione in consumo delle merci sottratte ai vincoli doganali avesse avuto luogo nella circoscrizione di Genova;
          che, dovendosi l’obbligazione tributaria relativa alle merci estere ritenere insorta nel momento in cui il fatto dell’indebita sottrazione ai vincoli doganali si era verificata (con presunzione di definitiva immissione in consumo), doveva considerarsi il momento in cui il fatto era stato accertato (nella specie, a Claviere).
Avverso la suddetta sentenza l’Amministrazione Finanziaria dello Stato ha proposto ricorso per cassazione.
L’Unioncamere ha resistito con controricorso.
            Diritto.
            Col primo motivo, l’Amministrazione Finanziaria deduce il difetto di giurisdizione (art. 360 n. 1 c.p.c.), sotto il profilo del difetto assoluto di giurisdizione, perché unica è la personalità dell’Amministrazione delle Finanze creditrice, della quale fanno parte sia il ricevitore della Dogana di Genova che quello della Dogana di Claviere o chiunque altro. L’Amministrazione, nella sua unitarietà, agisce attraverso i suoi organi e non può ammettersi che la tutela giurisdizionale del privato vada oltre il diritto sostanziale a contestare obbligazioni indebite e si estenda a disquisizioni di forma circa la competenza interna dell’organo che ha posto in essere l’atto in cui si concreta la pretesa fiscale (ove non sia espressamente prevista la nullità dell’atto).
Col secondo motivo, l’Amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 145 T.U.L.D., in relazione alla legge 16 agosto 1962 n. 1517, che approva la convenzione sui TIR (art. 360 n. 3 c.p.c.), osservando che, di regola, in regime TIR la riscossione dei diritti dovuti debba esser fatta dalla dogana di entrata, ma ciò non esclude una competenza concorrente della Dogana presso la quale è stata constata l’evasione, con conseguente svolgimento del processo penale (arg. ex art. 36 T.U.L.D.).
            Il ricorso è infondato.
            Esso è, infatti, basato su due errori di impostazione: che quella di cui si discute sia una competenza meramente e che la violazione delle norme sulla competenza amministrativa dia luogo ad invalidità dell’atto, emanato da organo incompetente, soltanto se prevista espressamente.
In ordine al primo punto, premesso che il centro di riferimento della competenza amministrazione è costituito dall’ufficio e cioè dal centro di quei particolari interessi della P.A. che costituiscono la sfera dei compiti demandatigli, si osserva che la competenza assume rilevanza giuridica per gli uffici esterni, perché tra gli uffici interni i compiti sono distribuiti con norme amministrative che, di regola (salva diversa disposizione di legge: si veda il caso degli Uffici-casa del Registro, ai sensi della L. 270/1954), attenendo alla ripartizione degli affari tra i diversi comparti dello stesso ufficio, non hanno rilievo nei rapporti fra la P.A. ed il privato.
            Per quanto attiene alla competenza esterna degli Uffici, l’art. 97 Cost. dispone che nell’ordinamento degli uffici () sono determinate le sfere di competenza, per cui ogni ufficio si distingue dagli altri per la sua competenza, in forza di una norma di legge posta principalmente nell’interesse pubblico e, pertanto, inderogabile.
            Nell’ambito di tale distribuzione di competenza estera rientra – senza dubbio – la suddivisione delle attribuzioni tra le diverse Dogane della Repubblica, in forza della disciplina contenuta negli articoli da 3 a 9 T.U.L.D. e nel d.P.R. 424/1972, che ha dato attuazione ai criteri stabiliti in dette norme, già contenute negli artt. da 7 a 13 del d.P.R. 18/1971, in virtù della delega legislativa contenuta nella L. 29/1968.
            Si tratta di una competenza per materia e per territorio, la seconda delle quali (che nella presente causa viene in rilievo) è determinata dalla circoscrizione di ciascun Ufficio.
            Per quanto riguarda il secondo punto, a prescindere da normative che esprimono il principio generale dell’inefficacia dell’atto compiuto da organo – od Ufficio – incompetente (si veda, per es., l’art. 4 del t.u. della legge comunale e provinciale n. 383/1934), che la sistematica dello ordinamento sia basata sul rilievo esterno della competenza quale requisito di validità dell’atto (e, correlativamente, dell’incompetenza quale causa di invalidità dell’atto, invocabile dal soggetto inciso dall’atto stesso) risulta dall’art. 26 del R.D.. 1054/1924 e dall’art. 2 L. 1034/1971, che configurano l’incompetenza nella emanazione degli atti quale ragione di ricorso giurisdizionale e di conseguente annullamento dell’atto impugnato.
