L’errore nell’ordinamento civile

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L’errore nell’ordinamento civile è una delle cause di annullabilità del negozio giuridico, con particolare relazione alla materia contrattuale.

Consiste in un vizio che rende invalido il negozio che ne è affetto, e l’invalidità, vale a dire,  l’annullabilità, assume una gravità inferiore rispetto alla nullità.

Indice

  1. Errore vizio ed errore ostativo
  2. Requisiti dell’annullabilità per errore
  3. Errore sui motivi
  4. Errore e dolo
  5. Falsa demonstratio non nocet e interpretazione contrattuale

1. Errore vizio ed errore ostativo

L’ordinamento italiano distingue tra due tipologie di errore:

l’errore vizio e l’errore ostativo.

Il primo consiste in una falsa o mancante rappresentazione della realtà, sia relativa a una questione di fatto o di diritto, che attiene al processo formativo della volontà negoziale del soggetto e si pone come fenomeno psicologico interno.

L’endiadi con la quale viene formulata questa definizione consente di equiparare all’errore l’ignoranza.

Un tipico esempio è dato dall’acquisto compiuto da Tizio di un oggetto in ottone ritenuto, erroneamente, d’oro.

Il secondo consiste nella non corrispondenza tra una volontà negoziale che si è regolarmente determinata all’nterno del soggetto e la dichiarazione negoziale che rivolge all’esterno.

È l’errore che cade “sulla dichiarazione” (art. 1433 c.c.) e si differenzia dall’errore vizio.

Il primo attiene al momento negoziale formativo.

Il secondo a quello dell’esternazione, oppure dichiarativo.

Un esempio è dato dal dichiarante che afferma 100 anziché 1.000 o dall’impiegato che non trscrive bene il testo del dichiarante attraverso un telegrafo.

Sotto la vigenza dell’abrogato codice civile del 1865, la dottrina evidenziava una fondamentale differenza di disciplina tra i due.

L’errore vizio avrebbe dato causa all’annullabilità del contratto.

L’errore ostativo alla sua nullità.

Questa seconda soluzione era avallata dal rilievo che l’errore ostativo tradisce un’assenza della volontà della parte negoziale, determinando la nullità del contratto per mancanza di consenso.

Il vigente codice civile del 1942 ha risolto la questione equiparando all’articolo 1433 i due tipi di errori, sulla base della gravità delle ripercussioni sulla certezza del diritto che aveva comportato la precedente soluzione.

Questa diversa scelta è anche dovuta al cambiamento di posizione dell’ordinamento sull’essenza del consenso come elemento essenziale del contratto, che non viene più considerato come esclusivo fenomeno psicologico interno al soggetto (c.d. dogma della volontà), ma come fenomeno sociale, rispetto al quale l’affidamento che una determinata dichiarazione negoziale produce nei consociati è tutelata con preminenza rispetto all’esatta corrispondenza di questa alle concrete determinazioni volitive della parte.

2.  Requisiti dell’annullabilità per errore

La sanzione dell’invalidità e la conseguente possibilità di annullamento non può essere comminata in ogni caso di errore.

Il risultato diventerebbe una diffusa incertezza del diritto.

Gli interessi contrapposti che entrano in conflitto in questo ambito sono quelli della parte affetta dall’errore, che non vuole essere vincolata da un negozio non voluto, e quelli della controparte che non è di solito in grado di comprendere le volizioni dell’altra, rispetto alla quale, l’ordinamento avverte il bisogno di tutelare il legittimo affidamento.

L’ordinamento italiano subordina per questi motivi l’annullabilità del contratto a due requisiti dell’errore dai quali sia affetto.

3. Errore sui motivi

Si tratta dell’errore che consiste in un erroneo convincimento sull’utilità personale del negozio contrattuale, non riconoscibile perché non oggettivizzato.

Si deve precisare che di solito l’errore sul motivo può assumere rilevanza giuridica se il motivo in questione venga elevato ad elemento accidentale del contratto e più specificamente o a condizione o a modo dello stesso. In questi casi troveranno applicazione le consuete norme sull’errore già esposte.

Una disciplina particolare è dettata nel caso del testamento, in ragione del favor testatoris che innerva questo ambito disciplinare.

Viene affetta da invalidità la clausola testamentaria rispetto alla quale il motivo del testatore sia stato affetto da errore, purché tale motivo risulti dal dato testamentario e sia stato l’unico motivo determinante nella volazione del testatore.

4. Errore e dolo

Il dolo è il secondo vizio della volontà ad essere disciplinato dal vigente codice civile.

Si concretizza in un raggiro escogitato da una delle parti per fare cadere in errore l’altra.

Esclusivamente in apparenza le due figure sono distinte.

Da un punto di vista materiale, errore e dolo hanno la stessa struttura, si sostanziano entrambi in una falsa o mancante rappresentazione della realtà.

L’unica differenza si riscontra nella genesi di questa anomalia volitiva, che nel caso dell’errore è endogena rispetto alla parte, mentre nel caso del dolo ha una provenienza esterna e precisamente origina dalla controparte contrattuale.

La diversa disciplina codicistica, che vede il dolo colpito con più larghezza da invalidità, si giustifica con la maggiore gravità e ripugnanza sociale con la quale il nostro ordinamento percepisce il fraudolento ricorso ai raggiri.

Per l’annullamento del contratto per dolo, non è richiesto nessun requisito di essenzialità e di riconoscibilità, questa da considerarsi sempre presente, dal momento che a porre in essere i raggiri dovrebbe essere la stessa controparte, ma esclusivamente il requisito della determinanza.

5. Falsa demonstratio non nocet ed interpretazione contrattual

Il brocardo “falsa demonstatio non nocet” è relativo in parte al concetto di errore.

Ad esempio, le parti vogliono che si produca un determinato scopo, accertato con l’idonea interpretazione del contratto, ma che la dichiarazione  contrattuale, nonostante sia idonea a raggiungere lo scopo, contenga degli errori.

In questo caso il contratto si può dire stabile?

può nuocere alla validità del contratto una indicazione meramente sbagliata?

Il brocardo in parola conduce a risolvere la questione in modo negativo, suggerendo che se per via interpretativa si arriva all’identificazione di un programma contrattuale concordato dalle parti, le stesse non si potranno sottrarre qualificando la divergenza del testo come errore.

Perché ci possa essere errore, l’interpretazione obiettiva del contratto deve divergere dal significato che una delle parti gli aveva attribuito, restando irrilevante la divergenza dal testo “grezzo”.

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