Libera prestazione dei servizi nel diritto comunitario e internazionale: Novità e tendenze giuridiche

Vita Marco 02/05/08
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….un grosso ringraziamento al mio fratello acquisito nella speranza che mi stia accanto per sempre…
 Sommario: -Introduzione, -Libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi; -La necessità di una piena realizzazione del mercato interno di servizi; -Gli ostacoli alla libera prestazione di servizi transfrontaliera; -La proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno; -I pareri; -Il Comitato delle Regioni e il Comitato economico e sociale; -La Confederazione europea dei sindacati; -I partiti europei e l’OCDE; -La CGIL, Confindustria italiana e la rete Attac; -Gli emendamenti approvati dal Parlamento europeo; -Il nuovo testo della Direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006; -La posizione comune del Consiglio; -Conclusioni
 
Introduzione
 
La libera prestazione transfrontaliera dei servizi risulta già a priori più difficile, perché essi dipendono spesso dalla preparazione del prestatore e non è possibile controllare il servizio prima della sua esecuzione. Per le merci il più delle volte basta un controllo del prodotto per verificare se rispetta i requisiti di sicurezza. Si saprà se il servizio è adeguato soltanto dopo che è stato prestato, ma soprattutto in alcuni settori, come ad esempio quello sanitario, è particolarmente importante garantire a priori ai cittadini la qualità del servizio di cui saranno fruitori. Gli Stati possono chiedere differenti qualifiche per accedere o esercitare un’attività di servizio con l’obiettivo di tutelare i cittadini.
Se uno Stato ritiene che un determinato servizio sia particolarmente importante per i cittadini lo tutelerà in maniera maggiore, imponendo più stringenti requisiti e controlli a chi intenda prestare il servizio. È naturale che in un altro Stato tale esigenza possa essere inferiore e dunque i requisiti e controlli imposti saranno minori se non inesistenti. Fino a quando ci sarà un’eccessiva disparità tra le normative dei vari Stati non si riuscirà a liberalizzare completamente il mercato dei servizi. Bisogna tener conto tuttavia del fatto che sovente l’armonizzazione delle normative è difficile perché c’è un’eccessiva disparità tra gli Stati, ed i medesimi mostrano resistenze a modificare la loro legislazione. L’armonizzazione però riguarda solo alcuni aspetti di alcune materie ed essendo il risultato di un compromesso tra gli Stati, difficilmente consente di pervenire alla decisione migliore. Gli Stati inoltre possono comportarsi in modo opportunistico, cioè interpretare in modo distorto le direttive o addirittura non recepirle.
Gli Stati membri adottano spesso misure protezionistiche volte a tutelare la loro economia nazionale e temono che l’arrivo di soggetti provenienti da altri Stati dell’Unione sia dannoso per le loro imprese. I cittadini sono poco informati sui servizi transfrontalieri che potrebbero ricevere e giudicano i prestatori d’altri Stati membri con diffidenza. Il risultato è che non attualmente non c’è ancora una piena realizzazione del mercato interno dei servizi.
La Commissione europea ha dunque proposto una direttiva sui servizi, la cosiddetta “direttiva Bolkestein”, per agevolare la prestazione transfrontaliera di servizi. L’idea che sta alla base della proposta di direttiva è quella di permettere al prestatore di servizi stabilito in uno Stato dell’Unione europea di svolgere la sua attività in un altro Stato membro come se si trovasse nel suo Paese originario. Lo strumento adottato dalla Commissione ha carattere orizzontale, si rivolge in via generale a tutti i servizi e non solo ad alcuni settori, dunque il suo effetto di liberalizzazione può essere ampio. Un vero mercato interno e dei servizi può portare vantaggio a tutti i cittadini e all’economia europea, dato che i servizi producono in quasi tutti i Paesi la maggior parte del PIL.
La presente relazione analizza gli ostacoli che un prestatore di servizi incontra quando rivolge la sua attività in un altro Stato membro. In quest’ottica si pone la proposta di direttiva, volta a eliminare tali ostacoli. Essa ha subito un percorso travagliato perché è stata contestata fortemente sia da alcuni governi sia da varie associazioni sindacali e organizzazioni sociali; in sede di Parlamento europeo è stata intensamente emendata. Ci si chiede dunque cosa effettivamente sia rimasto della proposta originaria e se il testo attualmente in esame sia adeguato per completare il mercato interno dei servizi.
Il mio studio prende le mosse dalla relazione presentata dalla Commissione Europea sullo stato del mercato interno dei servizi per arrivare, seguendo il percorso legislativo della proposta di direttiva, alla nuova proposta adottata dalla Commissione, in seguito agli emendamenti approvati in sede di Parlamento europeo. L’ipotesi di lavoro che la mia relazione intende indagare, alla luce della proposta di direttiva, è se il mercato interno dei servizi sarà effettivamente liberalizzato come la proposta originaria di direttiva si proponeva, e in caso contrario quali siano stati i motivi che hanno impedito una piena liberalizzazione.
 
Libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi
 
L’operatore economico indipendente assume rilievo per l’ordinamento comunitario quando la sua attività presenta carattere transfrontaliero. Nel Trattato CE la disciplina riguardante la libera circolazione dei lavoratori autonomi è suddivisa in due regimi che dipendono dal tipo di collegamento che il cittadino proveniente da uno Stato membro instaura con il territorio dell’altro Stato membro in cui esercita la propria attività o dirige i risultati della propria attività. L’operatore che avvia in un altro Stato membro un attività continuata e stabile rientra nella disciplina della libertà di stabilimento, mentre quello che compie atti d’esercizio dell’attività economica occasionali ed episodici senza una stabile situazione rientra in quella della libera prestazione dei servizi.
La libertà di stabilimento prevede il diritto dei cittadini di uno Stato membro di svolgere la loro attività indipendente in modo continuo o permanente all’interno del territorio di un altro Stato membro nel quale hanno dislocato la loro sede. Essa si distingue dalla libera circolazione dei lavoratori subordinati perché è rivolta ai lavoratori che svolgono la loro attività in regime d’indipendenza, con autonomia gestionale e assunzione di rischio economico. L’elemento caratterizzante la libertà di stabilimento è la presenza quasi stabile dell’operatore proveniente da uno Stato membro all’interno di un diverso Stato membro destinatario. L’operatore partecipa in maniera continuativa alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio paese d’origine e favorisce così l’interpenetrazione economica e sociale nell’ambito della Comunità. Per vedere se sussiste il carattere permanente dell’attività bisogna tener conto del concreto atteggiarsi dell’attività. L’elemento rilevante è il concreto insediamento del soggetto nel mercato del Paese ospitante per compiere un numero indeterminato d’episodi della propria attività economica. Le norme sul diritto di stabilimento riguardano sia le persone fisiche sia le persone giuridiche. Per le prime il Trattato richiede che il soggetto sia cittadino dell’Unione Europea e tale requisito non è derogabile.
In caso contrario verrebbe meno la distinzione tra area comunitaria e area extracomunitaria nella fruizione di questa libertà fondamentale garantita dal Trattato per permettere una maggiore integrazione europea. Lo stabilimento secondario è, infatti, previsto soltanto per coloro che già fruiscono di uno stabilimento principale in un altro Stato membro. Le persone giuridiche possono anch’esse stabilirsi a titolo principale o a titolo secondario in un altro Stato membro. La persona giuridica esiste grazie all’ordinamento nazionale che ne prevede la costituzione, quindi il relativo stabilimento sul territorio di uno Stato diverso presuppone il mutuo riconoscimento della società. Non essendo riuscito il reciproco riconoscimento su base convenzionale il legislatore ha perseguito l’obiettivo di ravvicinare i diritti societari dei diversi Stati membri. Il più importante passo avanti si è fatto al Consiglio europeo di Nizza che ha posto le basi della Società Europea. Ogni attività economicamente rilevante è suscettibile di essere esercitata oltre frontiera, sono però escluse dal campo d’applicazione le attività che anche occasionalmente partecipano ai pubblici poteri perché sono ritenute particolarmente sensibili agli interessi generali del Paese.
Il legame che unisce il lavoratore all’ambiente dello Stato in cui svolge la sua attività è quasi assimilabile a quello del cittadino e in ogni caso più intenso di quello che unisce il prestatore di servizi con il Paese destinatario della prestazione. Nel caso dell’operatore stabilito trova giustificazione la regola del trattamento nazionale, che, però risulta insufficiente per la piena realizzazione della libertà di prestazione dei servizi.
Il principio del trattamento nazionale, a cui si ispira il diritto di stabilimento, afferma che l’operatore comunitario proveniente da un altro Stato membro deve avere accesso alle attività non salariate proprio come il cittadino di quello Stato. Il trattato afferma che sono vietate le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro.
C’erano tuttavia negli ordinamenti nazionali norme che anche se applicate indifferentemente agli stranieri e ai cittadini in realtà realizzavano una discriminazione ai danni degli stranieri. La Corte di giustizia le ha ritenute incompatibili con il diritto di stabilimento. Sono state ritenute incompatibili anche quelle misure che applicate indistintamente e prive d’effetti discriminatori rappresentavano un ostacolo all’accesso o all’esercizio dell’attività economica da parte dei non cittadini.
Misure nazionali discriminatorie sono ammesse, ma devono essere fondate su motivi d’ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Uno Stato può anche adottare misure non discriminatorie motivate da esigenze imperative connesse all’interesse generale. Queste ultime devono applicarsi in maniera non discriminatoria, devono trovare giustificazione in ragioni imperative d’interesse generale, devono essere oggettivamente idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo di protezione e non devono imporre restrizioni superiori rispetto a quanto strettamente necessario per conseguire l’obiettivo di protezione. Gli interessi statali meritevoli di tutela sembrano destinati a restringersi con l’avanzare dell’integrazione comunitaria. Quando ci sarà una tendenziale coincidenza dei valori protetti in ciascuno Stato le cause che giustificano oggi le misure restrittive si ridurranno al minimo. Se l’ordinamento del Paese di provenienza e quello del Paese di stabilimento condividono sullo stesso punto le stesse esigenze di tutela, lo stabilito eserciterà la sua attività alle stesse condizioni a cui l’avrebbe esercitata nel suo Paese. Si realizza in sostanza un mutuo riconoscimento delle rispettive legislazioni nazionali.
La libertà di prestazioni dei servizi prevede invece il diritto del cittadino comunitario di esercitare la propria attività in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito in modo permanente in maniera temporanea ed occasionale, senza carattere di stabilità. I beneficiari della libera prestazione di servizi sono i cittadini di uno stato membro. La cittadinanza e lo stabilimento comunitari costituiscono condizioni cumulativamente richieste per poter fruire della libertà di prestazione dei servizi, perché si vuole evitare che gli Stati membri subiscano una penetrazione economica da parte di soggetti privi di un effettivo legame con il territorio comunitario. Sono considerate prestazioni di servizi quelle normalmente fornite dietro retribuzione, a carattere transfrontaliero, che non rientrano nella libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. Il caso più semplice è quello in cui è il prestatore che si sposta temporaneamente nel paese del destinatario della prestazione. Ci sono comunque altre modalità. La prima si ha quando è il destinatario del servizio che si sposta nello Stato dove il prestatore è stabilito. La seconda invece quando nessuno dei due soggetti si sposta dal proprio paese di stabilimento, ma è piuttosto la prestazione fornita che resa in uno Stato trova il proprio destinatario in un altro Stato membro. Un’altra forma di prestazione di servizi si ha quando il prestatore si rivolge ad un destinatario situato nello stesso Stato membro al fine di rendergli una prestazione che troverà esecuzione in un diverso Stato membro.
Il requisito della temporaneità della prestazione e quindi del non definitivo insediamento del prestatore nello Stato ove si è recato per esercitare la sua attività è l’elemento che distingue la prestazione di servizi rispetto allo stabilimento. Il carattere temporaneo dell’attività deve essere valutato tenendo conto non solo della durata della prestazione ma anche della sua frequenza, periodicità o continuità.
Solo nel caso in cui il prestatore si colloca nel mercato del paese ospitante in cui è stabilito il destinatario il Trattato impone la regola del trattamento nazionale. Il prestatore di servizi non partecipa in modo stabile e continuativo alla vita economica della Stato membro ospitante. Per garantire la reale integrazione dell’operatore straniero nel territorio in cui sceglie di operare bisogna disciplinare in maniera differente l’operatore stabilito dal prestatore di servizi perché essi svolgono la loro attività professionale in due modi diversi. La Corte ha cercato di interpretare le norme sulla libera prestazione di servizi in modo più liberale, affermando che al prestatore temporaneo di servizi non bisogna applicare le regole incompatibili con il carattere temporaneo della prestazione. Dal punto di vista generale la libertà di prestazione di servizi implica il diritto dell’individuo cittadino di uno Stato membro e stabilito all’interno della Comunità di circolare e soggiornare liberamente nell’area comunitaria, accedendo ed esercitando un’attività economica. Gli Stati devono eliminare gli ostacoli che impediscono l’esercizio di quel diritto e devono adottare i provvedimenti idonei per facilitare l’esercizio di quella libertà.
Ciononostante la portata liberalizzatrice delle norme del Trattato non è assoluta perché non impone l’eliminazione di tutte le limitazioni e le condizioni legali cui sono subordinati all’interno dei singoli Stati membri l’accesso alle varie attività indipendenti e l’esercizio delle medesime. Le attività che partecipano all’esercizio del pubblico potere in modo diretto e specifico sono escluse dalla liberalizzazione.
Sono vietate le misure che alterano la parità di trattamento tra chi proviene dall’estero rispetto a chi si trova già stabilito nello Stato e le discriminazioni fondate sulla nazionalità. Si assiste anche ad una maggiore diversificazione delle forme attraverso cui l’operatore è ammesso ad esercitare lo stabilimento e la prestazione dei servizi. La nozione di prestazione di servizi è stata, per esempio, ritenuta compatibile con la creazione nello Stato dove è resa la prestazione di strutture o uffici.
Una possibile ipotesi è la creazione di una futura area di libera circolazione generalizzata nella quale le esigenze che oggi giustificano misure restrittive potrebbero trovare adeguata soddisfazione in misure di coordinamento e armonizzazione dei sistemi nazionali, con conseguente più ampio ricorso alla soluzione del mutuo riconoscimento. Le norme in materia di libera prestazione di servizi evidenziano, già dal punto di vista della formulazione letterale, un più ampio effetto di liberalizzazione. Il Trattato, all’art 54, afferma che fino a quando non saranno eliminate le restrizioni alla libera prestazione di servizi esse devono essere applicate a tutti i prestatori di servizi senza distinzione di nazionalità o di residenza. La differente estensione del principio di parità di trattamento in materia di servizi rispetto allo stabilimento si giustifica dalla diversità tra le due libertà.
Il prestatore di servizi ha con lo Stato dove esercita la propria attività occasionale un attaccamento sociale inferiore a quello di chi vi è stabilito. La rigorosa applicazione della regola del trattamento nazionale nei confronti del prestatore di servizi porterebbe delle restrizioni eccessive all’operatore in rapporto alle caratteristiche del suo insediamento.
Una restrizione come la residenza opera a danno dei prestatori di servizi che normalmente sono stabiliti in un altro Stato membro. La residenza può essere chiesta per l’esercizio di determinate professioni funzionali alla protezione d’interessi generali, ma le giustificazioni della misura devono soddisfare i principi di necessità e proporzionalità. Il primo non è rispettato tutte le volte in cui il controllo può trovare giustificazione nella vigilanza che sul prestatore viene fatta dall’ordinamento del paese di stabilimento. Il secondo è violato quando il contatto con le autorità locali può essere garantito attraverso mezzi meno penalizzanti rispetto alla residenza.
La Corte ha portato la tutela del prestatore di servizi oltre i limiti del trattamento nazionale anche per quanto riguarda imposizioni ulteriori rispetto alla residenza. Le restrizioni e i limiti che sarebbero applicabili rispettando il principio del trattamento nazionale appaiono giustificati per lo stabilito, visto il suo forte insediamento nello Stato membro di destinazione, ma il più delle volte sono ingiustificati e sproporzionati nei confronti del prestatore che s’insedia in modo precario nell’altro Stato membro e inoltre è già sottoposto, di regola, ad analoghe misure restrittive nel suo Paese di stabilimento.
L’idea che sta alla base della liberalizzazione della prestazione dei servizi è quella secondo cui le attività prestate nel territorio comunitario dovrebbero sottostare, in linea di principio, ad una sola disciplina: quella del paese d’origine. L’attività legittimamente prestata in uno Stato deve poter essere prestata, nel regime del servizio, anche negli altri Stati membri, salvo le ipotesi di giustificazione ammesse. E’ evidente che il prestatore, non dovendo sottostare alle restrizioni applicabili allo stabilito, potrà esercitare la propria attività a condizioni di maggior favore rispetto a quelle cui deve sottostare il secondo.
In realtà la prestazione fornita dallo stabilito e quella fornita da colui che opera in regime di libera prestazione dei servizi sono due realtà disomogenee e non si possono confrontare sul piano del regime giuridico ad esse applicabile. La diversità tra le due sta nella caratteristica dell’insediamento. L’operatore stabilito in un altro Stato membro sfugge al controllo dello Stato d’origine, mentre il prestatore di servizi vi rimane sottoposto, quindi è ingiusto applicargli ulteriori restrizioni nello Stato di destinazione visto che le subisce già nello Stato di provenienza.
Qualsiasi normativa che rende più difficile o semplicemente meno attraente la prestazione di servizi fra gli Stati membri rispetto alla prestazione puramente interna va contro il Trattato. La tendenza è di eliminare ogni restrizione, anche non discriminatoria, che si risolve in un ostacolo effettivo al prestatore stabilito in un altro Stato membro. Prendiamo in esame il caso in cui un prestatore di servizi, stabilito in uno Stato membro, indirizza quasi tutta la sua attività in un altro Stato membro. Confrontiamo tale soggetto con un concorrente che svolge la stessa attività del prestatore di servizi, a vantaggio di soggetti che risiedono nello stesso territorio, ma a differenza del prestatore è stabilito nel Paese di destinazione.
Nel caso in cui la normativa del Paese dove è stabilito il prestatore di servizi è più favorevole di quella del Paese di destinazione, a cui è sottoposto l’operatore concorrente, il prestatore di servizi si trova in una situazione più favorevole rispetto allo stabilito. La scelta dello Stato di stabilimento finisce così per essere determinata esclusivamente da situazioni di favor normativo e la libera circolazione rischia di divenire, da mezzo d’espressione di una libertà economica, strumento di distorsione del funzionamento del mercato.
Ciò potrebbe giustificare un maggior controllo da parte dello Stato di destinazione del servizio a tutela d’interessi generali del settore e l’adozione quindi di misure restrittive. La libera prestazione di servizi non può essere utilizzata in modo da aggirare le regole sullo stabilimento, le quali attraverso il ricorso al principio del trattamento nazionale consentono l’imposizione di restrizioni non ammissibili per il prestatore. La Corte ha riconosciuto, visto la natura particolare di certe prestazioni, il diritto degli Stati di adottare misure restrittive finalizzate ad evitare che la libertà di prestazione di servizi sia utilizzata dal prestatore la cui attività è interamente o principalmente rivolta verso il proprio territorio, al fine di sottrarsi alle regole a cui sarebbe sottoposto se risiedesse in tale Stato.
Sono ammesse misure restrittive fondate su motivi d’ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. La Corte di giustizia ha, per esempio, ritenuto giustificate le norme nazionali che riservano ad una categoria specifica di professionisti il diritto di effettuare diagnosi e di prescrivere trattamenti sanitari che, in altri Stati membri, sono consentiti anche ad altri professionisti non muniti di analogo titolo di studio.
Altre misure restrittive non discriminatorie possono essere adottate dagli Stati per proteggere esigenze imperative connesse ad un interesse generale meritevole di tutela. Nel settore della libertà di circolazione dei servizi il principio del mutuo riconoscimento comporta l’affermazione della tendenziale idoneità del controllo dello Stato d’origine a soddisfare le esigenze dello Stato di destinazione della prestazione. La misura restrittiva è quindi ammissibile solo quando quello stesso interesse meritevole di tutela per lo Stato destinatario della prestazione non trova tutela nelle regole a cui il prestatore è sottoposto nello Stato in cui è stabilito.
La valutazione è delicata, poiché gli Stati possono tutelare i propri interessi generali secondo modalità diverse e il fatto che uno Stato imponga norme meno severe rispetto ad un altro non indica necessariamente che la disciplina del primo sia incompatibile con il diritto comunitario. La misura restrittiva dovrà essere idonea allo scopo di tutela al quale è destinata e inoltre bisogna valutare se lo stesso obiettivo non possa essere conseguito attraverso regole meno penalizzanti per il prestatore. Un’intensa opera d’armonizzazione delle condizioni di accesso alle varie attività dei vari ordinamenti era necessaria perché misure indistintamente applicabili, come requisiti, condizioni e titoli per l’accesso di determinate attività continuavano ad impedire o a rendere difficoltoso l’effettivo esercizio della libera prestazione di servizi. Quanto maggiore è il grado di armonizzazione e di mutuo riconoscimento tanto inferiori sono le possibilità per gli ordinamenti nazionali di contemplare misure restrittive che trovino giustificazione nella tutela di interessi generali.
 
La necessità di una piena realizzazione del mercato interno dei servizi.
 
La Commissione europea è stata invitata a proporre una strategia globale per il mercato interno dei servizi16 per eliminare gli ostacoli che si oppongono alla libera circolazione dei servizi e per far in modo che i servizi possano attraversare le frontiere nazionali con la stessa facilità con cui circolano all’interno di uno Stato membro.
La crescita dell’economia di basa sostanzialmente sui servizi. Essi rappresentano circa il 70% del PNL e dell’occupazione nella maggior parte degli Stati membri. Nelle economie moderne i servizi sono presenti in tutti i settori e giocano un ruolo importante per le imprese. Oggigiorno la competitività delle imprese dipende sempre più da come esse sanno gestire i servizi. La capacità di fornire servizi in modo efficiente è diventata fondamentale per l’impresa per poter competere e allo stesso tempo distinguersi dalle altre imprese. Per combattere la concorrenza e per riuscire a soddisfare una clientela sempre più esigente le imprese cercano di offrire prodotti sempre più differenziati. Oltre al prezzo e alla qualità del prodotto esse cercano di differenziarsi dalle altre imprese offrendo maggiori e migliori servizi ai loro clienti. Le informazioni circolano molto rapidamente e le nuove innovazioni diventano obsolete in breve tempo. Le imprese devono di conseguenza saper innovare rapidamente ed inserire in breve tempo sul mercato il prodotto innovativo se non vogliono essere superate dalle altre imprese. Esse dispongono di tempi più brevi per trarre vantaggio dai loro investimenti e quindi per trarre maggiori profitti devono poter accedere ad un mercato più ampio, possibilmente quello interno all’UE. Se non potranno farlo saranno meno incentivate ad investire e preferiranno rivolgersi esclusivamente al mercato nazionale.
E’ inoltre venuta a meno la necessità di vicinanza fisica tra fornitore e cliente e la struttura dei costi e dei ricavi per numerose attività di servizi ha subito dei cambiamenti. Il modo di offrire e di prestare i servizi si è trasformato e le potenzialità di domanda ed offerta transfrontaliere di servizi si sono notevolmente ampliate. Il settore dei servizi è caratterizzato da un notevole potenziale di crescita e di creazione di posti di lavoro, ma ciò non si è ancora potuto concretizzare a causa dei numerosi ostacoli che si oppongono allo sviluppo delle attività di servizi nel mercato interno. Eliminando gli ostacoli alla prestazione dei servizi si stimola la concorrenza tra i fornitori e si può aumentare la qualità dei servizi perché le imprese sono spinte ad innovare e ad essere efficienti.
Un mercato dei servizi più efficiente contribuirà ad eliminare le barriere che dividono gli europei e consentirà a tutti i cittadini di condividere quanto di meglio l’Unione può offrire. I fornitori di servizi cercheranno di offrire servizi di livello sempre più elevato e ciò andrà a vantaggio dei consumatori che disporranno di una più ampia scelta. Un mercato dei servizi più integrato migliora inoltre la competitività internazionale delle imprese europee. Se le imprese non vorranno o non potranno estendersi in altri mercati, oltre a quello nazionale, la concorrenza basata sulla qualità sarà bloccata e i cittadini europei non potranno beneficiare di servizi di qualità. Per lo sviluppo dell’economia europea è necessario sfruttare le possibilità di crescita offerte dai servizi.
Le imprese e i consumatori attualmente tendono a rivolgersi in primo luogo al mercato nazionale e solo successivamente valutano la possibilità d’acquisti o consumi transfrontalieri di servizi. Questo è dovuto in parte alle differenze linguistiche ma anche a differenze di natura normativa e amministrativa. Una volta che un’impresa si è stabilita in uno Stato membro per poter competere e offrire i propri servizi nel modo più efficiente deve utilizzare delle materie prime, promuovere i propri servizi, fissarne il prezzo e distribuirli. Se le normative del Paese di destinazione sono differenti rispetto a quelle del suo Paese di provenienza incontrerà delle difficoltà perché dovrà adeguare il suo modello aziendale e dovrà sostenere dei costi. Le norme divergenti tra i vari Stati dell’UE provocano un’eccessiva frammentazione del mercato interno dei servizi e impediscono ai fornitori di servizi di concorrere sui mercati degli altri Stati membri in modo altrettanto efficiente che sul mercato nazionale.
Se il prestatore di servizi potesse utilizzare lo stesso modello aziendale in tutta l’Unione europea otterrebbe un notevole risparmio perché non sarebbe costretto a adottare diversi modelli in base al Paese in cui rivolge la sua attività. A farne le spese sono i clienti che sostengono costi più elevati e ricevono servizi di qualità inferiore rispetto a quelli che potrebbero ricevere.
Il mercato interno europeo deve diventare il mercato naturale per tutti i fornitori di servizi ed è necessario correggere la tendenza a pensare unicamente al mercato nazionale. La crescita dei servizi transfrontalieri garantirà ai cittadini e alle imprese una maggiore scelta e una migliore offerta in termini di prezzi, scelta e qualità.
La strategia proposta dalla Commissione è composta da due fasi. La prima fase si è conclusa con la presentazione da parte della Commissione di un inventario riguardante tutte le possibili frontiere che sussistono nel mercato interno dei servizi. La seconda fase prevede invece l’adozione di misure di carattere legislativo e non per smantellare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi e evitare che ne insorgono di nuovi garantendo che sia mantenuto un elevato livello di protezione degli obiettivi di pubblico interesse.
L’Europa ha come obiettivo diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica a livello mondiale, capace di una crescita economica sostenibile, con un maggior numero di posti di lavoro di qualità migliore e una maggiore coesione sociale. Per raggiungere tale obiettivo l’Unione deve migliorare la competitività e la qualità del settore dei servizi perché determinerà il futuro successo dell’ economia europea.
 
