L’omessa pronuncia su una domanda, un’eccezione o un’istanza ritualmente introdotta in giudizio deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. Nota a Cass. civ. Sez. VI, 24 gennaio 2019, n. 2101

Redazione 21/02/19
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di Martina Mazzei

Sommario

Il caso

La soluzione della Corte

L’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c.: la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.

L’art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c.: l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio

Cass. civ. Sez. VI, 24 gennaio 2019, n. 2101

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata in data 22.12.2015, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Crotone, rigettava la domanda di Tizia diretta al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento.

La Corte territoriale aveva ritenuto, sulla scorta della documentazione sanitaria e dopo aver disposto la rinnovazione delle indagini peritali, che la ricorrente, affetta da “disturbo depressivo maggiore ricorrente grave con manifestazioni psicotiche cronico senza recupero inter episodico (completo)”, non versasse nella condizione di avere necessità di un’assistenza continua per compiere gli atti quotidiani della vita.

Avverso tale sentenza Tizia proponeva ricorso per cassazione con un unico motivo a cui resisteva con controricorso l’Inps.

La difesa, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., denunciava il vizio di motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui ometteva di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, ossia l’obiettiva inconciliabilità tra gli stati patologici diagnosticati e lo svolgimento delle comuni attività della vita quotidiana della ricorrente sostenendo, in particolare, che la Corte avrebbe omesso di esaminare l’eccezione secondo cui, per il D.M. 2 agosto 2007, sarebbero escluse dalle visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante le malattie mentali dell’età evolutiva tra cui quella da cui Tizia è affetta.

Secondo la Corte di Cassazione il motivo, nella sua intera articolazione, è inammissibile.

La censura dell’omesso esame dell’eccezione riguardante la violazione del D.M. 2 agosto 2007 da parte dell’Inps è, infatti, inammissibile alla luce del principio in forza del quale, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, deve anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio.[1]

E, a tal proposito, la Corte precisa che l’omessa pronuncia su alcuni motivi di appello, e, in genere, su una domanda, un’eccezione o un’istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. che deve essere fatta valere in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, pena l’inammissibilità della stessa.[2]

Oltretutto, secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, non sussiste neanche il denunciato difetto di motivazione ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012, n. 134), in quanto la sentenza è sorretta da una motivazione non solo formalmente esistente come parte del documento ma compiuta e coerente con preciso riferimento alle risultanze istruttorie così da consentire di individuare con chiarezza la giustificazione del decisum.

Nel caso in esame, infatti, non è riscontrabile il denunciato “omesso esame” di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, il quale deve riguardare un fatto storico, principale o secondario – la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali – che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

La Corte territoriale, infatti, ha esaminato compiutamente il quadro patologico da cui la ricorrente è affetta, per concludere che ella “è capace di svolgere attività quale lavarsi da sola, andare a fare la spesa, avere cura della propria abitazione non solo in senso fisico, ma anche come capacità di intendere l’importanza e il significato degli atti stessi anche ai fini della salvaguardia della propria condizione plico-fisica” e la ricorrente aveva dissentito da tale giudizio senza lamentare alcuna palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica ma limitandosi ad avanzare una censura di mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale che si traduce, di conseguenza, secondo una giurisprudenza oramai consolidata[3], in un’inammissibile critica del convincimento del giudice.

Infatti quanto alla certificazione medica del Dipartimento di salute mentale di Crotone che, a detta della ricorrente, non sarebbe stata esaminata dal giudice, al di là del difetto di specificità del motivo, dal momento che la parte non ne aveva trascritto il contenuto, la Corte rileva che, secondo quanto si legge nello stesso ricorso, la stessa certificazione è stata esaminata dal CTU in sede di risposta alle controdeduzioni inviate dal legale della ricorrente ed è stata ritenuta irrilevante ai fini di un diverso giudizio sanitario. Di conseguenza il denunciato omesso esame non è assolutamente ipotizzabile dal momento che il giudice ha fatto proprie le conclusioni del consulente e, quindi, anche le sue valutazioni sull’irrilevanza della certificazione.

[1] In questo senso v. da ultimo Cass. civ. sez. II, 09 agosto 2018, n. 20694; Cass. civ. [ord.], sez. VI, 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2013, n. 23675.

