Lo strano caso dello ius sepulchri

Redazione 24/01/20
Scarica PDF Stampa
Cosa si intende per ius sepulchri?

Il presente contributo in tema di ius sepulchri è tratto da “Il contenzioso ereditario” scritto da Damiano Marinelli e Saverio Sabatini.

In che cosa consiste lo ius sepulchri

Il diritto al sepolcro rappresenta un complesso di situazioni giuridiche, corrispondenti a distinti ed autonomi diritti, tant’è che si distingue tradizionalmente in:

a) il diritto primario al sepolcro, che consiste nel diritto di essere seppelliti (jus sepulchri) o di seppellire altri in un dato sepolcro (jus inferendi mortuum in sepulchrum);

b)  il diritto secondario di sepolcro, rappresentato dalla facoltà, spettante a chiunque sia congiunto di persone le cui spoglie si trovino in un determinato sepolcro, di accedervi per il compimento degli atti di pietas e di opporsi ad ogni atto che costituisca violazione e comunque forma di oltraggio a quella tomba; trattasi, di diritto personalissimo;

c)  il diritto al sepolcro in senso stretto o diritto sul manufatto e sui materiali che lo compongono, avente ad oggetto l’edificio sepolcrale e gli eventuali accessori;

d)  il diritto alla intestazione del sepolcro (c.d. ius nomini sepulchri), rappresentato dal diritto di apporre il proprio nome sul sepolcro da parte del fondatore e di tutti gli aventi diritto tumulati nel sepolcro stesso;

e)  il diritto di scelta del luogo di sepoltura: trattasi di un diritto della personalità spettante – in vita – all’interessato, che può formare oggetto di un mandato post mortem exequendum ovvero può essere inserito nel testamento (art. 582, comma 2, c.c.); in mancanza di tale manifestazione di volontà la decisione del luogo di sepoltura spetta ai congiunti più stretti quali ti titolari dell’interesse alla tutela del sentimento di pietà e memoria del defunto. Il diritto al sepolcro nasce infatti dal rilascio di una concessione amministrativa, dalla Pubblica Amministrazione, di un’area di terreno demaniale all’interno di un cimitero pubblico consentendo, al privato concessionario, di realizzare, al di sopra o al di sotto del suolo, una costruzione destinata a custodire i resti dei defunti.

(segue): il diritto al sepolcro e la relativa concessione amministrativa

Tale concessione[1] crea in capo al privato concessionario un diritto soggettivo che riguarda la reale disponibilità dell’area destinata alla sepoltura del tutto assimilabile al diritto di superficie.

Il diritto così delineato è pienamente opponibile, da parte del concessionario, nei confronti della generalità dei consociati iure privato nel senso che è tutelabile con esperimento dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria di ogni azione che il particolare caso richieda, ivi comprese l’azione di rivindica o la tutela possessoria.

Nei confronti della Pubblica Amministrazione, invece, tale diritto degrada a semplice interesse legittimo nei casi in cui esigenze di pubblico interesse, per la gestione del cimitero impongano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione, mediante l’adozione di un apposito provvedimento.

Nel corso della concessione il privato deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina, in quanto “lo ius sepulchri attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”. Una volta costituito il rapporto può essere disciplinato anche da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio dello ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dell’ambito soggettivo di utilizzazione del bene. Nello specifico non è stato ritenuto pertinente “… il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (consiglio di Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608). Per la natura di “provvedimento di durata” riferibile alla concessione, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella in vigore al momento della emanazione del provvedimento concessorio: la normativa entrata in vigore dopo il rilascio della concessione si applica a tutti i fatti, gli atti e le situazioni verificatesi dopo la medesima entrata in vigore, oltre che agli effetti che non si siano ancora definitivamente consolidati.

Ti potrebbe interessare anche il seguente articolo: “La vocazione sottoposta a condizione sospensiva e l’istituzione di nascituri”

Sepolcro ereditario e sepolcro familiare

Per quanto attiene al diritto primario al sepolcro, esso si distingue in sepolcro ereditario e sepolcro gentilizio o familiare. Le Sezioni Unite con una recente sentenza ben ne delineano le differenze: “nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre in quello gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari di esso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa (cass. civ., sez. unite, 28 giugno 2018, n. 17122[2]).

La Suprema corte è intervenuta per dipanare una annosa questione confermando l’applicabilità della costante giurisprudenza di cassazione, in base alla quale nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmette nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dall’originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare – tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio – lo ius sepulchri e attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo iure proprio sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall’atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, iure sanguinis e non iure successionis, e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilita del diritto, per atto tra vivi o mortis causa, imprescrittibilità e irrinunciabilità. Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l’ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione mortis causa.

In particolare, lo ius sepulchri, cioè il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati iure sanguinis al fondatore medesimo, mentre resta in proposito irrilevante la eventuale cedibilità prevista nel regolamento o nell’atto di concessione comunale; peraltro, l’individuazione della natura di una cappella funeraria come sepolcro familiare o gentilizio, oppure come sepolcro ereditario, costituisce apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, qualora sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logico-giuridici (in tal senso cass., 29 gennaio 2007, n. 1789[3]).

 Il presente contributo in tema ius sepulchri è tratto da “Il contenzioso ereditario” scritto da Damiano Marinelli e Saverio Sabatini.

[1] Concessione c.d. traslativa, ossia il diritto preesiste in capo alla Pubblica Amministrazione e viene quindi trasferita al privato la possibilità di sfruttare le utilitates connesse al bene pubblico rappresentato dallo spazio cimiteriale, oggetto di concessione.

[2] In Il caso.it, 2019, Famiglia e diritto, 2019, 4, 392, nota di BoSelli; Cass. civ., sez. II, sent., 8 maggio 2012, n. 7000, in Fam. Pers. Succ. on line, 2012, 8-9, CED Cassazione, 2012.

[3] In Mass. Giur. It., 2007, CED Cassazione, 2007.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento