L’iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto

Simona Arcieri 27/02/19
Scarica PDF Stampa
 

Il D.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, emanato in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 28 aprile 2014, n. 67, al fine di perseguire gli obiettivi di proporzione e deflazione[1], ha introdotto nel processo penale la figura della “particolare tenuità del fatto” ex art. 131 bis c.p., che prevede l’esclusione della punibilità in presenza di fatti marginali che, seppur tipici e antigiuridici, non necessitano l’intervento della macchina processuale e dunque non sono meritevoli di sanzione penale. Si precisa a tal fine che l’irrilevanza del fatto si discosta dall’inoffensività, invece prevista dall’art. 49, co. 2, c.p., dal momento che la prima presuppone l’esistenza di un fatto tipico costituente reato che però si ritiene non punibile in ragione proprio dei principi suddetti.

Le cause di esclusione della punibilità

L’art. 131 bis c.p. detta i presupposti, indici-criteri e le cause di esclusione di punibilità per particolare tenuità del fatto. Il legislatore ha infatti delimitato il campo d’applicazione dell’istituto limitatamente ai reati per i quali è stabilita la pena detentiva non superiore a cinque anni ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. Condizione questa necessaria ma non sufficiente, dal momento che la disposizione prevede l’esclusione della punibilità per questi reati solo quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno e del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, co.1[2], l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. È la norma che ci dice, al co. 2, quando l’offesa non può essere considerata di particolare tenuità: quando cioè “l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”[3].

Una volta chiarita dunque la prima condizione, la particolare tenuità, il legislatore delimita la seconda, il comportamento non abituale, precisando infatti cosa si intenda per abitualità al co. 3[4] dell’art. 131 bis: “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità del fatto, nonché nel caso si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”[5]. Il successivo quarto comma, infine, statuisce che “ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69” e che “la disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

Dunque, al fine della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, al giudice è affidato il compito arduo di verificare, in primis, la fondatezza o meno della notizia di reato e la sostenibilità dell’esercizio dell’azione penale e, in un secondo momento, l’eventuale irrilevanza del fatto, tenendo conto di diversi elementi, quali la modalità della condotta, il grado di colpevolezza e l’entità del danno o del pericolo.

La ratio dell’istituto

Nello specifico la ratio dell’istituto risponde all’esigenza di economia processuale: di impedire, dunque, la celebrazione di un processo “inutile” allorquando la notitia criminis abbia ad oggetto un fatto particolarmente lieve e si possa a tal fine anticipare la declaratoria in sede di archiviazione. Infatti, a tal proposito, il codice di rito, all’art. 411 co. 1, espressamente dispone: “Le disposizioni degli articoli 408, 409 e 410 si applicano anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità, che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale per particolare tenuità del fatto, che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato”.  L’archiviazione può essere richiesta, perciò, anche quando, nonostante il reato sussista, il pubblico ministero ritenga non sia meritevole di sanzione penale.

Il legislatore ha, a tal fine, al co. 1 bis dell’art 411, creato una procedura specifica, definita “garantita e informata”, in quanto coinvolgente sia l’indagato sia la persona offesa. Infatti il pubblico ministero, se ricorrono i presupposti per procedere alla richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, comunicando altresì la facoltà di proporre, nel termine di dieci giorni, opposizione, in cui indicare a pena di inammissibilità le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, precisa la norma, “se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’art. 409, co. 2, c.p.p. e, dopo aver sentito le parti, se accoglie la richiesta provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’art. 409, co. 4 e 5, c.p.p..

Dunque, alla luce di quanto appena esposto, è bene chiedersi: è la persona sottoposta alle indagini, nell’ipotesi specifica di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, tutelata?

Ebbene, ad un’attenta analisi della disciplina, emerge come il sistema di garanzie delineato dal legislatore sia lacunoso e fragile. In primis, ai sensi dell’art. 411 co. 1 bis, il diritto a proporre opposizione, riconosciuto all’indagato, è in realtà un diritto debole, non essendo garantito il diritto di prova, e di conseguenza nemmeno il diritto di difesa e del contraddittorio, artt. 24 e 111 della Costituzione. Questo si evince dal fatto che la richiesta di archiviazione venga unicamente notificata all’indagato, e non anche al difensore, potendone pregiudicare la procedura e la difesa. Infatti, così disposto, l’indagato potrebbe pensare erroneamente che, avendo il pubblico ministero richiesto un provvedimento di archiviazione, la sua posizione non subirà alcun effetto negativo dall’eventuale provvedimento che accolga l’istanza dell’accusa. Proprio per tale ragione, in dottrina, sono state avanzate modifiche in materia, nello specifico è stata proposta l’estensione della notifica anche al difensore dell’indagato, o qualora quest’ultimo sia ancora privo di un difensore, l’inserimento nell’avviso della richiesta di archiviazione dell’informazione sul diritto di difesa tecnica, con la nomina di un difensore d’ufficio[6]. In secondo luogo, che le garanzie poste a tutela dell’indagato siano lacunose è dimostrato anche dal termine di dieci giorni disposto dal legislatore per proporre opposizione, termine, infatti, insufficiente a garantire il diritto di difesa, in contrasto, per di più, con l’art. 111, co. 3, Cost. e con l’art. 6, par. 3, lett. b), CEDU, secondo cui “ogni accusato ha diritto di (…) b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa[7]. Il giudizio sulla colpevolezza dell’indagato è infatti fondato sulla base di un materiale istruttorio segreto e non permette alla persona sottoposta alle indagini di controbattere nel merito. Questo certamente collide con il diritto alla difesa ma soprattutto crea gravi conseguenze in capo all’indagato, dal momento che la richiesta può sfociare in una pronuncia che produce effetti giuridici negativi nella sua sfera, tra i quali (forse, per come tratteremo a breve) l’iscrizione nel casellario giudiziale. Inoltre secondo una gran parte della dottrina, il provvedimento d’archiviazione per particolare tenuità del fatto è “la formula peggiore nella prospettiva dell’indagato[8], e infatti, proprio perché può pregiudicare la posizione dell’indagato in altri eventuali procedimenti e può avere ricadute, a causa dell’iscrizione del provvedimento nel casellario, sulla sua vita lavorativa, l’interessato sarebbe spinto ad opporsi alla richiesta al fine di chiedere o l’archiviazione per una causa d’estinzione più favorevole, sulla base del principio del favor rei, o un accertamento nel merito.