            L’assunto di base del ricorso (preteso difetto assoluto di giurisdizione, perché si tratterebbe di materia non incidente sulla posizione soggettiva del debitore d’imposta) è quindi facilmente contestabile, sulla base di una sistematica dottrinaria e giurisprudenziale che è pacifica da molti decenni: l’incompetenza è un vizio esterno dell’atto, deducibile dall’interessato, e soltanto si discute se l’incompetenza porti alla nullità-inesistenza dell’atto, oppure alla sua invalidità (v., per es., Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 1988 n. 151). Si tratta di una distinzione che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha utilizzato in tema di riparto di giurisdizione, distinguendo la incompetenza assoluta da quella relativa e cioè l’atto emesso in carenza assoluta di potere dall’atto emanato con violazione delle norme attributive di potere (v., per es., Sez. un. 3 ottobre 1985 n. 4784).
Nella materia doganale, di cui si tratta, la questione di giurisdizione (in relazione al vizio di incompetenza dell’atto) va impostata alla stregua dell’incisione dell’atto sulla posizione soggettiva del contribuente. Quando le modalità di riscossione delle somme dovute non siano rigidamente prestabilite, ma possano essere variamente determinate dall’autorità amministrativa (per esempio in tema di ammissione al pagamento periodico o differito delle somme dovute: Cass., Sez. un., n. 4147 del 1976), la posizione del contribuente è da qualificare di interesse legittimo, e pertanto anche il vizio di incompetenza dell’atto può essere dedotto in sede di giustizia amministrativa.
Quando, invece, la legge predetermina in modo tassativo i presupposti e le modalità del debito tributario, essendo sorto in concreto il rapporto d’imposta fra la P.A. ed il contribuente, la posizione di quest’ultimo è di diritto soggettivo (vedi, ampiamente, Sez. un. n. 2157 del 1988) e, nell’ambito della tutela dinanzi all’A.G.O. il contribuente potrà far valere il vizio di incompetenza dell’atto (di accertamento e-o di riscossione) impugnato.
            In ordine al secondo motivo di ricorso, si osserva che l’Amministrazione non contesta che la legge, in materia espressa (ultimo comma dello art. 145 T.U.L.D.), attribuisca la competenza alla "dogana di partenza" (mentre, nella specie, l’ingiunzione è stata emessa dalla Dogana di arrivo), ma sostiene che si tratta di competenza "derogabile" e, quindi, sostituibile con quella dell’altra Dogana.
            L’assunto non può seguirsi. Il principio dell’inderogabilità della competenza amministrativa è pacifico in dottrina ed in giurisprudenza, perché nè il privato nè la P.A. agente possono violare le norme di legge (o quelle emanate in conformità alla previsione di legge) riguardanti le varie competenze.
Nella materia fiscale, il principio della inderogabilità, con conseguente nullità dell’atto viziato da incompetenza, è stato molte volte affermato, con riguardo agli accertamenti delle imposte dirette (da ultimo, fra le altre, Corte Cass. n. 6258 e n. 2998/1987) e alle ingiunzioni fiscali concernenti le imposte indirette (Sezioni Unite n. 1008/1977).
            Nella materia doganale non solo deve valere il medesimo principio dell’inderogabilità, ma esso risulta testualmente dall’art. 9 bis del t.u., introdotto con d.P.R. 960/1977, che prevede il potere del Ministro di stabilire, con decreto da pubblicarsi nella G.U., quali uffici abbiano particolari competenze territoriali, per determinate merci o per merci trasportate con determinati veicoli, ovvero per mezzi viaggianti sotto determinati regimi "in deroga alla competenza per materia delle dogane di qualsiasi categoria" (si veda, ad es., il d.m. 5 gennaio 1978, mod. con d.m. 21 gennaio 1978, sulle Dogane presso le quali sono accentrate le operazioni di importazione di alcuni prodotti dell’industria siderurgica e tessile).