Gli ostacoli alla libera prestazione di servizi transfrontaliera.
 
La Commissione europea ha presentato una relazione che esamina lo stato del mercato interno dei servizi. La relazione copre un’ampia gamma d’attività di servizi e individua le difficoltà che caratterizzano ogni fase della prestazione di un servizio.
I servizi sono molto più influenzati delle merci dalle frontiere che sussistono nel mercato interno. La fornitura di servizi si basa sulle qualifiche del prestatore e richiede spesso un rapporto diretto tra il prestatore e il proprio cliente. Molti servizi richiedono la presenza temporanea o permanente del prestatore di servizi nello Stato membro in cui il servizio è fornito. Spesso il prestatore stesso, il suo personale, le sue attrezzature e il suo materiale devono essere trasferiti nel Paese di destinazione. Alcune fasi della prestazione possono essere assoggettate a norme diverse da quelle dello Stato membro d’origine del prestatore e di conseguenza l’operatore può incontrare numerose difficoltà. In alcuni Stati membri l’accesso a certe attività di servizio è soggetto a dei limiti quantitativi che circoscrivono il numero di prestatori che possono esercitare una certa attività o disciplinano la superficie massima e la distanza geografica. Per l’accesso a numerose attività il prestatore deve richiedere un’autorizzazione preventiva alle autorità dello Stato membro di destinazione. Essa nella maggior parte dei casi non tiene conto dei requisiti già soddisfatti dal prestatore nello Stato membro in cui è stabilito.
Il più delle volte le normative nazionali sono vaghe o ambigue per quanto riguarda la loro eventuale applicabilità nei confronti dei prestatori di servizi e questi ultimi devono chiedere assistenza legale per poterle interpretare e spesso il permesso di svolgere la loro prestazione alle autorità dello Stato destinatario del servizio. Un’altra difficoltà al commercio dei servizi deriva dalle diversità delle norme in materia di qualifiche professionali. Un prestatore di uno Stato membro in cui non si richiede alcun titolo professionale che intende svolgere la sua attività in un altro Stato membro dove invece per svolgere la stessa attività è richiesto un particolare titolo incontra delle difficoltà per riuscire ad ottenere un riconoscimento delle sue qualifiche professionali. A causa delle differenze tra le norme nazionali in materia di qualifiche ed esperienze professionali i prestatori di servizi hanno difficoltà a fornire i propri servizi sulla base del titolo in loro possesso. La prestazione di servizi tra gli Stati membri richiede spesso il trasferimento temporaneo del personale del prestatore in un altro Stato membro. Ai lavoratori trasferiti sono spesso applicate le norme di diritto del lavoro del Paese d’accoglienza senza tener conto degli obblighi e degli oneri già assolti dal datore di lavoro nel paese di stabilimento e ciò può comportare una duplicazione dei prelievi e costi e oneri amministrativi supplementari.
Le imprese che intendono assumere personale di un altro Stato membro incontrano anche loro delle difficoltà perché le norme in materia di retribuzione, fisco e protezione sociale sono differenti da Stato a Stato. Per quanto riguarda la promozione dei servizi, in certi Paesi c’è il divieto di comunicazione commerciale per certi servizi oppure il tipo di messaggio pubblicitario o il suo argomento subiscono delle limitazioni. Nel momento della vendita dei servizi sorgono delle difficoltà a causa delle diversità tra le norme che disciplinano i contratti, i prezzi, la fatturazione e i pagamenti.
Gli Stati membri tendono ad imporre ai servizi forniti dai prestatori di altri Stati membri quasi tutte le norme applicabili agli operatori stabiliti sul proprio territorio. Essi hanno una scarsa attenzione alle sentenze della Corte di giustizia e sono restii a cambiare la loro legislazione. Sia i fornitori di servizi che i consumatori non conoscono i loro diritti in materia di prestazione e ricevimento dei servizi e la giurisprudenza della Corte di giustizia che afferma che le libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento si oppongono non solo alle misure discriminatorie ma anche a quelle misure non discriminatorie che intralciano l’esercizio delle attività tra gli Stati membri. Essi mettono raramente in dubbio la proporzionalità di una determinata misura e non sanno che hanno il diritto di ricevere dei servizi.
Qualora i consumatori fossero maggiormente informati sulla qualità, le condizioni e i prezzi dei servizi offerti negli altri Stati membri avrebbero maggior fiducia negli acquisti transfrontalieri. Molte difficoltà nascono dalla mancanza di fiducia di certi Stati nei confronti degli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri. Numerosi Paesi non verificano se la protezione offerta dal Paese d’origine è sufficiente né la proporzionalità della restrizione che impongono ai prestatori. Trattano tali operatori allo stesso regime delle imprese di Paesi terzi con l’idea che essi eludono le norme nazionali e li sottopongono dunque a maggiori controlli. Ciò deriva da una scarsa cooperazione amministrativa o da una carenza d’armonizzazione delle norme nazionali che comporta un’eccessiva disparità tra i livelli di protezione dell’interesse generale garantiti dagli ordinamenti nazionali. Nel caso in cui i livelli di protezione tra i vari Stati membri sono sullo stesso livello la liberalizzazione dei servizi può produrre effetti positivi, ma in caso contrario un’eccessiva liberalizzazione può essere dannosa ed è giusto che gli Stati membri adottino misure restrittive a tutela d’interessi generali.
 
 
La proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno.
 
Il 25 Febbraio 2004 la Commissione europea ha presentato una direttiva relativa ai servizi nel mercato interno che mira ad eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi e alla libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri. La direttiva è chiamata comunemente “Bolkestein” in nome di Frits Bolkestein, il Commissario europeo per il mercato interno che ha curato e sostenuto la direttiva. Essa stabilisce un quadro giuridico generale applicabile, salvo eccezioni, a tutte le attività economiche di servizi. La procedura legislativa utilizzata è quella di codecisione, tramite la quale il Parlamento adotta atti legislativi in unione con il Consiglio.
Per eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento la proposta prevede delle misure di semplificazione amministrativa. Ogni prestatore di servizi deve poter espletare tutte le formalità e le procedure necessarie per poter svolgere la sua attività di servizio presso un solo organismo. Questo è reso possibile grazie alla creazione di sportelli unici. Tali procedure e formalità devono poter essere compiute con facilità anche per via elettronica. Gli Stati membri possono richiedere per l’accesso ad un’attività di servizio un’autorizzazione solo a certe condizioni e i criteri con cui si valutano i rilasci delle autorizzazioni devono seguire determinati principi in modo che le autorità competenti non esercitino tale potere arbitrariamente o discrezionalmente. Le prescrizioni giuridiche che sono chiaramente incompatibili con la libertà di stabilimento a causa del loro carattere discriminatorio sono vietate e gli Stati membri devono eliminarle. Altre misure restrittive sono invece sottoposte a valutazione, sulla base delle condizioni indicate nella direttiva, da parte d’ogni Stato perché anche se producono effetti restrittivi per la libertà di stabilimento possono essere giustificate da motivi d’interesse generale. Il punto essenziale della proposta di direttiva, necessario per eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, è il principio del Paese d’origine.
Esso stabilisce che il prestatore di servizi deve essere sottoposto soltanto alla legge del Paese nel qual è stabilito e gli Stati membri non devono limitare i servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. Lo Stato membro d’origine è l’unico responsabile del controllo dell’attività del prestatore e dei servizi che esso fornisce, anche se li somministra in un altro Stato membro.
Il principio è accompagnato da delle deroghe perché bisogna tener conto delle norme comunitarie esistenti che prevedono l’applicazione ad una determinata prestazione della legislazione del Paese di destinazione32 o seguono approcci specifici rispetto a quelli della presente direttiva. Da un altro punto di vista le deroghe sono necessarie perché per talune attività c’è un’eccessiva divergenza tra le norme dei vari Stati o c’è un livello insufficiente d’integrazione comunitaria.
I destinatari dei servizi hanno il diritto di utilizzare servizi d’altri Stati membri senza che questo sia impedito da misure restrittive del loro Paese ed è inoltre previsto un meccanismo d’assistenza al destinatario, per i soggetti che decidono appunto di richiedere un certo servizio in un altro Stato membro, per fare in modo che ricevano tutte le informazioni necessarie. La proposta di direttiva prende in considerazione anche le cure sanitarie. Per i servizi non ospedalieri i pazienti devono essere rimborsati dal loro Stato membro per le cure sanitarie ricevute altrove nell’Unione europea nel caso in cui tali cure sarebbero state sostenute dal loro sistema di sicurezza sociale se fossero state somministrate sul loro territorio. Nel caso in cui, invece, il paziente chieda cure ospedaliere in un altro Stato membro lo Stato del paziente può chiedere un’autorizzazione preventiva. Questa deve però essere concessa se le cure sono coperte dal sistema di previdenza sociale dello Stato membro del paziente e non possono essere fornite in tale Stato membro entro certi termini.
La proposta disciplina inoltre il distacco dei lavoratori e il distacco di cittadini di Paesi terzi. Quando un prestatore distacca un lavoratore sul territorio di un altro Stato membro per fornire un servizio lo Stato membro di destinazione del lavoratore procede alle verifiche e alle ispezioni necessarie per garantire il rispetto delle condizioni d’occupazione e di lavoro applicabili a norma della direttiva 96/71/CE. La direttiva indica tuttavia una serie d’obblighi che lo Stato membro di distacco non può imporre al prestatore o al lavoratore distaccato.
Nel caso in cui un prestatore distacca un lavoratore, cittadino di un Paese terzo, lo Stato membro di distacco non può imporre al prestatore o al lavoratore distaccato l’obbligo di disporre di un documento d’ingresso o d’uscita, o di un permesso di lavoro o altre condizioni equivalenti. Lo Stato membro d’origine però potrà distaccarlo solo se questi risiede sul suo territorio conformemente alla normativa nazionale ed ha un’occupazione regolare sul territorio. La proposta prevede anche delle misure per promuovere la qualità dei servizi, come la certificazione volontaria delle attività, la creazione di certificati di qualità o la cooperazione fra le camere di commercio e professionali. Essa prevede anche un’assistenza reciproca rafforzata tra le autorità nazionali dei vari Stati membri per garantire un controllo efficace delle attività di servizi in base ad una ripartizione chiara dei ruoli e ad obblighi di cooperazione. Gli Stati membri devono garantire che i controlli sul prestatore di servizi siano esercitati anche qualora il servizio sia fornito in un altro Stato membro. Le autorità competenti dello Stato di destinazione del prestatore possono fare verifiche, ispezioni e indagini su richiesta dello Stato d’origine, ma di propria iniziativa li possono fare solo a certe condizioni. La proposta promuove l’adozione di codici di condotta elaborati dalle parti interessate a livello comunitario. Si prevede inoltre l’armonizzazione delle legislazioni allo scopo di garantire una tutela equivalente dell’interesse generale su questioni essenziali come la tutela dei consumatori.
 