Il diritto di opposizione dovrebbe, perciò, essere rafforzato sulla base del fatto che per l’indagato l’opposizione alla richiesta di archiviazione è indispensabile sia per poter richiedere un provvedimento più favorevole, quale la sentenza di assoluzione, sia per evitare l’iscrizione nel casellario giudiziale della richiesta d’archiviazione per particolare tenuità del fatto e, di conseguenza, un’eventuale futura configurazione di abitualità in capo all’indagato, qualora dovesse essere indagato nuovamente per un fatto della stessa indole.

Volume consigliato

Autori e vittime di reato

Il presente volume, pubblicato grazie al sostegno economico dell’Università degli Studi di Milano (Piano di sostegno alla ricerca 2016/2017, azione D), raccoglie i contributi, rivisti ed aggiornati, presentati al convegno internazionale del 7 giugno 2016, al fine di consentire, anche a coloro che non hanno potuto presenziare all’evento, di vedere raccolte alcune delle relazioni, che sono confluite in un testo scritto, e i posters scientifici che sono stati esposti, in quella giornata, a Palazzo Greppi (Milano) e successivamente pubblicati sulla Rivista giuridica Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it). Raffaele Bianchetti è un giurista, specialista in criminologia clinica; lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e come magistrato onorario presso il Tribunale di Milano. Da anni insegna Criminologia e Criminalistica e svolge attività didattica all’interno di corsi di formazione post-lauream e di alta formazione in Italia e all’estero; partecipa come relatore a convegni, congressi e incontri di studio nazionali ed internazionali; fa parte di gruppi di ricerca, anche di natura transnazionale, coordinandone alcuni come responsabile dei progetti. È autore di scritti monografici e di pubblicazioni giuridiche di stampo criminologico, alcune delle quali sono edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Membro componente di comitati scientifici e di comitati redazionali, è condirettore  di due collane editoriali.Luca Lupária Professore Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Roma Tre e visiting professor  in Atenei europei e americani, è autore di scritti monografici su temi centrali della giustizia penale e di oltre cento pubblicazioni scientifiche, apparse anche su riviste straniere e volumi internazionali. È responsabile di programmi e gruppi di ricerca transnazionali sui diritti delle vittime, sulle garanzie europee dell’imputato e   sui rimedi all’errore giudiziario. Condirettore di collane editoriali, è vice-direttore della rivista “Diritto penale contemporaneo” .Elena Mariani è laureata in giurisprudenza e specialista in criminologia clinica. Da oltre dieci anni collabora con la Catte- dra di Criminologia e Criminalistica del Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, effettuando seminari e attività di ricerca sui temi della giustizia penale minorile, della vittimologia, dell’esecuzione penale e delle misure di prevenzione. Svolge da anni attività didattica in corsi di formazione post-lauream e di alta formazione presso diversi atenei italiani. È autrice di una monografia in tema di sistema sanzionatorio minorile e per gli adulti edita in questa Collana e di varie pubblicazioni in materia criminologica, edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Attualmente   è componente esperto del Tribunale di Sorveglianza di Milano e dottoranda di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano. 

Elena Mariani, a cura di Raffaele Bianchetti, Luca Lupària | 2018 Maggioli Editore

36.00 €  34.20 €

Segue…

Note

[1] Corte di Cassazione, SS UU, n. 13681/2016, p. 8

[2] È richiesto al giudice infatti un giudizio sulla gravità del reato, che si desume da vari elementi, quali la condotta, la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, l’intensità del dolo o il grado della colpa.

[3] La Corte di Cassazione, SS UU, con la sentenza n. 13681/2016 ha precisato che compito del giudice è quello di valutare la concreta manifestazione del reato, da cui dipende l’entità del disvalore, concentrandosi dunque sul fatto storico e sulle forme di estrinsecazione del comportamento avuto.

[4] La Corte di Cassazione, SS UU, con la sentenza n. 13681/2016 ha chiarito che l’elenco di cui al terzo comma deve essere considerato tassativo.

[5] Il riferimento alle condotte plurime non va considerato una mera ripetizione dell’abitualità e della reiterazione. Queste condotte consisterebbero, infatti, in “fattispecie concrete nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti” (Corte di Cassazione, SS UU, n. 13681/2016, p. 18).

[6] F. Bardelle, L’archiviazione per particolare tenuità del fatto: vuoti di tutela per l’indagato, su www.questionegiustizia.it, 11.1.2016.

[7] La Corte Edu, 21 gennaio 1999, nel caso Van Geyseghem c. Belgio, ha, infatti, esteso la disposizione anche alle indagini preliminari.

[8] Bronzo, Interrogativi sull’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in www.lalegislazionepenale.eu., 21 settembre 2015, 3.

Simona Arcieri

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento