Lo Stato ed il Diritto: la tutela dell’individuo tra politica e filosofia

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L’idea comune di ingiustizia è, da sempre, direttamente influenzata dalla coscienza sociale contemporanea, dagli eventi e dallo stato della legislazione del singolo Stato e dagli sviluppi socio-economici internazionali.

Il concetto ideale di giustizia è estremamente connesso a quello di dignità ed uguaglianza dell’uomo, nei molteplici profili soggettivi, pubblici e sociali e nelle relative articolazioni superindividuali.

Per ingiustizia, quindi, può intendersi quella situazione non corrispondente ai principi ed ai valori etici supremi per i quali nulla è semplicemente riducibile ad oggettività, funzionalità, convenienza, utilità od opportunità: in altri termini, è ingiusta quella situazione, e quindi quella norma, in cui non sono rinvenibili criteri contestualmente ispirati ad autenticità, equità, giuridicità e moralità ovvero a separabilità (e sindacabilità) tra bene e male.

L’accertamento dell’ingiustizia può ritenersi effettuato già con la considerazione su scelte e su comportamenti non improntati a senso civico ed all’interesse generale ovvero tutte le volte in cui, in determinate situazioni, emerga spontaneamente il quesito “è giusta tale condotta, è giusto vivere così?”.

Lo Stato, quindi, quale Ente esponenziale massimo di ciascun ordinamento pubblico, in rispetto ed adempimento della propria funzione e ragione stessa d’esistenza, è tenuto, indipendentemente da un’impostazione centralista o federalista, ad intervenire adeguatamente ed efficacemente sul piano politico, legislativo, economico e sociale.

Le leggi sono gli strumenti-base per realizzare la tutela dell’individuo, come singolo e nelle relative formazioni sociali, nei duplici profili di diritti e doveri, soggettivi e legittimi.

Senza le leggi ed il rispetto delle stesse, vi sarebbe disordine, confusione, errore, incoerenza, prepotenza, negatività e, quindi, distruzione e smarrimento e non vi sarebbe lo Stato e la famiglia.

I metodi di governo non possono, così, allontanarsi dai parametri di cultura e responsabilità generale, concetti sostanzialmente senza equivalenti e surrogati: va, cioè, garantita la soggettività e l’umanità di strumenti e risultati in funzione di ricostruzione costante dei pilastri della civiltà.

Il diritto positivo, tuttavia, è, ancor più oggi, largamente flessibile in quanto influenzabile da fattori puramente umani extraindividuali come la globalità e l’economia.

Pertanto, affinché non siano le leggi a configurarsi come ingiuste, è necessario che le medesime siano sottoposte ad un accurato e prudente vaglio di validità. La teorizzazione delle leggi incide, infatti, direttamente sul concetto pratico di diritto, determinandone gli ordinari fondamenti applicativi.

Tra i principali criteri di valutazione delle leggi, e quindi delle singole norme, sono annoverabili: il merito e la legittimità, la sistematicità, la ratio e l’obiettivo, la natura, la tipologia, la categoria, la classe, l’oggettività e la soggettività, i tempi e le modalità, i mezzi, la competenza).

Deve essere, inoltre, valutato l’impatto e le conseguenze di ciascuna norma o disposizione onde evitare la predeterminazione di meccanismi lesivi della parità tra individui.

I criteri sono i riferimenti basilari per tentare un giudizio di valore sulla singola legge, affinché quest’ultima sia la legge perfetta o, in seconda scelta, migliore.

Non sono ammissibili impostazioni di leggerezza o disinvoltura: necessita, pertanto, una netta impostazione strutturale previsionale sin dalla fase di ideazione e, quindi, di istruttoria.

Soltanto dove vi sono leggi buone, infatti, prosperano le Istituzioni (Machiavelli) e l’umanità.

In tal senso, politici e magistrati sono meri esecutori della legge e non possono rendersi superiori ad essa con privilegi e prerogative che rendano la funzione pubblica un elemento di Potere.

Le oscillazioni delle norma non possono, in sostanza, determinare un vulnus alle idee di libertà e di responsabilità.

Una norma possiede, così, i requisiti di giustizia se finalizzata alla creazione di un’autocoscienza responsabile di diritti e di doveri e delle sanzioni ivi previste: un’idea di libertà svincolata da quella di misura e di disciplina è una licenza pericolosa e genera assenza di riguardo e di rispetto verso tutto e tutti. E’ la tirannia (Platone).

Pertanto, anche i tradizionali concetti di diritti soggettivi ed interessi legittimi possono incontrare variazioni sociali e divenire forme giuridiche miste (diritti legittimi, interessi soggettivi), a conferma dell’assoluta modificabilità ed interscambiabilità tra Autorità ed individuo nell’ottica dello stretto e totale rispetto dei principi inderogabili di legalità ed umanità.

Le legge, in sintesi, deve porsi come obbligo di coscienza soggettiva e sociale al fine di realizzare quel desiderio di giustizia che rende l’uomo giusto ed, altresì, persona giusta.

 

 

Alessandro M. Basso

Avvocato, giornalista pubblicista, conciliatore professionista

 

 

Bibliografia essenziale

A. M. BASSO, Etica, legalità e prassi politica, Rivista Bonifica, n. 4/2005, Foggia.

N. BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960;

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F. CARNELUTTI, Metodologia del diritto, Padova, 1939;

P. DEL GIUDICE, Studi di storia e di diritto, Milano, 1889;

G. DEL VECCHIO, Lezioni di filosofia del diritto, Milano, 1953;

H. KELSEN, La teoria pura del diritto, Torino, 1952;

S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1945;

J.J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, rist., Torino, 2005.

Prof. Avv. Basso Alessandro Michele

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