I pareri
 
La proposta di direttiva sui servizi ha creato molte polemiche da più parti. Sono stati contestati, soprattutto, il principio del Paese d’origine e il distacco dei lavoratori. Molte mobilitazioni sociali e sindacali si sono sviluppate in diversi Stati per chiedere una profonda modifica o il ritiro stesso della direttiva. Gli oppositori del principio del Paese d’origine temono una diminuzione delle tutele sociali, dei diritti dei lavoratori e del livello delle retribuzioni.
L’Inghilterra e gli altri Paesi dell’Est sostengono la direttiva e ritengono poco fondati i timori di dumping sociale perché affermano che il diritto del lavoro è quasi tutto escluso dall’ambito della direttiva e perché sostengono che tutti i Paesi dispongono di tutele sociali più che sufficienti. Inoltre affermano che l’aumento dell’occupazione e della produttività legati alla liberalizzazione dei servizi in Europa porteranno ai lavoratori vantaggi notevolmente superiori agli svantaggi. Il Consiglio durante la discussione del 29/11/05 ha sottolineato l’importanza della direttiva per il realizzo del mercato interno dei servizi, ma ha specificato che è necessario precisare le deroghe e le eccezioni alla direttiva. Per quanto riguarda il principio del Paese d’origine ha dichiarato che ci sono opinioni divergenti ed è necessario giungere al giusto equilibrio tra la libera circolazione dei servizi e il perseguimento di legittimi obiettivi d’ordine pubblico. I governi inizialmente si erano espressi positivamente con richieste leggere di deroga invece poi alcuni si sono schierati fortemente a favore o contro. Il 22 marzo 2005 i capi di Stato e di governo hanno raggiunto l’accordo di modificare la direttiva mantenendo l’obiettivo della liberalizzazione del mercato ma salvaguardando il modello sociale europeo.
La Francia, con il presidente Chirac, ha definito la direttiva inaccettabile e ha ufficialmente domandato una revisione profonda della stessa. Il Lussemburgo ha dichiarato d’essere favorevole alla liberalizzazione ma non al dumping sociale, e dunque non accetta il testo nella sua versione attuale.
La Germania e il Belgio si sono anche loro posizionate contro la proposta. La Svezia ha chiesto ufficialmente il ritiro della direttiva affermando che ci sono parti che si possono utilizzare, ma sono eccessive le controversie che si porta dietro. Il premier slovacco ha dichiarato invece che sta dalla parte della liberalizzazione e non del protezionismo. Con lui ci sono tutti i paesi dell’Europa dell’est, Gran Bretagna e Olanda. Gli altri Paesi sono in posizione mediana.
Il presidente della Commissione, Josè Barroso, si è dichiarato aperto al dialogo per trovare un consenso per la nascita di un mercato integrato dei servizi senza livellarne verso il basso gli standard sociali. Molti ritengono essenziali due modifiche al testo: l’esenzione dei servizi pubblici e l’applicazione limitata del principio del Paese d’origine. Visti i profondi divari oggi esistenti tra Est e Ovest europeo, c’è chi teme il dumping sociale e dunque il declino del modello europeo. Chi è favorevole alla direttiva sostiene invece che essa porterà un calo dei prezzi a tutti i consumatori e più crescita e occupazione. Il timore che la scarsa protezione sociale dei nuovi Stati membri erodesse le tutele dei vecchi Stati membri è stato rappresentato in Francia dallo “spauracchio dell’Idraulico polacco”. La paura, cioè, di un’invasione di manodopera a basso costo proveniente dai Paesi dell’Est europeo, mentre all’interno degli Stati c’è un’elevata disoccupazione interna. Il commissario europeo al mercato interno Bolkestein quando aveva presentato la sua famosa direttiva aveva suggerito come la liberalizzazione dei fornitori di servizi avrebbe supplito alla mancanza di manodopera in Paesi come la Francia dove secondo Bolkestein non si trova mai un idraulico disponibile. L’attenzione è poi ricaduta sulla Polonia, lo Stato più popoloso tra i dieci nuovi Stati membri con una storia di grand’emigrazione alle spalle e la disoccupazione più alta in Europa.
In Francia, dove il tasso di disoccupazione è alto, è sorta la paura che con l’arrivo di manodopera a basso costo i Francesi si sarebbero trovati senza lavoro a causa dell’effetto perverso creato dal dumping sociale. Un fatto concreto si è verificato in Svezia, dove non esiste una legge sul salario minimo, che viene invece concordato dalla libera concertazione tra sindacati e associazioni di datori di lavoro. Per questo motivo una ditta lettone, che aveva vinto un appalto di costruzione nella cittadina di Vaxholm si era ritenuta autorizzata, alla luce della direttiva 96/71/CE, ad applicare il salario lettone.
Alcuni politici contrari alla Costituzione europea hanno usato il dibattito sulla Bolkestein e in particolare lo spauracchio dell’idraulico polacco a sostegno della loro campagna per il “no” alla Costituzione. Il segretario generale della confederazione europea dei sindacati ha sottolineato che non c’è alcun legame tra la Bolkestein e la Costituzione europea, che rappresenta probabilmente il trattato più favorevole all’Europa sociale che l’Europa abbia mai avuto. Antonio Panzeri, della delegazione italiana del partito socialista europeo, ha affermato in una sua relazione sulla Bolkestein che la carta costituzionale può essere un formidabile antidoto contro fenomeni di dumping sociale e fiscale e può determinare nuove prospettive per i cittadini europei. Nonostante ciò il popolo francese il 29 maggio 2005 ha votato “no” alla Costituzione e dopo 3 giorni anche l’Olanda ha votato in modo contrario al progetto costituzionale.
Nella Costituzione non c’era nulla che favorisse “l’idraulico polacco” più di quanto facessero i trattati precedenti. Il problema è che la libera circolazione delle merci e della manodopera è stata sempre vista come una minaccia, soprattutto nei Paesi dove l’economia andava male. Dietro le accuse rivolte alla direttiva di diminuire le protezioni sociali troviamo anche operatori economici che s’illudono di poter approfittare ancora a lungo delle chiusure nazionali. Bisogna tener conto che la direttiva può rilanciare la competitività dell’economia europea e consentire un effettiva integrazione del mercato.
 
 Il Comitato delle Regioni e il Comitato economico e sociale
 
Il Comitato delle Regioni ha accolto con favore la proposta della Commissione, considerando appropriato il richiamo al principio del Paese d’origine. Questo ultimo però, ha sottolineato, è adeguato soltanto quando le norme in materia di salute e di diritti dei consumatori e altri standard di sicurezza sono generalmente confrontabili tra gli Stati membri. Tale principio non deve essere utilizzato per aggirare gli elevati standard nazionali relativi alle qualifiche professionali o alla qualità dei servizi prestati.
Esso ritiene che sia necessario escludere dal campo di applicazione i settori già disciplinati da norme specifiche. Per quanto riguarda il distacco dei lavoratori la proposta di direttiva contiene norme in concorso con la direttiva sul distacco dei lavoratori. L’art 17 della proposta prevede sì una deroga al principio del Paese d’origine in materia di distacco dei lavoratori, ma il divieto di imporre qualsiasi obbligo al lavoratore distaccato riduce tale deroga. Il Comitato si chiede come il Paese d’origine possa essere informato delle eventuali infrazioni commesse dal prestatore nel Paese di destinazione, visto che questo ultimo non può esercitare alcun controllo né imporre sanzioni. Il risultato è che si pregiudicano i controlli e la qualità dei servizi. Il Comitato considera quindi opportuno introdurre norme sugli esami e sui controlli conformi alla direttiva sul distacco.
Per quanto riguarda i servizi d’interesse economico generale ritiene che il loro inserimento nel campo di applicazione della direttiva sui servizi limiterebbe notevolmente l’autonomia di intervento delle autorità nazionali, regionali e locali competenti. Per questo chiede espressamente l’esclusione dei servizi di interesse economico generale e di rivolgere particolare attenzione ai settori della sanità e della sicurezza sociale.
Infine evidenzia che gli enti e le autorità regionali e locali assumeranno una notevole importanza nell’attuazione pratica della direttiva. L’attuazione della direttiva al livello regionale e locale richiederà risorse aggiuntive, in particolare per quanto riguarda la cooperazione transfrontaliera, lo scambio di informazioni per via informatica, la determinazione e il coordinamento dello sportello unico.
Il Comitato chiede in particolare di evitare di gravare gli organi regionali e comunali di eccessive incombenze. Il Comitato economico e sociale ha anch’esso accolto con favore la proposta di direttiva ma ritiene che siano necessari numerosi chiarimenti e modifiche, per far sì che la direttiva possa effettivamente promuovere il mercato interno e dei servizi pur mantenendo un elevato livello di protezione sociale. Il Comitato chiede di definire in modo più chiaro e delimitare con maggiore precisione il campo d’applicazione della proposta di direttiva e le relative deroghe. Esso ritiene che i servizi d’interesse generale devono essere esclusi dal campo d’applicazione della direttiva. Per il Comitato è prematuro applicare il principio del Paese d’origine in maniera generalizzata al settore dei servizi transfrontalieri perché al momento in Europa esiste ancora il rischio di concorrenza fra sistemi e di livellamento verso il basso delle norme di tutela dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente dato che vi sono sistemi giuridici, sanitari e sociali diversi.
Per poter applicare in modo generale il principio del Paese d’origine vanno prima create le condizioni necessarie tramite un’armonizzazione con elevati standard di tutela dei lavoratori, dei consumatori, dell’ambiente e dei singoli settori al fine di realizzare un mercato interno di qualità. Il principio del Paese d’origine va bene quando i servizi possono essere standardizzati come le merci o l’armonizzazione normativa è così elevata da escludere pratiche di dumping sociale, distorsione della concorrenza e diffidenza da parte dei consumatori. In settori particolarmente sensibili un approccio settoriale mediante l’armonizzazione può dare risultati migliori rispetto all’applicazione prematura di un criterio orizzontale come il principio del Paese d’origine.
Ogni singolo settore deve essere valutato insieme alle organizzazioni di tutela dei consumatori e le parti sociali per vedere se è appropriato applicare il principio del Paese d’origine o è necessaria una preventiva armonizzazione. Il fatto inoltre che i controlli sul prestatore di servizi e sui servizi che fornisce ricadano sullo Stato membro d’origine comporta una grave responsabilità e un forte carico di lavoro per quest’ultimo. Attualmente, poi, la cooperazione fra Paese d’origine e Paese ospitante non offre garanzie d’efficacia. Il principio del Paese d’origine può funzionare solo se le autorità nazionali sono ben organizzate a livello regionale e locale. I ritardi dovuti agli ostacoli linguistici e i tempi lunghi richiesti da certe modalità di comunicazione danneggiano i consumatori che dovrebbero invece poter fare valere i propri diritti in caso di cattiva fornitura di servizi in maniera semplice ed efficace.
Per quanto concerne il distacco dei lavoratori il Comitato sostiene che il trattamento dei lavoratori provenienti da altri Stati membri deve essere uguale a quello dei lavoratori del Paese in cui è resa la prestazione. La direttiva sui servizi non deve incidere sui diritti sindacali, sul diritto d’organizzazione e contrattazione collettiva. Il divieto di procedure di controllo, indicato agli articoli 24 e 25 della proposta svuota la deroga dell’art 17 che dice che il principio del Paese d’origine non si applica ai lavoratori distaccati.
Il Comitato si chiede come lo Stato d’origine possa conoscere le violazioni commesse nello Stato di destinazione, il quale non può eseguire controlli né imporre sanzioni. In ogni modo, anche se lo Stato d’origine conoscesse le violazioni ci si chiede come potrebbe intervenire in uno Stato estero nel quale non può esercitare alcuna sovranità. Il Comitato ritiene pertanto che la direttiva debba essere più specifica e precisa sulle modalità di collaborazione tra il Paese d’origine e quello di distacco. Esso insiste sul fatto che non bisogna compromettere le conquiste sociali ottenute e che le parti sociali e la società civile organizzata devono essere consultate ogni qualvolta ciò appare necessario.
Il Comitato ritiene che le restrizioni alla discrezionalità degli Stati membri in materia d’introduzione o di mantenimento dei propri sistemi d’autorizzazione nazionale sono molto severe e ciò può pregiudicare la possibilità degli Stati membri di imporre l’applicazione delle proprie norme nazionali.
La libertà d’intervento di cui dispone lo Stato è essenziale per influire sugli standard di qualità e sicurezza in campo sociale e sanitario. In ultimo avverte che se i prestatori di servizi e i consumatori non saranno pienamente convinti dei vantaggi del mercato unico, il potenziale di crescita del settore dei servizi non potrà essere sfruttato appieno.
 
 La Confederazione europea dei sindacati.
 