            Dalla previsione della possibilità di deroga, da esercitarsi con particolari formalità e pubblicità, risulta che in ogni altro caso la competenza non può essere derogata. Poiché, nella specie, all’epoca alla quale risale l’ingiunzione, non esisteva un provvedimento che potesse interessare il presente caso, nelle forme previste dal cit. art. 9 bis T.U.L.D. (come ha dato atto il giudice del merito), la competenza apparteneva alla Dogana di partenza (Claviere) e l’atto emanato dalla Dogana alla quale la merce avrebbe dovuto essere presentata (e non lo è stata) era illegittimo ed invalido, come ha ritenuto esattamente lo stesso giudice.
            Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese” (Corte Cass., Sezioni Unite, 25 gennaio 1991, n. 743, Ministero delle Finanze c. Unioncamere, in Foro It. 1991, I, 1444).
            “L’Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed agricoltura (Unioncamere) con atto dell’8 luglio 1980 conveniva davanti al Tribunale di Catanzaro l’Amministrazione Finanziaria dello Stato, opponendosi all’ingiunzione emessa dalla Dogana di Reggio Calabria, con cui le era stato ordinato il pagamento della somma di Lire 6.358.795, a titolo di diritti doganali ed IVA su 4.215 vestiti da donna, di cui al T.I.R. n. 4-A del 19 maggio 1977, deducendo l’incompetenza della Dogana di Reggio Calabria, la mancanza del presupposto dell’obbligazione doganale e l’inapplicabilità della procedura monitoria nei confronti del garante.
L’Amministrazione Finanziaria dello Stato si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione, la quale veniva accolta dal Tribunale con sentenza 4 febbraio 1984, sotto il profilo dell’incompetenza della Dogana di Reggio Calabria.
            La sentenza era confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 26 marzo 1987, che osservava:
          che l’esazione del tributo doganale spetta in via esclusiva all’Ufficio al quale è presentata la dichiarazione doganale definitiva e soltanto eccezionalmente all’Ufficio di partenza, e cioè nell’unico caso di mancata presentazione a destinazione;
          che dal secondo e terzo comma dell’articolo 145 T.U.L.D. risulta che compete all’Ufficio Doganale che ha contestato l’irregolarità la redazione del verbale di contravvenzione e l’emissione dell’ingiunzione diretta al recupero dell’imposta doganale dovuta sulle merci mancanti ed irregolari;
          che difettavano i presupposti di applicazione dell’ultimo comma dell’art. 145 cit., in quanto le merci uscite dalla Dogana di Reggio Calabria erano state presentate alla Dogana di destinazione (Brennero) e quindi mancava l’imprescindibile condizione dell’eccezionale competenza della Dogana di partenza;
          che, infatti, si evinceva dalla documentazione che l’autocarro con un carico di 13.611 capi di vestiario era partito dalla Dogana di Reggio Calabria munito di un carnet TIR valido sino al 5 giugno 1977; che il veicolo era arrivato il 20 maggio 1977 alla Dogana di destinazione del Brennero, dove si era rilevato che i sigilli erano stati infranti e che sull’autocarro vi erano soltanto 9396 capi di vestiario e non già 13.611, come dichiarato nel manifesto di carico; che pertanto al controllo della Dogana del Brennero era stata verificata l’irregolare sottrazione di merci avvenuta dopo il passaggio legittimo della linea doganale, durante il transito;
          che pertanto la Dogana del Brennero, che aveva redatto il verbale di contravvenzione, era competente ad emettere l’ingiunzione.
Avverso la suddetta sentenza, l’Amministrazione Finanziaria dello Stato ha proposto ricorso per cassazione.
L’Unioncamere ha resistito con controricorso.
            Diritto
            Col primo motivo, l’Amministrazione Finanziaria denuncia il difetto di giurisdizione (art. 360 n. 1 c.p.c.), affermando che il Giudice ordinario non ha giurisdizione sulla questione relativa alla competenza dell’ufficio finanziario ad emettere l’ingiunzione, perché unica è la personalità dell’amministrazione creditrice, della quale fanno parte sia la Dogana di Reggio Calabria che quella del Brennero. L’Amministrazione Finanziaria nella sua unitarietà vuole ed agisce attraverso i suoi organi e le norme che ripartiscono le competenze fra gli organi sono norme di azione e non di relazione, la cui eventuale violazione non è deducibile dinanzi al giudice ordinario.
