Licenziamento per scarso rendimento: condizioni di legittimità

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Sul licenziamento individuale, nel caso in cui il prestatore di lavoro, legato da un contratto di lavoro alla azienda, non adempia alle prestazioni contrattuali, può incorrere nel licenziamento per scarso rendimento.

Corte di Cassazione – Sez. Lavoro – Ordinanza n. 9453 del 06-04-2023

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Indice

1. La vicenda

Un lavoratore di un istituto bancario, nell’agosto del 2016, con intimazione da parte del datore di lavoro si vedeva licenziato per giusta causa. Decideva così di adire il competente Tribunale di Treviso, sezione lavoro, impugnando il licenziamento al fine di far valere le proprie ragioni, censurando l’operato della convenuta. Con la sentenza n. 80/2019 lo stesso Tribunale confermava il licenziamento revisionandolo e aggiornando la causale in giustificato motivo soggettivo riqualificando l’ordinanza resa nella fase sommaria, riconoscendo così l’assenza del preavviso a carico dell’azienda, ma addebitando comunque lo scarso rendimento.
In sede di appello, la Corte territoriale si vede notificare il reclamo principale proposto dal lavoratore ed il reclamo incidentale depositato dalla banca,  rigettandoli entrambi. La stessa infatti, riprendendo le tematiche già svolte dal tribunale confermava che non vi era una ritorsione nei confronti del licenziato da parte datoriale ma una constatazione dei fatti. L’inadempimento alle mansioni lavorative sono state valutate sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo: seppur vi sia un riconoscimento di un periodo limitato di tempo nel valutare l’attività lavorativa è comunque assai chiaro, a giudizio della Corte di Appello, che l’intensità dell’inadempienza è stata notevole se paragonata a colleghi posti in una situazione lavorativa, ruolo e qualifica molto simile e questo giustifica e supplisce il periodo di valutazione limitato nel tempo, seppur sufficiente.  L’intensità peraltro è stata valutata secondo quelle che sono le mansioni specifiche ovverosia “scarso rendimento in termini di visite ai clienti e raccolta”. Tutto ciò va a confluire ed a congiungersi alla assenza di elementi oggettivi utili che avrebbero potuto discolpare il lavoratore giustificando così l’importante riduzione dell’attività lavorativa.
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2. Il preavviso

La materia del licenziamento per giustificato motivo soggettivo è regolata dall’ articolo 3, della legge n. 604/1966 ed avviene in conseguenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero per ragioni che ineriscono all’attività produttiva.
E’ una forma di licenziamento con obbligo di preavviso e ricorrere in presenza di determinate condizioni: l’inadempimento del dipendentedeve essere dunque di non scarsa importanza e deve rivelarsi come un obbligo contrattuale e non extracontrattuale. L’inadempimento deve essere grave a tal punto da incidere su quelli che sono gli obblighi contrattuali a carico del lavoratore, manifestando una gravità tale da porsi in una via intermedia tra il grave inadempimento e quello meno grave che farebbe presagire soltanto una sanzione disciplinare.
Nel caso in commento, gli ermellini ritengono che i giudici territoriali abbiano applicato correttamente anche un’ulteriore condizione di non poco conto: l’inadempimento del prestatore di lavoro che si presentava tale da prevedere il licenziamento per giusta causa, così come la banca ha poi effettivamente intimato al lavoratore, ha avuto una svolta ricollocandosi come addebito per licenziamento per giustificato motivo soggettivo, rimettendo al datore di lavoro l’onere del pagamento del mancato preavviso di licenziamento. Ai giudici è data una discrezionalità rilevabile caso per caso in questo ambito, in quanto hanno la facoltà di convertire il licenziamento per giustificato motivo, che contempla il più grave inadempimento, in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, sulla base di una valutazione oggettiva dei fatti commessi o omessi riguardanti le circostanze del fatto insite al caso in valutazione e sulla base delle accuse rivolte e qualificanti per l’uno o l’altro addebito.