La Confederazione europea dei sindacati (CES) è convinta che lo sviluppo del mercato interno deve essere accompagnato da un adeguato rafforzamento della protezione sociale, dei diritti dei lavoratori e delle condizioni sociali, al fine di mantenere la coesione sociale dell’Unione Europea. Essa ritiene che se la direttiva sarà adottata nella sua forma originaria incoraggerà la concorrenza sleale e rimuoverà i diritti e le condizioni attuali di lavoro dei lavoratori invece di creare delle regole di gioco eque tra i fornitori di servizi e alzare il livello delle norme negli Stati membri dell’UE. La direttiva deve perseguire sia un obiettivo economico sia un obiettivo sociale.
Lo sviluppo sociale e quello economico devono essere entrambi perseguiti dalla direttiva e l’obiettivo deve essere quello di armonizzare verso l’alto le condizioni di vita e di lavoro rispettando i sistemi nazionali di relazione del lavoro. Se la dimensione sociale è sotto pressione e il progresso sociale in pericolo si rischia che i cittadini europei non s’interessino più all’Europa. La CES accoglie con favore le misure che mirano a migliorare il funzionamento del mercato interno o la libera circolazione dei servizi nell’interesse dei lavoratori, delle aziende e dei consumatori. La CES non è contraria alla libera circolazione dei servizi, ma al modo con cui la direttiva vuole attuarla. Essa è preoccupata dal principio del Paese d’origine perché comporta un rischio reale di concorrenza abusiva nei settori non armonizzati a livello europeo. Incoraggia i fornitori a spostare le loro sedi negli Stati membri in cui gli obblighi in materia fiscale, ma anche sociale e ambientale sono meno impegnativi.
I fornitori che avranno la loro sede nei Paesi con legislazione più favorevole si potranno spostare in tutta l’Unione Europea e saranno sottomessi solo alle regole del loro Paese d’origine. Lo Stato membro che li accoglie non potrà più applicare le sue norme, concepite per proteggere la qualità dei servizi, la salute e la sicurezza dei lavoratori. Si creerà una concorrenza sleale tra i differenti Paesi perché i fornitori di servizi meno cari saranno inevitabilmente quelli che sono legati a norme e regole meno severe. Ci sarà una pressione sulle autorità dei Paesi dagli standard più elevati perché li abbassino con conseguenze negative per la qualità, l’ambiente e la coesione sociale. La conseguenza imminente è dunque una corsa al ribasso delle tutele sociali. Le imprese dovranno confrontarsi sul loro territorio con fornitori di servizi che applicano regole meno severe per quel che riguarda i diritti e la protezione dei lavoratori. Per conservare la loro posizione sul mercato saranno condotte a diminuire i loro costi e ad applicare norme meno rigorose. La CES chiede inoltre l’esclusione dei servizi d’interesse generale (SIG). Essi dipendono dalle regolamentazioni e dal finanziamento pubblico per poter garantire l’uguaglianza d’accesso e la coesione sociale.
Sono differenti dai servizi commerciali per i quali solo il mercato determina chi li ottiene e a quale prezzo. I SIG sono essenziali per garantire il benessere di tutti i membri della società. Nonostante quanto aveva chiesto il CES la Commissione non ha emanato una direttiva quadro sui servizi d’interesse generale ma la proposta di direttiva li comprende. Senza una definizione chiara dei SIG il progetto di direttiva è prematuro e rischia di ostacolarne il funzionamento nei Paesi in cui essi sono più sviluppati.
La gestione dei servizi pubblici e la fissazione di norme qualitative appropriate sono tra i principali ruoli di un governo. La direttiva non può toccare queste norme qualitative. Il mantenimento delle regole nazionali di stabilimento che esistono attualmente è vitale per garantire la permanenza di servizi pubblici d’alta qualità. La CES ritiene che la direttiva abbia delle ripercussioni nel campo della legislazione sul distacco dei lavoratori. Gli Stati devono poter prendere misure minime per garantire il buon funzionamento del loro mercato del lavoro. Essa propone di escludere completamente i settori del lavoro interinale e del distacco dei lavoratori. Chiede inoltre alla Commissione di migliorare la direttiva sul distacco dei lavoratori 96/71/CE, di adottare un progetto di direttiva sul lavoro interinale e la ratifica della convenzione 181 dell’OIL sulle agenzie del lavoro private. Così si svilupperà un quadro generale di tutela su cui poi si potrà discutere delle future tappe verso la liberalizzazione dei servizi.
Per quanto riguarda il principio del Paese d’origine, nutre dubbi sulla possibilità che il Paese d’origine riesca a controllare e sorvegliare in modo efficace i suoi prestatori di servizi transfrontalieri. La direttiva sul distacco prevede che lo Stato ospite proceda alle verifiche e ispezioni per far applicare le condizioni di lavoro ed adotti eventuali misure contro il prestatore che non le osserva. La proposta di direttiva vieta invece di sottoporre il prestatore o il lavoratore a qualunque autorizzazione. Lo stato di destinazione è privato d’ogni strumento che impedisca o vigili su potenziali abusi. Nel caso in cui il prestatore utilizzi lavoratori di Paesi terzi è sempre il Paese d’origine che svolge i controlli, il Paese ospite non può più imporre alcun controllo preventivo.
Gli Stati membri svolgono un ruolo importante nel garantire attraverso la loro legislazione la qualità dei servizi in termini d’accesso, sicurezza dei contratti, informazione sui prezzi e caratteristiche del servizio offerto. E’ necessario, quindi, non limitare il ruolo degli Stati agli aspetti d’informazione. Il CES evidenzia che la direttiva avrà importanti conseguenze socio-economiche per i datori di lavoro e i lavoratori in diversi settori ed è spiacevole che i loro rappresentanti non siano stati consultati. Essa ritiene necessario preparare una valutazione più approfondita dell’impatto della direttiva e coinvolgere i sindacati nel processo di liberalizzazione del mercato dei servizi.
La Confederazione europea dei sindacati in definitiva non sostiene la direttiva perché rischia di mettere in discussione i contratti collettivi già esistenti oltre che le disposizioni dei codici di lavoro nazionali e porta una maggiore deregolamentazione e insicurezza sociale in nome di un vantaggio ipotetico in termini d’occupazione. Prima di continuare il lavoro su questo progetto, chiede dunque un rafforzamento delle garanzie sociali dei lavoratori e della qualità dei servizi d’interesse generale per i cittadini europei. Essa ritiene inoltre che sia contraria agli art 50 e 2 del Trattato. Il principio del Paese d’origine comporta un livellamento verso il basso delle condizioni di lavoro, quindi non può essere applicato se non viene prima realizzata un’armonizzazione verso l’alto. Tutti i servizi transfrontalieri devono essere regolamentati con le leggi del Paese dove sono forniti. Il Paese d’accoglienza deve poter imporre misure di controllo su tutti i servizi.
Ci deve essere una concorrenza leale e delle regole di gioco eque per le imprese e condizioni di lavoro eque e un trattamento uguale per i lavoratori. Essa chiede una definizione più chiara della direttiva che non interferisca con il diritto del lavoro, le convenzioni collettive e le relazioni industriali degli Stati membri. I Sindacati dei nuovi Stati membri dell’UE in Europa centrale e orientale sono ugualmente contrari a questo progetto nella sua proposizione iniziale perché la direttiva non migliorerà né i salari e le condizioni di lavoro in quei Paesi e né permetterà di raggiungere i livelli medi dell’UE.
 
I partiti europei e l’Ocde.
 
Il Partito Popolare Europeo sostiene che la direttiva sui servizi è importante per l’unificazione del mercato interno e che molti dei problemi di competitività dell’Europa dipendono dalla frammentazione del mercato interno, infatti l’Europa è più competitiva nei settori in cui agisce come un mercato unico. La direttiva copre forse troppi settori, ma il suo principale problema è che è stata eccessivamente politicizzata.
Il Partito Liberale ritiene che la direttiva Bolkestein è importantissima per l’Unione europea e per la sua competitività ed occorre mandarla avanti col sostegno dei cittadini. Molti aspetti che vengono criticati alla direttiva sui servizi in realtà sono regolamentati da altre direttive, come quelle sull’attività professionale o sulla salute. La direttiva porterà l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento al settore dei servizi. Ad ogni fornitore di servizi verrà poi assegnato un PIN riconosciuto da tutti che permetterà di controllare la corretta applicazione della direttiva ed evitarne gli abusi.
Per i Verdi il principale problema della direttiva è la valutazione del suo impatto sociale visto che la sanità e i servizi sociali potrebbero risentirne. Il principio del Paese d’origine non darà un quadro legale chiaro ai fornitori di servizi. Potrebbe essere difficile per un’impresa, un cittadino o un consumatore reclamare i suoi diritti nei confronti di un prestatore di servizi straniero che è soggetto ad una legislazione diversa. Il Partito Socialista europeo sostiene che l’unificazione del mercato interno è un obiettivo importante, ma non bisogna perdere di vista l’obiettivo altrettanto importante della coesione sociale dell’Europa. Bisognava distinguere chiaramente tra i servizi commerciali e quelli di pubblico interesse.
Una direttiva sui servizi dovrebbe partire dall’individuazione di un livello minimo comune dal punto di vista sociale, ambientale, di trasparenza e di protezione del consumatore. Già allo stato attuale la proposta di direttiva è difficile e presenta numerose eccezioni, questo è un segnale che non è stata progettata bene. La delegazione italiana del Partito Socialista Europeo ritiene che è necessario eliminare le barriere alla libera circolazione dei servizi ed è favorevole alle misure che puntano a migliorare il funzionamento del mercato interno. Dato che nella proposta ci sono tuttavia tutta una serie d’interventi che non vanno nell’interesse dei consumatori, delle aziende e dei lavoratori chiede una profonda revisione della direttiva.
Il principio del Paese d’origine, per esempio, presuppone una fiducia reciproca tra gli Stati che in questo momento non c’è. E’necessaria un’ulteriore armonizzazione a livello europeo per stabilire norme minime sulla qualità, sulla protezione dell’ordine pubblico e sulle esigenze di formazione professionale e di qualifica delle professioni e bisogna sorvegliare tali norme minime ed assicurare un controllo rapido ed efficiente. Altrimenti si rischia che i servizi nazionali d’ispezione dello Stato membro ospite siano messi da parte dal principio del Paese d’origine.
Essa critica il fatto che le regioni siano state completamente trascurate nella proposta e puntualizza che la partecipazione delle regioni al processo di costruzione europea è essenziale. In definitiva chiede l’adozione di uno strumento comunitario più equilibrato che sia utile al mercato interno e nello stesso tempo difenda i diritti dei lavoratori. Esso deve rispettare inoltre le competenze degli Stati membri in settori quali la sanità, la sicurezza sociale e la cultura non mettendo in pericolo la pubblica sicurezza, l’applicazione delle condizioni di lavoro e le norme di tutela dei consumatori all’interno dell’UE.
L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCDE) ha affermato che il progetto di direttiva sui servizi è un aiuto prezioso per creare un mercato unico dei servizi. I cittadini dell’UE ne deriveranno una forte crescita economica e dei guadagni di benessere grazie alla convergenza dei prezzi verso i livelli dei Paesi che hanno le migliori performance. Essa ritiene che tutti gli ammorbidimenti della direttiva ne ridurranno i vantaggi e devono essere evitati.
 
La CGIL, Confindustria italiana e la rete Attac
 
La Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) contesta prima di tutto il fatto che la direttiva, nonostante riguardasse problematiche sociali e culturali dell’Unione, è stata portata avanti senza la consultazione di nemmeno un sindacato. Essa afferma che leggendo la direttiva si vede chiaramente come viene tolto il potere decisionale dei singoli Stati in materia di servizi.
Tutte quelle leggi nazionali volte a proteggere i diritti e la sicurezza dei lavoratori, la qualità e l’accesso libero ai servizi d’interesse generale saranno rimosse se saranno giudicate discriminanti nei confronti dell’entrata nel mercato di prestatori di servizi stranieri. Il principio del Paese d’origine rappresenta un grave pericolo per l’Europa, che si è recentemente allargata a paesi le cui sicurezze sociali e i diritti dei lavoro sono quelli dello “Stato minimo”. Rinunciando ad una preventiva armonizzazione delle leggi si va a scapito dei cittadini dei Paesi dove lo Stato è già meno presente in materia di sicurezza sociale. L’istruzione viene inclusa nella direttiva e viene così attaccato il diritto allo studio inteso come diritto inalienabile della persona di accedere ad un’istruzione di qualità indipendentemente dalle condizioni economiche. Anche i settori dei trasporti, della cultura e della comunicazione verranno liberalizzati senza alcuna garanzia sulla qualità e sulla libertà d’accesso.
In questa direttiva viene considerata una priorità la creazione di un libero mercato dei servizi per acquisire competitività sul piano mondiale. Essa si schiera a favore del profitto delle grandi imprese a scapito delle differenze culturali. Non favorisce la circolazione delle conoscenze, incrementa le differenze economiche fra strati della popolazione e fra diversi Paesi. Prima di qualsiasi liberalizzazione è necessario stabilire una base comune a tutti gli Stati membri composta di regole ferree in materia di diritti e sicurezza sociale. L’associazione chiede un intervento dell’Obessu per difendere la scuola e l’educazione dagli effetti della Bolkestein e si schiera contro la direttiva insieme agli altri movimenti sociali. La Confindustria italiana63 ha puntualizzato che l’art. 24 comma 1 lettera a della proposta di direttiva confligge con la nostra disciplina di recepimento della direttiva sul distacco dei lavoratori. La nostra legislazione prevede che in presenza di talune circostanze, le agenzie di lavoro interinale, stabilite in un altro Stato dell’UE e che forniscono il proprio servizio in Italia, siano preventivamente autorizzate secondo le regole nazionali. L’art. 24 comma 1 dispone che l’autorizzazione imposta dalle leggi nazionali non è richiesta alle agenzie per il lavoro straniere che dimostrino di operare in forza di un provvedimento amministrativo equivalente. Confindustria auspica l’eliminazione di tale divieto perché l’autorizzazione non rappresenta un ostacolo alla libera circolazione dei servizi, ma è diretta ad offrire garanzie minime di tutela ai lavoratori distaccati dal prestatore di servizi. Ritiene che aldilà delle indicazioni contenute nell’art. 17 non vi sia necessità di individuare ulteriori norme in materia di distacco dei lavoratori perché c’è già la direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori.
Un altro problema evidenziato riguarda i controlli. In caso di distacco dei lavoratori lo Stato membro d’origine deve provvedere affinché il prestatore di servizi comunichi tutta una serie d’informazioni alle sue autorità competenti e allo Stato membro di distacco. Non c’è una garanzia circa il buon esito del meccanismo di controllo date le difficoltà di comunicazione a causa delle differenze linguistiche e la carente conoscenza da parte dello Stato d’origine della normativa applicabile nello Stato di distacco. Essa rileva anche che la proposta non contiene sufficienti definizioni in materia di distacco e che ciò può creare dubbi sull’ambito d’applicazione della parte di direttiva relativa al distacco dei lavoratori. Suggerisce dunque di inserire all’art 4 della proposta alcune definizioni fornite dalla direttiva 96/71/CE.
La rete europea di Attac64 ha evidenziato che la direttiva Bolkestein è uno degli obiettivi di mobilitazione contenuti nell’appello dei movimenti sociali uscito dal Forum Sociale Europeo di Londra in cui si è proposto il lancio di una campagna continentale per il ritiro completo e immediato della stessa. La direttiva si propone di imporre ai 25 Stati membri dell’Unione Europea le regole della concorrenza commerciale, senza alcun limite, in tutte le attività di servizi.
Attac ritiene che l’Europa vuole stabilire rapidamente un vero mercato interno dei servizi per poter assicurare la competitività delle imprese europee e rafforzare la sua posizione all’interno del GATS65. Essendo una direttiva orizzontale si applica ad ogni settore dell’attività economica che può essere privatizzato. Si prefigge inoltre di eliminare gran parte delle disposizioni prese dai poteri pubblici per la migliore prestazione del servizio.
Con il principio del paese d’origine l’Europa rinuncia alla pratica dell’armonizzazione delle normative dei singoli Stati. Dato che sono entrati in Europa Paesi le cui legislazioni fiscali, sociali e ambientali sono quelle proprie dello stato minimo se si abbandona la via dell’armonizzazione si prepara un vero e proprio dumping sociale. C’è un vero e proprio incitamento a spostare le imprese verso i Paesi a più debole protezione sociale e del lavoro. Il principio del paese d’origine consente di destrutturate e smantellare il mercato del lavoro nei Paesi in cui è organizzato e protetto. Un’impresa polacca che distacca lavoratori polacchi in Francia non dovrà più chiedere l’autorizzazione alle autorità francesi se l’ha già ottenuta dalle autorità polacche e a quei lavoratori si applicherà soltanto la legislazione polacca. Le agenzie interinali potranno distaccare lavoratori interinali negli altri Stati membri senza la minima restrizione e alle condizioni salariali del Paese d’origine. La Bolkestein porta un’apertura alla concorrenza e alla privatizzazione di quasi tutte le attività di servizio, una deregolamentazione totale dell’erogazione dei servizi con drastica riduzione della possibilità di intervento degli enti locali e delle organizzazioni sindacali dunque l’associazione si schiera fortemente per il ritiro.
 
Gli emendamenti approvati dal Parlamento Europeo.
 
Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza66, in prima lettura, la sua relazione sulla direttiva riguardante i servizi nel mercato interno. L’obiettivo della direttiva è sempre quello di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, ma allo stesso tempo è necessario mantenere un equilibrio tra apertura dei mercati, servizi pubblici nonché diritti sociali e dei consumatori. Il Parlamento europeo ha emendato l’articolo 1 della proposta, che ora afferma: “La direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori di servizi nonché la libera circolazione dei servizi assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi”.
Per definire il campo d’applicazione della direttiva ci sono state 61 proposte d’emendamenti e il risultato è stato una riduzione del suo campo d’applicazione con numerose esclusioni. Il risultato del voto ha modificato profondamente la proposta originaria della Commissione ed è un mix tra quanto proposto dalla Commissione per il mercato interno e il compromesso tra i popolari e socialisti, più ulteriori esenzioni proposte singolarmente dagli stessi gruppi politici.
Il Parlamento ha precisato che la direttiva non riguarda la liberalizzazione dei servizi d’interesse economico generale né la privatizzazione d’enti pubblici che prestano tali servizi. Essa non concerne i servizi pubblici sanitari e l’accesso al finanziamento pubblico da parte dei prestatori di cure sanitarie. La direttiva non incide inoltre sulle norme penali degli Stati membri né sui servizi che perseguono un obiettivo nel settore dell’assistenza sociale. Questi ultimi concretizzano i principi di coesione sociale e di solidarietà, infatti sono destinati ad assistere le persone povere e spesso non hanno uno scopo di lucro e i benefici che comportano possono non avere un carattere economico. La direttiva non interferisce con la legislazione del lavoro e non incide sulla normativa nazionale in materia di sicurezza sociale.
I socialisti avevano proposto un emendamento per escludere dal campo d’applicazione sia i servizi d’interesse generale sia i servizi d’interesse economico generale ma non è stato accolto. Il Parlamento ha stabilito che la direttiva non si applica ai servizi d’interesse generale che sono prestati e definiti dagli Stati membri per tutelare il pubblico interesse. Questi ultimi non rientrano nella definizione dell’articolo 50 del Trattato e quindi sono esclusi dal campo d’applicazione della direttiva. Le disposizioni della direttiva si applicano solo nella misura in cui le attività in questione sono aperte alla concorrenza e non obbligano gli Stati membri a liberalizzare i servizi d’interesse generale, a privatizzare gli enti pubblici esistenti o ad abolire i monopoli esistenti. La direttiva riguarda i servizi d’interesse economico generale, ovvero i servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza. Gli Stati membri mantengono la libertà di definire quelli che considerano servizi d’interesse economico generale e di determinare le modalità d’organizzazione e di finanziamento di tali servizi.
Sono esclusi inoltre dal campo d’applicazione: i servizi di natura bancaria, creditizia, assicurativa, i servizi pensionistici professionali o individuali, d’investimento o di pagamento70; i servizi e le reti di comunicazione elettronica; i servizi di trasporto; i servizi portuali; i servizi giuridici già disciplinati da altri strumenti comunitari; i servizi medico-sanitari; i servizi sociali come l’edilizia, l’assistenza ai figli e i servizi alla famiglia71; i servizi audiovisivi72, le agenzie di lavoro interinale e i servizi di sicurezza73, le attività di gioco d’azzardo; le professioni e le attività associate all’esercizio dei pubblici poteri in uno Stato membro; il settore fiscale.
Le attività sportive senza scopo di lucro sono state anch’esse escluse dal campo d’applicazione perché perseguono spesso finalità esclusivamente sociali o ricreative e sono di notevole importanza sociale. I giochi con denaro sono esclusi dal campo d’applicazione perché comportano da parte degli Stati membri l’attuazione di politiche d’ordine pubblico e di tutela dei consumatori. Gli Stati membri devono esaminare in modo approfondito le motivazioni d’interesse generale che possono giustificare deroghe alla libera prestazione di servizi o alla libertà di stabilimento. Esistono notevoli divergenze in materia di prelievi sui giochi con denaro e sarebbe impossibile attuare una concorrenza transfrontaliera leale tra operatori dell’industria del gioco senza trattare preventivamente le questioni di coerenza della fiscalità tra gli Stati membri.
Il Parlamento ha confermato la cancellazione del principio del Paese d’origine. Gli Stati membri devono rispettare il diritto dei prestatori di servizi di operare in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno sede. Lo Stato membro di destinazione deve assicurare il libero accesso ad un’attività di servizio e il libero esercizio sul territorio. Esso inoltre non deve ostacolare la prestazione di servizi imponendo requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati. Lo Stato membro in cui è prestato un servizio può imporre al prestatore dei requisiti giustificati da motivi di politica pubblica, di politica di sicurezza, di protezione dell’ambiente e di salute pubblica. Per quanto riguarda le deroghe al principio generale il Parlamento ha modificato le deroghe generali e ha soppresso quelle transitorie. Esso ha precisato che le disposizioni in materia di libera circolazione dei servizi non si applicano: ai servizi d’interesse economico generale forniti in un altro Stato membro; alla disciplina sul distacco dei lavoratori; alle attività di recupero dei crediti; al controllo legale dei conti, alle spedizioni di rifiuti, alle disposizioni della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali76, a tutte le disposizioni di diritto internazionale privato, in particolare quelle relative al trattamento dei rapporti obbligatori contrattuali ed extracontrattuali.
A differenza di quanto proposto dalla Commissione, che prevedeva l’esclusiva responsabilità dello Stato membro d’origine nel controllo dell’attività e dei servizi offerti dal prestatore, il Parlamento ha previsto che lo Stato membro di destinazione ha la facoltà di adottare delle misure di controllo nei confronti del prestatore. Esso può adottare tutte le misure necessarie per far sì che il prestatore si conformi al proprio diritto nazionale. Lo Stato membro può procedere a verifiche, ispezioni e indagini necessarie per controllare il servizio prestato, comprese quelle richieste dallo Stato membro di primo stabilimento. Se lo Stato membro di destinazione constata che il prestatore di servizi non ha rispettato i propri obblighi esso può obbligarlo a depositare una cauzione oppure applicargli misure intermedie.
In caso di conflitto tra le disposizioni della direttiva e le altre normative comunitarie che disciplinano aspetti specifici dell’accesso all’attività di un servizio e del suo esercizio in settori specifici prevalgono e si applicano a tali settori le pertinenti normative comunitarie. Il Parlamento ha cancellato le disposizioni specifiche in materia di distacco dei lavoratori. La direttiva non riguarda le condizioni di lavoro e d’occupazione che si applicano ai lavoratori distaccati per prestare un servizio nel territorio di un altro Stato membro. I prestatori di servizi devono conformarsi alle condizioni d’occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornito il servizio. Ciò non riguarda solo le condizioni d’occupazione stabilite per legge, ma anche quelle stabilite in contratti collettivi o sentenze arbitrali.
L’articolo 24 non permette agli Stati membri di sottoporre i prestatori ad obblighi che sono essenziali per i loro servizi ispettivi. Le disposizioni sul diritto del lavoro possono essere efficacemente attuate solo negli Stati membri in cui viene svolto il lavoro e dunque la proposta originaria riduceva l’efficacia delle ispezioni sul lavoro. L’articolo 23 sull’assunzione degli oneri finanziari delle cure sanitarie è stato soppresso, perché la direttiva una volta modificata non riguarderà più i servizi sanitari
Per quanto riguarda la semplificazione amministrativa è rilevante che sia stato chiesto agli Stati membri d’intesa con la Commissione di introdurre moduli europei armonizzati equivalenti ai certificati, agli attestati e ad altri documenti in materia di stabilimento che sanciscono il rispetto di un requisito nello Stato membro di destinazione. Dopo 3 anni dall’entrata in vigore della direttiva gli Stati membri dovranno istituire lo sportello unico e la Commissione coordinerà tali sportelli attraverso uno sportello europeo.
Gli Stati membri possono prevedere un regime d’autorizzazione per l’accesso ad un’attività se ciò non comporta una discriminazione nei confronti del prestatore, se l’obiettivo non può essere realizzato tramite una misura meno restrittiva e se la sua necessità è giustificata da motivi imperativi d’interesse Generale. L’Unione delle Confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro (UNICE) ritiene che il voto del Parlamento europeo abbia in sostanza privato la direttiva della capacità di creare crescita e nuovi posti di lavoro in Europa e abbia limitato i principi precedentemente introdotti per facilitare la circolazione transfrontaliera dei servizi.
Intesa Consumatori, una federazione delle quattro maggiori associazioni di consumatori italiane, ritiene che i servizi bancari, assicurativi, postali, del gas, dell’energia e dei trasporti abbiano bisogno di una forte competizione per stabilizzare in basso le tariffe ed alzare la qualità dei servizi erogati all’utenza ma sono stati esclusi dal campo di applicazione della direttiva. Essa sostiene che tali servizi vengono spesso forniti in regime di monopolio e con prestazioni qualitative non soddisfacenti. Dall’altra parte, invece, la Federazione Sindacale Europea dei Servizi Pubblici considera l’esito della votazione un “risultato significativo”, ma ritiene che sia necessario escludere tutti i servizi pubblici dal campo di applicazione della direttiva.
Il Parlamento europeo ha dimostrato di essere in grado di assumere completamente il suo ruolo democratico in Europa, ma l’eliminazione dell’elemento essenziale della proposta originaria, cioè il principio del Paese d’origine, ha ridotto l’impatto della direttiva sullo sviluppo del mercato interno praticamente a zero.
 