[2] In questo senso v. Cass. civ. [ord.] 16 marzo 2017, n. 6835; Cass. civ. [ord.], sez. VI, 08 ottobre 2014, n. 21257; Cass. civ. 27 ottobre 2014, n. 22759; Cass. civ., sez. un., 07 aprile 2014, n. 8053 e 8054; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1196.

[3] V. da ultimo Cass. civ. 6 novembre 2018, n. 28209; Cass. civ. 16 febbraio 2017 n. 4124; Cass. civ. [ord.], sez. VI, 23 ottobre 2017, n. 24959; Cass. civ. ord. 23 dicembre 2014 n. 27378; Cass. civ. 22 gennaio 2013, n. 1472; Cass. civ. [ord.], sez. VI, 03 febbraio 2012, n. 1652; Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 2011, n. 569; Cass. civ. [ord.], sez. VI, 08 novembre 2010, n. 22707; Cass. civ., sez. lav., 11 gennaio 2000, n. 225.

La sentenza in commento offre lo spunto per analizzare e delineare le differenze tra il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., 1 comma n. 4 e il novellato motivo di cui al n. 5 della medesima norma.

Le sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnate per Cassazione, ex art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 4 c.p.c., per nullità della sentenza o del procedimento. Tale ipotesi si verifica quando la sentenza impugnata è inficiata da vizi di attività, ossia da errores in procedendo, derivanti dalla violazione di norme processuali che riguardano la sentenza come atto, la costituzione del giudice e il procedimento.

In queste ipotesi, ossia quando si deduce in Cassazione un error in procedendo, il giudice di legittimità, che stabilirà se la violazione è avvenuta o meno, nell’esaminare il fatto e le motivazioni di diritto svolte dal giudice di merito, può interpretare autonomamente gli atti processuali.

E’ si vero, infatti, che l’interpretazione della domanda e le deduzioni delle parti costituiscono giudizio di fatto che è rimesso, per principio, al giudice di merito[4] ma, questo principio non si applica, eccezionalmente, qualora l’interpretazione è causa di un vizio in procedendo. In questo caso, infatti, a prevalere è il principio secondo cui la Corte è giudice anche del fatto ed in quanto tale può procedere ad un’autonoma interpretazione degli atti processuali, delle istanze, del fatto, delle deduzioni delle parti anche in modo difforme rispetto al giudice di merito.

Fra i motivi di nullità della sentenza che possono essere fatti valere attraverso l’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c. rientra anche la violazione dell’art. 112 c.p.c. ossia del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Come noto, dalla violazione di tale principio consegue la presenza dei vizi di extrapetizione, ultrapetizione o omissione di pronuncia.

L’omessa pronuncia, in particolar modo, si configura qualora il giudice non abbia statuito “su tutta la domanda” e, quindi, tutte le volte in cui una domanda di tutela sostanziale (omissione di pronuncia totale) o parte di essa (omissione di pronuncia parziale) rimanga senza risposta.

Si tratta di un vizio che determina, come detto, la nullità della sentenza, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Integrando un difetto dell’attività del giudice di secondo grado e, quindi, un error in procedendo[5], il giudice di legittimità (che in questo caso è giudice anche del fatto processuale) può effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti, delle istanze e delle deduzioni delle parti detenendo il relativo potere-dovere di procedere direttamente all’interpretazione degli atti processuali al fine di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla valutazione della sussistenza della violazione stessa.[6]

L’omessa pronuncia quale vizio di natura processuale denunciabile, in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c. – come sottolinea anche la Corte di Cassazione nella sentenza in commento -non va confuso con il vizio di omessa motivazione.

L’omessa pronuncia, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., ossia del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Tale vizio deve essere fatto valere esclusivamente a norma dell’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c. in quanto l’omesso esame concerne direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa.

Nell’omessa motivazione, invece, l’attività del giudice che si assume omessa non concerne direttamente la domanda o l’eccezione bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia. Tale vizio, in sede di legittimità, deve essere fatto valere necessariamente ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n.5 c.p.c.[7]

La configurazione dell’omessa pronuncia s’incentra, quindi, sul confronto fra la pronuncia del giudice e il petitum della domanda avanzata, determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e, perché sia configurabile, richiede che l’omissione interessi specificatamente domande della parte che impongono una statuizione di accoglimento o di rigetto[8] sul presupposto che esse non siano proposte tardivamente o comunque non siano inammissibili.