3. La decisione della Corte

Avverso la decisione della Corte di Appello, come in epigrafe, il lavoratore propone ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi. Resiste il datore di lavoro con controricorso. I giudizi di Piazza Cavour ritengono privo di fondamento il primo motivo e inammissibile il secondo, rigettando il ricorso.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’onere della prova. Si chiede in sostanza la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. 604/1966 rinvenendo qui la necessità di poter dare credito al lavoratore di provare ex art. 1218 del codice civile il fatto negativo e contrario allo scarso rendimento, cosa peraltro non rinvenibile nella sentenza n. 656/2019. Ma la Suprema Corte chiarisce ad ogni buon conto che la decisione in appello è stata presa sulla base di un convincimento che esula dall’assolvimento dell’onere probatorio del lavoratore per il quale il ricorrente su duole, rinvenendo invece il punto di diritto nella specifica situazione che lo stesso non versasse nella situazione di impossibilità ad adempiere alla prestazione lavorativa, prove peraltro acquisite in sede testimoniale.
La Corte di Cassazione si allinea ad una giurisprudenza più esplicita (Cass. civ., sez. lavoro, 17.09.2009, n. 20050) rinvenendo che è onere del datore di lavoro provare lo scarso rendimento del lavoratore e non potrebbe essere diversamente in quanto il licenziamento per giustificato motivo soggettivo deve essere provato tenendo conto di un insieme di fattori che devono coesistere al momento dell’addebito. Nel caso di specie parte resistente ha dovuto provare non solo il mancato raggiungimento degli obbiettivi attesi considerandone la sua piena esigibilità ma anche la colpa nell’inadempimento contrattuale del lavoratore, obbligato ad espletare le sue mansioni in virtù delle reciproche prestazioni corrispettive derivanti dagli obblighi contrattuali. Lo scarso rendimento, rinvenibile negli atti di causa, è stato provato dal datore di lavoro “numeri alla mano” che di fatto sono incontrovertibili (l’aver fatto visita ad un numero modestissimo di clienti) e posti a confronto con colleghi di pari condizioni lavorative, evidenziando così la susseguente gravità dell’inadempimento contrattuale dovuta allo scarso rendimento.
Sempre secondo la Corte non sembra neanche giustificabile, in favore del ricorrente, una situazione oggettiva a più ampio spettro, considerando che i mezzi messi a disposizione dalla banca erano sufficienti allo svolgimento delle mansioni e dalle testimonianze raccolte non veniva riscontrato un trattamento personale sfavorevole di emarginazione nei confronti del lavoratore.
Bene quindi ha fatto la Corte di Appello, secondo gli ermellini, a consolidare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo dovuto allo scarso rendimento quando vengono provati gli elementi che integrano una volontaria ed imputabile violazione degli obblighi lavorativi.
A completamento si menziona anche il secondo motivo del ricorso con il quale il ricorrente si duole dell’operato della Corte territoriale. Semplificando, in virtù anche della presa di coscienza di una motivazione priva di ogni fondamento, il lavoratore denunciava che nel giudizio di appello la Corte avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma primo, n. 5), lamentando la mancata ammissione di mezzi di prova riferibili al ricorso introduttivo di altro giudizio pendente tra le medesime parti. Tesi inammissibile secondo i giudici cassazionisti in quanto pongono l’accento sul fatto della assenza dei presupposti per la proposizione di tale motivo rimarcando come invece la Corte si era pure pronunciata sul secondo motivo d’appello rilevando che i capitoli di prova non ammessi nulla avevano a che fare con il ricorso dell’altro giudizio pendente inter partes ed evidenziando, infine, che nel ricorso per cassazione non erano rinvenibili neppure gli estremi del provvedimento della Corte territoriale dove veniva negata l’ammissione dei mezzi di prova citati dall’impugnante.

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