            Il motivo è infondato.
            A differenza da altri ricorsi esaminati a questa stessa udienza, la ricorrente non deduce il difetto assoluto di giurisdizione, ma implicitamente ammette (richiamando la qualifica di norme di azione, con riguardo a quelle attributive della competenza – nella specie, per territorio – ai vari Uffici dell’Amministrazione doganale) la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere del vizio dell’atto emanato dall’organo incompetente.
            Nella materia tributaria la questione di giurisdizione (in relazione al vizio di incompetenza dell’atto) va impostata alla stregua dell’incisione dell’atto sulla posizione soggettiva del contribuente.
Quanto le modalità di riscossione delle somme dovute non sono rigidamente prestabilite, ma possono essere variamente determinate dall’autorità amministrativa (per esempio, in tema di ammissione al pagamento periodico o differito delle somme dovute: v. Sezioni Unite 4147 del 1976), la posizione del contribuente è da qualificare di interesse legittimo e pertanto anche il vizio di incompetenza dell’atto emanato per regolare tale materia può essere dedotto davanti al giudice amministrativo.
Quando, invece (come avviene in tema di spedizione da una Dogana all’altra, ex artt. 141 – 145 T.U.L.D., applicabili anche alla spedizione di merci in transito secondo la Convenzione TIR, ex art. 146 T.U.L.D.) la legge predeterminata in modo tassativo ed inderogabile i presupposti e le modalità del debito tributario, essendo sorto in concreto il rapporto d’imposta fra la P.A. ed il contribuente, la posizione di quest’ultimo è di diritto soggettivo (v., ampiamente, Sezioni Unite n. 2157/1988) e, nell’ambito della tutela dinanzi all’A.G.O., il contribuente potrà far valere il vizio di incompetenza da cui è affetto l’atto (di accertamento e-o di riscossione) impugnato.       
            Si possono citare, in proposito, i precedenti in tema di incompetenza nell’accertamento delle imposte dirette (da ultimo, Corte Cass. n. 6258 e n. 2998/1987) e nella riscossione delle imposte indirette (Sez. un. n. 1008 del 1977).
            Col secondo motivo, l’Amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 145 T.U.L.D. (in relazione al regime TIR di cui alla L. 1517/1962) e difetto e contraddittorietà di motivazione (articolo 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), affermando che la Dogana competente al recupero dei tributi dovuti era quella di Reggio Calabria, che aveva emesso l’ingiunzione opposta, in quanto la merce era giunta in Italia dall’estero per via di mare ed era stato presentato il manifesto di carico, costituente dichiarazione sommaria (art. 94-105 T.U.L.D.), in cui era stata dichiarata in transito attraverso il territorio doganale (art. 146), con obbligo di ripresentazione alla Dogana di uscita del Brennero, in regime TIR, con destinazione finale fuori dal territorio dello Stato.
            Nel regime di cui agli artt. 141 e ss. (richiamati dall’art. 146) la Dogana di partenza richiede una cauzione a garanzia dell’obbligo di presentazione delle merci alla Dogana di destinazione (per le merci in transito, quella di uscita) e rilascia la corrispondente bolletta.
            La Dogana di destinazione, constatato l’arrivo della merce, certifica lo scarico per la liberazione della cauzione da parte della dogana di partenza; se il carico è presentato, ma la merce risulti mancante, lo scarico è certificato per la sola merce presentata; in tal caso la Dogana di arrivo compila il processo verbale relativo, per consentire l’incameramento parziale e lo svincolo del residuo della cauzione (da parte della Dogana di partenza) nonché per l’applicazione degli artt. 305, 306 e 307, in tema di penalità. Se il carico non viene presentato alla Dogana di destinazione, la Dogana di partenza procede al recupero dei diritti dovuti (e cioè all’incameramento della cauzione) ed accerta essa stessa la contravvenzione.
            In tutti i casi, secondo l’Amministrazione, è la Dogana di partenza che recupera i diritti dovuti, conformemente alla regola generale desumibile dall’art. 35 T.U.L.D.
            Applicando le medesime regole al regime TIR (che prevede un carnet in luogo della bolletta di cauzione) la Dogana di partenza è quella competente a recuperare i diritti dovuti (in luogo dell’incameramento della cauzione).
            Il motivo è fondato.
            L’art. 145 T.U.L.D. (applicabile al transito in regime TIR, ai sensi dell’art. 146) dispone: "qualora le merci spedite con bolletta di cauzione non vengano presentate alla dogana di destinazione, la dogana di partenza procede al recupero dei diritti dovuti e accerta la contravvenzione agli effetti dell’art. 305 primo comma".
            La competenza stabilita dalla norma è inderogabile dall’Amministrazione (cfr. le altre due sentenze emesse da queste Sezioni Unite a questa udienza, in materia), ma non è affatto di carattere eccezionale. Essa, infatti, conferma i criteri generali, in forza dei quali l’Ufficio che riscuote i tributi è quello a cui è presentata la dichiarazione doganale (art. 35 e 59 T.U.L.D.).
Infatti, nell’operazione doganale di cui si tratta, se la merce non arriva nemmeno in parte alla dogana di destinazione (e cioè a quella di uscita dal territorio doganale) la merce stessa si presume immessa al consumo del territorio dello Stato (art. 36, penultimo ed ultimo comma) in quanto sottratta alle verifiche e controlli nei termini prescritti. Pertanto, in tali casi, l’unica dichiarazione doganale in forza della quale la Dogana può esigere le somme dovute, è quella presentata alla Dogana di entrata, la quale è competente (come conferma l’art. 145 u.c.).
L’ipotesi è perfettamente opposta a quella in cui (come è consentito dall’art. 146) alla merce spedita in transito venga data, all’atto della sua regolare presentazione alla Dogana di arrivo, la destinazione doganale diversa della immissione al consumo; in tali casi, sarà la Dogana di arrivo che riscuoterà i diritti, in conformità a tale nuova destinazione.
            Il quesito da risolvere è se si possa distinguere fra i casi di mancato arrivo totale e quelli di mancato arrivo parziale della merce, alla Dogana di arrivo. La risposta è negativa, in base alla ratio ed alla lettera della legge.
            La ratio dell’attribuzione alla Dogana di partenza del doppio potere alternativo, di incamerare la cauzione, se costituita in denaro (per la somma corrispondente alle merci mancanti), ovvero di richiedere le somme dovute al debitore d’imposta (dichiarante) ed al suo garante, si ritrova anche in questo caso nell’identico modo. La merce mancante, in quanto non rinvenuta all’atto del controllo – come testualmente dispone il penultimo comma dell’art. 36 – si presume immessa in consumo, sulla base della sua natura ed entità risultante dalla dichiarazione doganale effettuata alla Dogana di partenza (e dalla bolletta rilasciata senza visita di controllo, in regime TAR).
Pertanto, l’unica dichiarazione doganale in forza della quale è esigibile l’imposta è quella effettuata alla Dogana di partenza, che di conseguenza è l’unica competente a riscuotere i diritti doganali (incamerando la cauzione per la parte corrispondente alla merce immessa al consumo, ovvero agendo contro il debitore e il suo garante, in forza di fideiussione).
            Il terzo comma dell’art. 145 dispone che, quando si rilevano differenze in confronto della bolletta di cauzione, si sospende il certificato di scarico "o lo si limita ai soli colli per i quali non sono state riscontrate irregolarità". La Dogana di arrivo, pertanto, ha soltanto il compito di scaricare parzialmente (per la parte corrispondente alla merce presentata all’arrivo in modo regolare) la bolletta di cauzione; ma non ha il potere di recuperare le somme dovute sulla merce non presentata, come risulta da due elementi concorrenti: a) il suddetto potere non è indicato fra le funzioni della Dogana in arrivo; b) il penultimo comma dispone che la presentazione del certificato di scarico alla Dogana di partenza dà diritto allo svincolo della cauzione o di parte di essa e quindi, chiaramente, dispone che la parte non vincolata resta acquisita alla Dogana di partenza. Il potere di incameramento appartiene alla competenza della Dogana di partenza; corrispondente e perfettamente omologo a tale potere (nell’ipotesi in cui la cauzione non sia costituita da somme di denaro, ma da una fideiussione, come avviene nel trasporto TIR ai sensi della convenzione citata) è quello di recuperare, mediante ingiunzione, nei confronti del trasgressore e-o del suo garante, le somme corrispondenti alla merce che la Dogana di arrivo ha comunicato non essere ivi pervenuta e quindi è presunta essere stata immessa al consumo in un momento anteriore.