[4] Cass. civ., 26 gennaio 1983, n. 737.

[5] Cass., sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2009, n. 26598; Cass., sez. trib., 09 luglio 2004, n. 12721.

[6] A questo proposito, cfr. Cass. civ. 2 febbraio 2001, n. 1503; Cass. civ. 2 marzo 2001, n. 3016; Cass. 6 luglio 2001, n. 9159; Cass. 1° agosto 2001, n. 10471; Cass. civ. 28 agosto 2000, n. 11260; Cass. civ. 10 aprile 2000, n. 4496; Cass. civ. 24 giugno 2000, n. 8641; Cass. civ. 24 marzo 2000, n. 3538; Cass. civ. 27 settembre 2000, n. 12790; Cass. 20 giugno 2000, n. 8377; Cass. civ. 25 settembre 1996, n. 8468; Cass. civ. 16 gennaio 1990, n. 152.

[7] Così in Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444.

Tra le pronunce in tal senso v. Cass. civ. sez. lavoro, 18 giugno 2014, n. 13866; Cass civ. sez II, 21 gennaio 2011, n. 1499; Cass. civ. 09 giugno 2011, n. 12176; Cass. civ. 18 maggio 2011, n. 10921; Cass. civ. 27 maggio 2010, n. 12992; Cass. civ. 04 marzo 2010, n. 5203; Cass. civ. 17 luglio 2007, n. 15882; Cass. civ. 22 novembre 2006, n. 24856; Cass. civ. 24 giugno 2002, n. 9159; Cass. civ. 10 aprile 2000, n. 4496.

[8] È ricca la giurisprudenza in tal senso v. Cass. Sez. VI, 18 giugno 2013, n. 15196; Cass. sez. civ. Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. civ. 19 gennaio 2010, n. 709; Cass. sez. civ. Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3357; Cass., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4498; Cass., sez. II, 29 marzo 1995, n. 3693; Cass., sez. II, 03 giugno 1991, n. 6248; Cass. civ., 06 novembre 1981, n. 5865.

L’art. 360 c.p.c. 1 comma n. 5 riguarda, quindi, una fattispecie totalmente differente rispetto a quella dell’art. 360 c.p.c. 1 comma n. 4.

Il testo del n. 5 è stato, inoltre, completamente mutato dalla riforma del 2012[9] e, ad oggi, limita la censura, di quello che una volta si chiamava vizio di motivazione, alla sola ipotesi dell’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il riferimento all’omessa valutazione di un “fatto decisivo” rende inequivoco che la doglianza del n. 5 sia collegata esclusivamente alla valutazione di un fatto. Del resto non potrebbe essere altrimenti dato che l’erronea motivazione in diritto trova ben altra censura: se, infatti, essa ha inciso sul dispositivo – distorcendolo rispetto a quello che si sarebbe avuto se il ragionamento effettuato dal giudice sulla norma giuridica fosse stato esatto – il vizio trova tutela nell’ambito del n. 3 dell’art. 360; se, invece, l’erronea motivazione in diritto non ha influenzato il dispositivo il rimedio somministrato dalla legge è quello della semplice correzione della motivazione.

Infatti, come sottolinea la giurisprudenza, la modifica del n. 5 della norma in commento, lascia “intatta la possibilità di dedurre il c.d. vizio di sussunzione della fattispecie pur esattamente ricostruita sotto la norma che la regola, perché esso continua ad essere deducibile ai sensi del n. 3 e ricorre appunto quando il giudice, pur avendo ricostruito esattamente il senso e l’estensione testuale e logica della norma, sia la sua collocazione sistematica, cioè̀ pur avendola esattamente interpretata secondo una compiuta esegesi in astratto, abbia sussunto erroneamente sotto di essa o si sia rifiutato di sussumervi o vi abbia sussunto solo parzialmente, la fattispecie fattuale concreta pur esattamente e logicamente ricostruita, compiendo, dunque, sotto uno di tali profili, un errore di argomentazione logica in diritto e non in punto di ricostruzione del fatto[10]“.