 
 
 
Il nuovo testo della direttiva (2006/123/CE del 12 dicembre 2006)
 
Il 13 marzo 2006 il Consiglio Competitività ha discusso sugli emendamenti approvati dal Parlamento Europeo. Una serie di Paesi ha chiesto alla Commissione di correggere il compromesso raggiunto dal Parlamento europeo sulla direttiva sui servizi nel senso di una maggiore liberalizzazione.
Tra i Paesi favorevoli a una maggiore apertura del mercato europeo dei servizi ci sono Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Italia, Irlanda, Finlandia, Lussemburgo e i nuovi Paesi entrati nell’UE. La Francia e la Germania appoggiano invece il compromesso raggiunto in Parlamento. I punti più discussi sono stati il principio del Paese d’origine, i lavoratori in distacco e le agenzie di lavoro interinale. I nuovi Stati chiedono in particolare di reintegrare il principio del Paese d’origine e di rimettere nella direttiva i lavoratori in distacco. Il 4 aprile 2006 la Commissione Europea ha adottato una proposta modificata di direttiva riguardante i servizi nel mercato interno che si basa sul lavoro del Parlamento e sui dibattiti svolti in sede di Consiglio.
Il commissario per il mercato interno e dei servizi, Charlie McCreevy, ha dichiarato che la direttiva condurrà ad una maggiore integrazione del mercato interno dei servizi e favorirà la crescita e l’occupazione nell’UE. Le imprese potranno stabilirsi e offrire servizi liberamente e i consumatori avranno più scelta e prezzi più bassi. I fornitori di servizi saranno adeguatamente sorvegliati grazie a disposizioni di cooperazione tra le autorità nazionali e le condizioni lavorative non saranno pregiudicate. La proposta modificata incorpora gran parte degli emendamenti proposti dal Parlamento europeo in prima lettura e parecchi chiarimenti risultanti dalle discussioni del Consiglio.
Il campo di applicazione della direttiva, confrontato con la proposta originaria presentata dalla Commissione, è notevolmente ridotto. La Commissione ha accettato l’esclusione dei servizi d’interesse generale approvata dal Parlamento, ma ha precisato che salva l’esplicita esclusione di alcuni settori specifici86 i servizi d’interesse economico generale rientrano nel campo di applicazione della direttiva perché tali servizi sono di natura economica. Al comma 2 dell’articolo 1 viene ribadito che la direttiva non riguarda la liberalizzazione dei servizi d’interesse economico generale riservati a enti pubblico o privati, né la privatizzazione di enti pubblici che forniscono tali servizi. Essa non concerne inoltre l’abolizione di monopoli che forniscono servizi, gli aiuti di Stato e il finanziamento di tali servizi.
La Commissione ha accettato l’esclusione dei servizi sanitari e dei servizi sociali, ma per questi ultimi ha specificato che l’esclusione riguarda solo i servizi connessi con gli alloggi, la custodia dei bambini e l’aiuto alle famiglie ed alle persone bisognose. I servizi delle agenzie di lavoro interinale e i servizi privati di sicurezza sono anche loro esclusi ma la Commissione ritiene che l’esigenza di una completa armonizzazione nei due settori non è stata dimostrata.
La Commissione non ha accettato l’esclusione dei servizi giuridici presentata dal Parlamento perché ritiene che non sia necessaria visto che in caso di conflitto tra la direttiva sui servizi e un altro strumento comunitario che disciplina aspetti specifici dell’attività di servizi è quest’ultimo che prevale. I servizi audiovisivi e i giochi di azzardo sono stati esclusi come aveva chiesto il Parlamento. Per quanto riguarda le attività che partecipano ai pubblici poteri nell’articolo 2 comma 2 c septies è affermato che sono escluse “ le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri di cui all’articolo 45 del Trattato”.
Tali attività devo partecipare in modo diretto e specifico all’esercizio dell’autorità pubblica. La Commissione ha precisato che la deroga non riguarda intere professioni in quanto tali e che non vieta l’applicazione dell’articolo 45 all’attività di notaio, mentre il Parlamento europeo aveva inserito tra le attività escluse quelle che “permanentemente o temporaneamente partecipavano all’esercizio dei pubblici poteri, in particolare la professione di notaio”.
E’ confermata l’esclusione dei servizi finanziari, di comunicazione elettronica, di trasporto e del settore fiscale. La direttiva non compromette la legislazione sul lavoro. Il comma 7 dell’articolo 1 afferma che “la direttiva non reca pregiudizio all’esercizio dei diritti fondamentali quali riconosciuti dagli Stati membri e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, incluso il diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi e di intraprendere un’azione sindacale”.
Essa non interferisce inoltre con le disposizioni di diritto penale, tuttavia la Commissione ha precisato che gli Stati membri non devono aggirare le norme stabilite nella direttiva e limitare la libertà di fornire servizi applicando disposizioni di diritto penale che riguardano specificatamente l’accesso ad un’attività di servizi o l’esercizio della stessa.
All’articolo 4 sono inserite le definizioni di “motivi imperativi d’interesse generale” e di “stabilimento”. Quest’ultimo è l’esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo 43 del Trattato a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi. La definizione “Stato membro d’origine” è stata rinominata “Stato membro di stabilimento” dato che il principio del Paese d’origine è stato soppresso.
La Commissione non ha accolto poi la definizione di “lavoratore” presentata dal Parlamento europeo perché l’ha ritenuta superflua rispetto al campo di applicazione. L’articolo 5 afferma che gli Stati membri esaminano e all’occorrenza semplificano le procedure e le formalità relative all’accesso ad un’attività di servizi ed al suo esercizio. La Commissione inoltre può stabilire formulari armonizzati a livello europeo che sono equivalenti ai certificati, agli attestati e a tutti gli altri documenti richiesti ai prestatori di servizi.
Gli Stati membri che chiedono ad un prestatore o ad un destinatario di fornire un documento comprovante il rispetto di un particolare requisito accettano i documenti rilasciati da un altro Stato membro che abbiano finalità equivalenti. Essi possono richiedere documenti originali o traduzioni autenticate solo se è giustificato da motivi imperativi d’interesse generale. Per quanto riguarda gli sportelli unici la Commissione afferma come il Parlamento che essi dovranno essere istituti entro 3 anni dall’entrata in vigore della direttiva e sottolinea che l’istituzione di tali sportelli non pregiudica la ripartizione di funzioni e competenze tra le autorità all’interno dei sistemi nazionali. Essa ritiene però che lo sportello unico europeo rappresenta una struttura amministrativa superflua ed è incompatibile con il principio di sussidiarietà per questo non l’ha previsto nella proposta modificata. Inoltre la registrazione proforma presso lo sportello unico prevista dal Parlamento non è accettata perché sarebbe una formalità amministrativa superflua.
Gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio ed il suo esercizio ad un regime di autorizzazione, che deve essere però non discriminatorio, giustificato da un motivo imperativo d’interesse generale e l’obiettivo perseguito non deve poter essere conseguito tramite una misura meno restrittiva. Il Parlamento aveva eliminato l’obbligo di valutazione e di relazione dei regimi di autorizzazione ma la Commissione ha nuovamente inserito il 2 comma dell’articolo 9 perché è una misura essenziale per agevolare l’accesso alle attività di servizi ed il loro esercizio. Essa però ha precisato che l’obbligo di presentare una relazione riguarda solo l’esistenza di regimi d’autorizzazione e non i criteri e le condizioni di rilascio dell’autorizzazione. Nella proposta modificata, a differenza di ciò che aveva indicato il Parlamento, è precisato che anche le decisioni delle autorità competenti recanti concessioni di un’autorizzazione devono essere motivate altrimenti si rende il controllo giurisdizionale di una decisione amministrativa meno efficace o praticamente impossibile soprattutto per i terzi.
Il comma 4 dell’art 13 precisa che in mancanza di risposta da parte delle autorità l’autorizzazione si considera rilasciata. Il Parlamento aveva soppresso con un emendamento tale regola, ma la Commissione ha ritenuto che essa è essenziale per facilitare la libertà di stabilimento. La Commissione ritiene comunque che possa essere previsto un regime diverso per alcune attività qualora sia obiettivamente giustificato da motivi imperativi d’interesse generale.
Al comma 5 dello stesso articolo è affermato che ogni domanda di autorizzazione deve essere oggetto di una ricevuta di ritorno, perché altrimenti si renderebbe più gravosa la procedura e più difficile il controllo giurisdizionale. Alla disciplina sul principio del Paese d’origine è stata sostituita quella della libera prestazione dei servizi. L’art 16, libera prestazione di servizi, afferma che “gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di servizi di fornire un servizio in un altro Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti”. Esso dice inoltre che lo Stato membro in cui viene prestato il servizio assicura il libero accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima. Esso può imporre dei requisiti per l’accesso e l’esercizio all’attività di servizio, ma essi devono rispettare i principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità.
Al comma 2 sono inseriti una serie di requisiti che gli Stati membri non possono imporre al prestatore di servizi, come ad esempio l’obbligo di essere stabilito sul loro territorio, o l’obbligo per il prestatore di essere in possesso di un documento di identità specifico per l’esercizio di una certa attività rilasciato dalle loro autorità competenti.
Il comma 3 prevede però che lo Stato membro in cui il prestatore di servizi si trasferisce può imporre requisiti in materia di fornitura di un’attività di servizi giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente. Ad esso non può essere inoltre impedito di applicare le proprie norme in materia di condizioni dell’occupazione, comprese le norme che figurano negli accordi collettivi. La Commissione ha sottolineato che lo Stato membro conserva il diritto di adottare misure atte ad impedire ai prestatori di servizi di trarre profitto abusivamente dai principi del mercato interno. Essa inoltre ha affermato che è necessario che i prestatori possano prendere con sé le attrezzature che sono parte integrante della prestazione del loro servizio, quando si spostano per prestare servizi in un altro Stato membro.
L’articolo 17 indica le deroghe alla libera prestazione dei servizi. L’articolo 16 non si applica in primo luogo ai servizi d’interesse economico generale forniti in un altro Stato membro, in particolare ai servizi postali, ai servizi di distribuzione d’acqua, gas ed elettricità, ai servizi di distribuzione e fornitura idriche e al trattamento dei rifiuti. Anche le attività degli avvocati e dei notai sono inserite nelle deroghe alla libera prestazione dei servizi.
L’articolo 19, deroga per casi individuali, afferma che in deroga all’articolo 16gli Stati membri possono prendere nei confronti di un prestatore stabilito in un altro Stato membro misure relative alla sicurezza dei servizi nel rispetto del principio di mutua assistenza. Al destinatario dei servizi non devono essere imposti requisiti discriminatori fondati sulla nazionalità o sul luogo di residenza. I destinatari devono poter ottenere attraverso gli sportelli unici informazioni sui requisiti applicati negli altri Stati membri in materia d’accesso alle attività di servizi e al loro esercizio, informazioni generali sui mezzi di ricorso esperibili in caso di controversia tra un prestatore e un destinatario e i dati delle associazioni od organizzazioni presso le quali possono ottenere assistenza pratica. Le informazioni devono essere accessibili a distanza anche per via elettronica e tenute aggiornate.
L’articolo 23 sugli oneri finanziari delle cure sanitarie è stato eliminato in quanto i servizi sanitari sono esclusi dal campo d’applicazione della direttiva e la Commissione si è impegnata a proporre un’iniziativa distinta. Gli articoli 24 e 25 in materia di distacco dei lavoratori previsti nella proposta originaria sono stati soppressi. Gli Stati membri si prestano assistenza reciproca e instaurano forme di collaborazione per garantire il controllo dei prestatori e dei loro servizi. Le richieste d’informazioni e le richieste di effettuare verifiche, ispezioni e indagini devono essere motivate. Lo Stato membro deve fornire le informazioni sui prestatori di servizi stabiliti sul suo territorio richieste dall’altro Stato membro in cui i prestatori forniscono i servizi. Esso deve inoltre procedere alle verifiche, ispezioni e indagini richieste da un altro Stato membro e informare quest’ultimo dei risultati e degli eventuali provvedimenti presi.
Lo Stato membro in cui è prestato il servizio è responsabile del controllo sull’attività del prestatore di servizi sul suo territorio per quanto riguarda i requisiti nazionali che possono essere imposti in base all’articolo 16. Esso adotta tutte le misure necessarie al fine di garantire che il prestatore si conformi a tali requisiti per quanto riguarda l’accesso ad un’attività di servizi sul proprio territorio e il suo esercizio e procede alle verifiche, ispezioni e indagini necessarie per controllare il servizio prestato. Le autorità competenti dello Stato membro in cui è prestato il servizio possono procedere a verifiche, ispezioni e indagini sul posto su richiesta dello Stato membro di stabilimento, ma anche di loro iniziativa purché non siano discriminatorie, non siano motivate dal fatto che il prestatore è stabilito in un altro Stato membro e siano proporzionate.
L’articolo 37 inserisce un meccanismo di allerta: Qualora uno Stato membro venga a conoscenza di circostanze o fatti precisi e gravi riguardanti un’attività di servizi che potrebbero pregiudicare la salute o la sicurezza delle persone o dell’ambiente deve informare al più presto lo Stato membro di stabilimento, gli altri Stati membri interessati e la Commissione. Per facilitare le comunicazioni tra gli Stati membri è prevista l’istituzione di un sistema elettronico per lo scambio d’informazioni. La Commissione esamina entro l’anno successivo alla data di recepimento della direttiva la possibilità di presentare proposte di misure d’armonizzazione per i servizi privati di sicurezza e trasporto di denaro contante e valori e l’accesso alle attività di recupero giudiziario dei crediti. Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva in 2 anni97 e ogni 3 anni la Commissione presenterà una relazione sull’applicazione della direttiva.
 