È evidente, infatti, che i due poteri di incameramento della cauzione o di riscossione delle somme, quando la cauzione non è in denaro, non possono che appartenere al medesimo Ufficio.
La disciplina dell’accertamento delle contravvenzioni non offre alcun argomento contrario alla conclusione raggiunta, contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata, la quale ha confuso tale accertamento con quello riguardante i diritti doganali dovuti. Si tratta, all’evidenza, di procedure e di obbligazioni diverse, ognuna delle quali segue le proprie regole, tanto prima che dopo la depenalizzazione operata con la L.706/1975 e confermata con la L. 689/1981.
La Dogana di arrivo redige il processo verbale della violazione anche (come dice non a caso il terzo comma dell’art. 145 T.U.L.D., e cioè "non solo") agli effetti degli articoli 305, 306 e 307, nel caso di differenze in confronto della bolletta di cauzione o di altre irregolarità, in quanto in tal caso, essendovi stata una presentazione alla Dogana di arrivo, questa dispone degli elementi per la constatazione della violazione. Trattasi di una competenza per la sola documentazione che ha una duplice funzione (vedi l’avverbio anche) e cioè quella di accertare la ragione per cui il certificato di scarico (che delibera lo speditore dagli obblighi contratti con la bolletta di cauzione, la quale vale come dichiarazione sommaria, ai sensi dell’art. 95, come dispongono i primi due commi dell’art. 145) è rilasciato soltanto parzialmente; nonché quella di constatare le contravvenzioni. Queste ultime seguono il loro corso, del tutto indipendente dai diritti doganali dovuti. Prima della depenalizzazione, la competenza ad infliggere le ammende era dell’A.G.O.; dopo la depenalizzazione, ai sensi degli artt. 10 ed 11 L. 706/1995 e dell’art. 39 L. 689/1981, si instaura il procedimento previsto dalla L. 4/1929, dinanzi all’Intendente di Finanza ed al Ministro, salvo il ricorso all’A.G.O., mentre la riscossione delle somme dovute per pene pecuniarie, una volta definito il suddetto procedimento, appartiene all’Ufficio finanziario incaricato della contabilità relativa alla violazione, in deroga alla L. 4/1929, e cioè alla Dogana di partenza, nella specie.
            L’attribuzione di competenza per l’accertamento e la contestazione della violazione, ai sensi degli artt. 323 e ss. T.U.L.D., è limitata alla formazione del processo verbale di cui all’art. 325 T.U.L.D., ma non riguarda affatto i diritti doganali.
            Nell’ambito della medesima attribuzione di competenza a compilare il processo verbale della violazione, si muove l’ultimo comma dell’art. 145, che attribuisce il potere di accertamento alla Dogana di partenza, per la contravvenzione di cui al primo comma dell’art. 305 (mancata presentazione totale della merce alla Dogana di destinazione) perché è solo la Dogana di partenza (non essendovi alcuna documentazione presso la Dogana di arrivo, a cui la merce non è stata presentata, neppure in parte) che ha gli elementi per la constatazione della contravvenzione (ora depenalizzata).
            Si tratta, in conclusione, in entrambi i casi soltanto del potere di verbalizzazione di violazioni, che danno luogo all’obbligo di pagamento di ulteriori somme a titolo di sanzione; ma la disciplina della riscossione dei diritti doganali (che è l’unica di cui si discute in causa) resta quella innanzi delineata, in quanto essa non può non essere collegata alla dichiarazione doganale ed all’Ufficio a cui essa è stata presentata, secondo il principio fondamentale della legge.
            La controricorrente invoca, in senso contrario, gli articoli 61 e 71 del Regolamento e l’art. 82 T.U.L.D., ma essi non offrono alcun argomento alla tesi della competenza della Dogana di arrivo.
L’art. 61 del regolamento n. 65/1986 riguarda la "liquidazione dei diritti" che si fa sulle dichiarazioni o sulle bollette rilasciate dalla Dogana, e cioè collega detta liquidazione con le dichiarazioni (o i suoi equipollenti, in regime TIR), secondo quanto si è già detto.