Omesso esame, come abbiamo detto, non è sinonimo di omessa pronuncia, che darebbe luogo a nullità per autonomo vizio in procedendo denunziabile ex art. 360 1 comma n. 4 c.p.c.

Il vizio di omesso esame ricorre piuttosto quando, pur rispettando l’esatto perimetro del thema decidendum, il giudice ometta la considerazione di un fatto controverso e decisivo.

Infatti come afferma la Corte “la differenza tra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 n. 5, c.p.c., si coglie nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia”[11].

Anche il vizio di omesso esame è un vizio di attività, ossia un error in procedendo, che nasce dalla violazione del dovere del giudice di esaminare ed interpretare tutti i fatti allegati dalle parti ove provati, tuttavia è necessario che l’omesso esame riguardi, come sottolinea anche la Corte nella sentenza in epigrafe, un “fatto decisivo per il giudizio” e cioè un fatto che, ove fosse stato tenuto presente, avrebbe portato ad una decisione diversa da quella assunta.

Per valutare la sussistenza del vizio indicato il punto di riferimento non può che essere la motivazione del provvedimento: solo da essa può ricavarsi, infatti, l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio[12].

Il vizio enunciato dal n. 5 riguarda, quindi, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ed afferisce, pertanto, a dati materiali, ad episodi fenomenici rilevanti ed alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio[13]. Tuttavia, l’omesso esame di elementi istruttori non integra il vizio tutte le volte in cui il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, come avvenuto nel caso di specie, anche se in sentenza quest’ultimo non ha dato conto di tutte le risultanze istruttorie[14].

In conclusione e alla luce delle considerazioni sopra esposte si comprende perché la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha enunciato la seguente massima:

L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. salvo che nell’illustrazione del motivo non si faccia esplicito riferimento alla nullità della sentenza”.

[9] Modifica apportata dalla lettera b) del primo comma dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83. Prima di tale modifica il n. 5 dell’art. 360 parlava di vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. In dottrina v. B. CAPPONI, L’omesso esame del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. secondo la Corte di Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 3, 2016, pag. 925; BOVE, Giudizio di fatto e sindacato della corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c ., in Giusto proc. civ., 2012, pag. 677; M. FORNACIARI, Ancora sulla riforma dell’art. 360 n. 5 basta, per favore, basta!, in www.judicium.it; G.F. RICCI, Il giudizio civile di Cassazione, Torino, 2016, pag 170 ss; G. MOLFESE, Ricorso e controricorso per Cassazione in materia civile, Padova, 2010, pag. 304 ss; G. AMOROSO, Il giudizio civile di Cassazione, Milano, 2012, pag. 279 ss; C. MANDRIOLI-CARRATTA, Diritto processuale civile, Il processo ordinario di cognizione, vol. II, Torino, 2015, pag. 571 ss; A. CARRATTA, Giudizio di Cassazione e nuove modifiche legislative: ancora limiti al controllo di legittimità, in Treccani.it; L. PICCININNI, I motivi di ricorso per cassazione dopo la modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c ., in Riv. dir. proc. 2013, pag 407.

[10] Così FRASCA, Spigolature sulla riforma di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012 , in www.judicium.it, par. 5.

[11] Così Cass. civ., sez. trib., 06 febbraio 2015, n. 2197; Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 2014, n. 13866; Cass. sez. VI, 08 ottobre 2014, n. 21257.

[12] Cfr. in tal senso C. MANDRIOLI-CARRATTA, Diritto processuale civile, Il processo ordinario di cognizione, vol. II, Torino, 2015, pag. 571 ss. e ha concesso dile mi civile quale sia0one eazione della domanda nel caso di error in procedendo ite

[13] Si esprime in questi termini Cass. civ., sez. I, 05 marzo 2014, n. 5133.

[14] Cfr. Cass., 12 gennaio 2017, n. 661; Cass., 24 novembre 2016, n. 24027; Cass. civ. 23 agosto 2016, n. 17251; Cass. civ. 13 luglio 2016, n. 14316.

Tali principi sono stati, peraltro, sanciti dalla Corte di Cassazione che nella fondamentale sentenza pronunciata a sezioni unite Cass. civ., sez. un., 07 aprile 2014, n. 8053 ha affermato che: “l’art. 360, 1º comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, 1º comma, n. 6, e 369, 2º comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”

Redazione

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