La posizione comune del Consiglio
 
Il 24 luglio 2006 il Consiglio ha adottato una posizione comune sulla proposta modificata che è stata approvata il giorno successivo dalla Commissione. Quest’ultima ritiene che la posizione comune adottata dal Consiglio mantiene il contenuto sostanziale della proposta modificata, che integrava gran parte degli emendamenti adottati in prima lettura dal Parlamento europeo.
Gli elementi fondamentali della proposta, cioè le esclusioni dal campo d’applicazione e le disposizioni relative alla libera prestazione dei servizi sono state accettate dal Consiglio. In particolare la posizione comune rispetto alla proposta modificata esclude dal campo d’applicazione le professioni di notaio e degli ufficiali giudiziari. Essa chiarisce inoltre che lo sportello unico può limitarsi ad intervenire come intermediario tra il prestatore di servizi e le autorità competenti. La posizione comune precisa, come già affermato dal Parlamento europeo ma contraddetto dalla Commissione, che le decisioni di rilascio di un’autorizzazione non devono essere motivate né devono essere oggetto di un ricorso giurisdizionale.
La posizione comune ha apportato anche delle modifiche al principio secondo il quale in mancanza di risposta da parte delle autorità competenti le autorizzazioni si considerano rilasciate. Secondo il Consiglio, gli Stati membri sono autorizzati a prolungare il termine di risposta quando il dossier è particolarmente complesso ma a condizione di informarne debitamente il richiedente notificandogli la durata e le ragioni della proroga. La posizione comune prevede poi, per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi l’obbligo per gli Stati membri di presentare una relazione alla Commissione riguardante gli ostacoli alle prestazioni transfrontaliere. La Commissione ha accettato le modifiche apportate dalla posizione comune e ritiene che essa consegua un buon equilibrio e costituisca un valido compromesso che contribuirà alla realizzazione di un autentico mercato interno dei servizi.
La dichiarazione sulla posizione comune è stata trasmessa al Parlamento per la seconda lettura che deve concludersi entro 3 mesi dal ricevimento della posizione comune. Il Parlamento potrà decidere di adottare tale e quale il testo del Consiglio oppure di emendarlo, ma in quest’ultimo caso sarebbe necessaria una seconda lettura da parte del Consiglio.
 
Conclusioni.
 
La proposta di direttiva avanzata dalla Commissione aveva il fine di liberalizzare il più possibile il mercato interno dei servizi, dotato, in particolare nell’ottica delle recenti fasi di allargamento dell’UE, di notevoli potenzialità di crescita e d’occupazione finora inutilizzate. Il punto essenziale della proposta di direttiva era il principio del Paese d’origine che avrebbe esteso il criterio del mutuo riconoscimento, già previsto per le merci, al settore dei servizi.
Il prestatore di servizi avrebbe dovuto rispettare solamente la sua legislazione nazionale e nel momento in cui si fosse trasferito per prestare la sua attività in un altro Stato membro non si sarebbe potuto imporgli ulteriori controlli e requisiti. Ciascuno Stato avrebbe dovuto riconoscere l’idoneità del controllo sul prestatore di servizi effettuato nello Stato di suo stabilimento. Tale principio è stato fortemente contestato dalle associazioni sindacali, da diversi governi e da varie organizzazioni sociali. Il Comitato delle Regioni e il Comitato economico e sociale hanno evidenziato che per applicare il principio del Paese d’origine è necessaria una preventiva armonizzazione delle legislazioni nazionali in modo da garantire un certo livello di tutela per i consumatori, i lavoratori e l’ambiente. In sede di Parlamento le forti opposizioni hanno vinto e tale principio è stato cancellato. L’applicazione del principio avrebbe portato un’ampia liberalizzazione dei servizi in tutti i settori, una maggiore crescita economica e una migliore qualità dei servizi, così sostenevano i partiti liberali e l’UNICE. L’aumento della concorrenza tra i fornitori avrebbe portato una diminuzione dei prezzi e i consumatori avrebbero potuto beneficiare di servizi di maggiore qualità.
Nel caso in cui i due Paesi, lo Stato d’origine e lo Stato di destinazione del servizio, tutelano in maniera uguale gli stessi interessi il principio può essere utilizzato e comporta benefici sia per i cittadini sia per l’economia europea. Gli Stati dell’Europa occidentale hanno livelli di tutela che sono quasi sullo stesso livello, ma i nuovi Paesi dell’Est che sono entrati in Europa in seguito all’allargamento hanno livelli di tutela minimi che sono notevolmente ridotti rispetto a quelli dei Paesi occidentali.
L’applicazione del principio del Paese d’origine avrebbe comportato concorrenza sleale e dumping sociale. Le imprese si sarebbero stanziate nei Paesi dove la legislazione è più favorevole e da lì avrebbero potuto offrire i loro servizi ad un prezzo basso e in tutta l’Europa. Le imprese rimaste nei Paesi con normative più rigorose sarebbero rimaste penalizzate soltanto perché non essendo stabilite nei Paesi a bassa tutela non avrebbero potuto praticare prezzi bassi. Gli Stati che prevedono normative più tutelanti avrebbero dovuto ridurre le loro tutele per essere competitivi. Si sarebbe premiata non l’impresa più competitiva, ma quella che pratica un prezzo minore perché riduce le tutele dei lavoratori.
La proposta originaria comprendeva anche il distacco dei lavoratori, quindi i Paesi si sarebbero visti arrivare lavoratori a basso costo a cui veniva applicata la normativa del Paese d’origine e che avrebbero potuto prendere il posto di quelli nazionali. Gli Stati non avrebbero più potuto applicare le loro normative nazionali sul lavoro e neanche controllare il prestatore di servizi. In sede di Parlamento europeo si è deciso di eliminare gli articoli in materia di distacco dei lavoratori e di escludere in modo più generale il diritto del lavoro dal campo d’applicazione della direttiva.
E’vero che esiste il rischio di una diminuzione delle tutele esistenti, ma dietro a coloro che si sono mostrati contrari al principio del Paese d’origine ci sono anche Paesi che temono un’eccessiva concorrenza e che vogliono dunque proteggere la loro economia nazionale. Il problema della concorrenzialità delle imprese è un tema aperto per l’Europa. I paesi orientali, come la Cina, riescono ad offrire beni ad un prezzo basso grazie al basso costo della manodopera e competono fortemente con i prodotti europei. Il problema dell’eccessivo costo del lavoro è un tema attuale per i vecchi Paesi dell’Europa occidentale che stanno cercando di diminuirlo. Una piena liberalizzazione del mercato dei servizi avrebbe portato all’interno dell’Europa, tra i Paesi dell’est e i paesi occidentali, la stessa concorrenza che c’è all’esterno tra l’Europa e la Cina.
All’interno dell’Europa non bisogna creare concorrenza sleale, ma una concorrenza che premia l’impresa migliore che acquisterà così maggiore forza verso l’esterno. Un mercato dei servizi maggiormente integrato aumenta la concorrenzialità delle imprese europee all’esterno, ma per attuarlo non bisogna perdere di vista le tutele sociali. Per applicare il principio del mutuo riconoscimento è necessario un livello d’armonizzazione minimo per garantire parità di trattamento, concorrenza leale tra le imprese ed evitare distorsioni del mercato. Inoltre è necessaria una fiducia reciproca tra gli Stati, in particolare lo Stato di destinazione del servizio deve ritenere soddisfacente il controllo sui prestatori di servizi effettuato dallo Stato d’origine. A causa delle diversità linguistiche e dell’incapacità delle autorità regionali e locali di avviare procedure di comunicazioni rapide verso le autorità d’altri Stati il livello di cooperazione attuale non garantisce un controllo efficace sui prestatori. La proposta modificata ha previsto, infatti, che i controlli sul prestatore devono essere effettati sia dallo Stato di destinazione sia dallo Stato d’origine, mentre nella proposta originaria erano affidati solo a quest’ultimo. Gli Stati devono mantenere il potere di controllare nel loro territorio il prestatore di servizi perché il controllo del Paese d’origine può essere inefficace o troppo lento.
Il settore sanitario e sociale sono stati anch’essi esclusi, perché sono regolamentati e finanziati dallo Stato per garantire l’uguaglianza d’accesso e standard di qualità e di sicurezza. E’ giusto che gli Stati membri impongano misure volte a tutelare i servizi prestati nel loro territorio.
L’esistenza d’autorizzazioni o la richiesta di particolari requisiti limita l’intenzione dei prestatori di servizi di rivolgere la loro attività in altri Paesi europei. Gli Stati devono eliminare le misure discriminatorie, non necessarie e non proporzionali ma mantengono il diritto di imporre requisiti ai prestatori di servizi per motivi d’interesse generale, dato che esistono divergenze tra le normative.
La proposta di direttiva prevede misure di semplificazione amministrativa che aiutano il prestatore di servizi. La creazione dello sportello unico tramite il quale i prestatori possono svolgere tutte le procedure, i moduli europei armonizzati e i codici di condotta sono tutte misure che facilitano rispetto a prima la prestazione di servizi transfrontaliera. Molte polemiche sono sorte inoltre per l’inclusione dei servizi d’interesse generale nel campo d’applicazione della direttiva.
La CES ha affermato che per i SIG non c’è ancora una direttiva quadro che li definisca, e dato che dipendono dalla regolamentazione e dal finanziamento pubblico per garantire l’uguaglianza d’accesso non devono essere inclusi nella direttiva. Ciascuno Stato deve poter mantenere un elevato livello di tutela degli interessi pubblici. Altri contavano invece nella loro inclusione poiché tali servizi sono spesso forniti in condizioni di monopolio e con qualità scadente e l’apertura alla concorrenza avrebbe permesso ai cittadini di beneficiare di servizi migliori.
La proposta modificata non li comprende, ma afferma che i servizi d’interesse economico generale aperti alla concorrenza sono compresi nella direttiva. Quando gli Stati condivideranno le stesse esigenze di tutela la liberalizzazione del mercato dei servizi potrà essere completa. Se i livelli di tutela dei vari Stati fossero stati sugli stessi livelli, la direttiva avrebbe potuto essere realizzata nella sua forma originaria. Comunque bisogna notare che le polemiche non si sarebbero placate perché alcuni, come la Sinistra Europea, ritengono che il prestatore di servizi debba essere sottoposto esclusivamente alla normativa del Paese di destinazione. Essi non accettano una limitazione del potere nazionale degli Stati. Altri invece non sono contrari al principio del Paese d’origine, ma ritengono che sia presto per applicarlo dato che le normative degli Stati sono troppo differenti.
Rinunciando ad una preventiva armonizzazione si va a scapito dei Paesi dove lo Stato è già presente in materia di sicurezza sociale. Anche gli altri Stati dell’est sono penalizzati perché non raggiungono i livelli di tutela dei Paesi occidentali. In definitiva la proposta originaria è stata notevolmente ridotta, non porterà una la liberalizzazione dei servizi in tutti i settori, ma essa comunque contiene delle norme che potranno facilitare la prestazione transfrontaliera di servizi. Rispetto a prima è un notevole passo avanti verso la realizzazione di un mercato interno dei servizi. In seguito all’armonizzazione delle normative si potrà procedere con l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento; ci saranno senz’altro ancora delle opposizioni, ma risulteranno perlomeno ridotte le possibilità di danneggiare i consumatori, e si potranno finalmente trarre notevoli benefici da una più piena libertà di circolazione dei servizi.
 

Vita Marco

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