Licenziamento ed abbandono del posto di lavoro (Cass. n. 22394/2013)

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Massima

È legittimo il licenziamento per giusta causa a fronte dell’abbandono ingiustificato del posto di lavoro da parte del dipendente, che è venuto meno all’obbligo della prestazione, per porsi, poi, in stato di malattia non appena venuto a conoscenza che sarebbe iniziato a suo carico un procedimento disciplinare, minando in tal modo il rapporto fiduciario in guisa tale da far ritenere giustificata la sanzione inflittagli.

 

1. Questione

La Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione proposta dal lavoratore avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale, che gli aveva respinto la domanda diretta all’annullamento del licenziamento intimatogli dalla società per l’arbitrario abbandono del posto di lavoro. La Corte, dopo aver escluso che potesse ritenersi rilevante nella fattispecie la mancata affissione del codice disciplinare, essendo quella contestata una violazione di un dovere fondamentale del rapporto di lavoro manifestamente contraria all’etica comune, ha spiegato che l’istruttoria aveva consentito di appurare il comportamento fraudolento tenuto nell’occasione dal lavoratore, il quale aveva dapprima ammesso di aver abbandonato il posto di lavoro, venendo così meno all’obbligo della prestazione, per porsi, poi, in stato di malattia non appena venuto a conoscenza che sarebbe iniziato a suo carico un procedimento disciplinare, minando in tal modo il rapporto fiduciario in guisa tale da far ritenere giustificata la sanzione inflittagli.

Il lavoratore ricorre in cassazione, il quale ricorso è stato rigettato.

 

2. Licenziamento ed abbandono del posto di lavoro: evoluzione giurisprudenziale

La giurisprudenza di legittimità ha da sempre sostenuto la legittimità del licenziamento per giusta causa in caso di abbandono ingiustificato del posto di lavoro da parte del dipendente cui sono affidate mansioni di vigilanza e custodia, trattandosi di condotta che mina in radice il rapporto fiduciario. Infatti, la Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2002, n. 9840 del 06/07/2002 ribadisce che l’abbandono del posto di lavoro da parte di dipendente cui siano affidate mansioni di custodia e sorveglianza configura – a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto – mancanza di rilevante gravità idonea, indipendentemente dall’effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro ed a integrare la nozione di giusta causa di licenziamento, anche in difetto di corrispondente previsione del codice disciplinare, atteso che, nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il potere di recesso del datore di lavoro deriva direttamente dagli artt. 1 e 3 della L. 604/1966, norme esprimenti precetti di sufficiente determinatezza. In tale pronuncia, la Suprema Corte, confermando la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad una guardia giurata, ha ribadito il principio secondo cui nelle controversie concernenti l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., solo la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, attraverso la puntuale deduzione dell’errore – sviamento del ragionamento del giudice di merito e ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito che, interpretando le disposizioni contrattuali, aveva ravvisato nella condotta del lavoratore un abbandono del posto di lavoro e non un momentaneamente allontanamento dal posto stesso). Inoltre, nella Cass. civ., sez. lav., n. 8107 del 4 giugno 2002 si è precisato che per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. Nel caso di specie, il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte aveva respinto l’impugnativa di licenziamento di una guardia giurata, dipendente di un istituto di vigilanza privata, allontanatosi dal posto di lavoro senza fornire nell’immediatezza dei fatti alcuna giustificazione e senza informare i superiori); Sez. L, Sentenza n. 6534 del 03/07/1998: L’abbandono del posto di lavoro da parte di dipendente cui siano affidati mansioni di custodia e sorveglianza configura – a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto – mancanza di rilevante gravità ed idonea, indipendentemente dall’effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro; tale mancanza può costituire pertanto giusta causa di licenziamento, anche in difetto di corrispondente previsione del codice disciplinare, atteso che, nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il potere di recesso del datore di lavoro deriva direttamente dagli artt. 1 e 3 della L. 604/1966, norme esprimenti precetti di sufficiente determinatezza.

 

3. Rassegna giurisprudenziale (di merito e di legittimità)

In ordine al processo del lavoro, l’onere di provare i propri assunti spetta al lavoratore che affermi di essere stato licenziato e non al datore di lavoro che affermi l’avvenuto abbandono del posto di lavoro. Ciò perché il licenziamento rappresenta il fatto costitutivo dei diritti fatti valere in giudizio dal lavoratore (Trib. Perugia, Sez. lavoro, 14/02/2012).

L’abbandono del posto di lavoro da parte di un dipendente cui siano affidati mansioni di custodia e sorveglianza configura (a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto) una mancanza di rilevante gravità ed idonea, indipendentemente dall’effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro. In particolare, la fattispecie dell’abbandono del posto di lavoro, sanzionabile con il licenziamento in base al C.C.N.L. per i dipendenti degli istituti di vigilanza privata, sussiste, attese la natura e le peculiari caratteristiche del servizio di vigilanza, anche indipendentemente dall’allontanamento dal luogo di lavoro, allorquando risulti in concreto l’idoneità dell’inadempimento del lavoratore ad incidere sulle esigenze di prevenzione, repressione e, più in generale, di controllo proprie del servizio stesso (Trib. Genova, Sez. lavoro, 24/07/2009).

Sussiste giusta causa di licenziamento ove il lavoratore abbia abbandonato il posto di lavoro con – si ritiene – circa 45 minuti di anticipo, poiché, anche se in caso di chiamata anche negli ultimi 5 minuti avrebbe dovuto tornare sul luogo della prestazione e pur non essendosi verificati problemi l’essersi allontanato avrebbe reso più difficile un intervento immediato e utile del ricorrente in caso di allarme nella zona di competenza ed essendo l’abbandono aggravato dalla falsa ricostruzione dei fatti fornita dall’interessato (Trib. Firenze, 28/03/2008).

Le dimissioni sono un atto a forma libera, per il quale la volontà non equivoca di risolvere il rapporto può dedursi anche da comportamenti concludenti: tali sono stati ritenuti l’abbandono del posto di lavoro accompagnato dalla mancata presentazione in azienda nei giorni successivi. Nel caso di specie, il lavoratore (alle dipendenze di una società esercente attività di soccorso e rimorchio di navi) non ha dimostrato essere stato intimato il licenziamento dedotto, conseguentemente dovendo ritenersi che il rapporto di lavoro si è risolto per dimissioni, desumibili dal mancato imbarcato dopo numerosi solleciti scritti (Trib. Napoli, Sez. lavoro, 31/01/2006).

L’abbandono del posto di lavoro da parte di dipendente cui siano affidate mansioni di custodia e sorveglianza configura – a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto – mancanza di rilevante gravità idonea, indipendentemente dall’effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro ed a integrare la nozione di giusta causa di licenziamento, anche in difetto di corrispondente previsione del codice disciplinare, atteso che, nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il potere di recesso del datore di lavoro deriva direttamente dagli art. 1 e 3 della L. 604/1966, norme esprimenti precetti di sufficiente determinatezza. Nella specie la S.C., confermando la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad una guardia giurata, ha ribadito il principio secondo cui nelle controversie concernenti l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., solo la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, attraverso la puntuale deduzione dell’errore – sviamento del ragionamento del giudice di merito e ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito che, interpretando le disposizioni contrattuali, aveva ravvisato nella condotta del lavoratore un abbandono del posto di lavoro e non un momentaneamente allontanamento dal posto stesso (Cass. civ., Sez. lavoro, 06/07/2002, n. 9840).

 


Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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