            L’art. 71 del regolamento dispone che il contabile, che custodisce le dichiarazioni e le bollette insoddisfatte, procede alla riscossione dei diritti dovuti. Ancora una volta, la riscossione è affidata al contabile che custodisce le dichiarazioni insoddisfatte (e cioè, nel caso di mancato arrivo totale o parziale, il contabile che ha preso in carico, in partenza, le dichiarazioni e le bollette medesime).
Piuttosto, deve essere ricordato l’articolo 197 del regolamento, che nel disciplinare lo scarico delle bollette di cauzione, in caso di deficienza della merce, limita la competenza della Dogana d’arrivo allo scarico per la merce rinvenuta ed alla formazione del verbale per la merce mancante, con obbligo di avvisare la dogana di partenza "per norma nello svincolo delle garanzie" e cioè perché la Dogana di partenza adotti le sue determinazioni conseguenti, rientranti nella sua competenza, nello svincolo della cauzione (o nel suo incameramento, per le merci mancanti).
            Quanto all’art. 82 T.U.L.D., esso si limita a stabilire che l’ingiunzione fiscale è emessa ; contabile che è identificato in base alle altre norme del t.u.
Concludendo, il secondo motivo del ricorso va accolto e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, che si adeguerà ad seguente principio di diritto:
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Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione” (Corte Cass., Sezioni Unite, 22 gennaio 1991, n. 555, Ministero delle Finanze c. Unioncamere, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 1).
 
[10]         “In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, ai sensi dell’art. 5 c. 1 primo periodo D. Lgs. 472/97 – applicabile ai procedimenti in corso ex art. 25 del decreto medesimo – è necessario, ai fini della responsabilità, che l’azione od omissione, oltre che cosciente e volontaria, sia anche colpevole, cioè che si possa rimproverare all’agente di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente. Ne consegue l’inapplicabilità delle sanzioni nel caso in cui l’inosservanza di adempimenti fiscali – sia di natura formale che sostanziale – sia dipesa (in base all’accertamento di fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logico giuridici) unicamente dal comportamento fraudolento del commercialista del contribuente” (Corte Cass., Sezione Tributaria, 20 novembre 2003, n. 17579, in D&G – Dir. e Giust. 2004, f. 3, 122).
[11]         “Nell’ipotesi di cui all’art. 141 T.U.L.D., di spedizione di merci estere, per ulteriori operazioni doganali, da una dogana all’altra mediante il rilascio di bolletta di cauzione, il mancato arrivo o la mancata presentazione delle merci nel termine indicato nella bolletta, entro il quale le merci devono giungere alla dogana di destinazione, fa divenire operante la presunzione di definitività immissione al consumo delle merci stesse, ai sensi dell’art. 36 c. 5 T.U.L.D., e determina, quindi, l’insorgere dell’obbligazione tributaria doganale, salvo che nel termine predetto si sia verificato – o anche successivamente sia giustificato – uno degli eventi di cui all’art. 37 T.U.L.D. e, quindi, rimanendo irrilevante che, successivamente all’indicato momento, si sia verificato il perimento della merce. Tale disciplina manifestamente non si pone in contrasto né con l’art. 3 cost., in riferimento ad una pretesa disparità di trattamento rispetto all’ipotesi di sequestro per contrabbando che, a norma degli artt. 36 c. 5 e 338 c. 1 T.U.L.D. esonera dal pagamento dei diritti doganali, né con l’art. 53 cost., in riferimento ad una pretesa duplicità d’imposizione riguardo alla sanzione dell’ammenda prevista dall’art. 305 c. 1 T.U.L.D. per il mancato scarico della bolletta di cauzione alla dogana di destinazione” (Corte Cass., Sezione I, 15 maggio 1984, n. 2947, Unioncamere c. Finanze Stato, in Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 5).
[12]         “Nell’ipotesi di furto o rapina di merci allo stato estero depositate in magazzini di proprietà privata [ma la ricostruzione, mutatis mutandis, vale anche per il regime del transito comunitario] il ocncessionario è tenuto a corrispondere i diritti doganali sulle merci sttratte, malgrado l’esercizio di custodia improntato ad ordinaria diligenza” (cfr. Ministero delle Finanze, Direzione Generale Dogane ed II.DD., circolare 8 novembre 1985, n. 480).
[13]         Ministero delle Finanze, Direzione Generale Dogane ed II.DD., circolare 8 novembre 1985, n. 480.

Pittaluga Francesco

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